events
themes
call for papers
ideology busters
links
staff
 

Home

Uno sguardo sulle idee direttrici dell’estetica nella tradizione cinese

Laura Giacchetto

Nell'ambito della 57ª Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, dal tema Viva Arte Viva, il padiglione Cina ha presentato Continuum – Generation by Generation, a cura dell'artista Qiu Zhijie: “la missione del padiglione è quella di catturare l'energia del continuum, offrendo una chiave di lettura del misterioso protrarsi nel tempo della tradizione cinese nell’arte.”

In questo articolo proponiamo una sintetica panoramica del procedere del gusto nella tradizione cinese. Una breve introduzione all’estetica cinese appare fondamentale per comprendere lo sfondo istituzionale della mentalità (così come lo aveva definito Marcel Granet[1]) capace di orientare lo spirito di quella cultura per un accostamento idoneo alle sue idee direttrici.

LINEAMENTI DEL PENSIERO CINESE

Porre un collegamento tra il sostrato comune della Cina tradizionale e le categorie del pensiero occidentale attraverso cui pensiamo e indaghiamo il mondo è lo scopo delle Idee Direttrici identificate da Granet. [2]

Cominciamo dal linguaggio, poichè esso rappresenta un valido strumento per cogliere le sottigliezze del pensiero. Lo studio dei testi, come quello della lingua, richiede un apprendimento memonico e il riferimento al contesto caratterizza sia la lingua cinese che la tradizione letteraria.

Il testo si presenta come una serie di formulazioni e può dare l’impressione di una noiosa ripetizione, in realtà procede progressivamente verso l’approfondimento delle diverse sfumature del suo contenuto che delineano sempre più chiaramente il suo oggetto.[3]

Questo potere riservato alla parola ha evitato di creare un vocabolario astratto[4]. La lingua si è così organizzata per comunicare atteggiamenti sentimentali, per suggerire condotte, per convincere, ma non per analizzare idee o esporre discorsivamente dottrine. Il pensiero cinese non vuole tradire l’evoluzione e la globalità del reale, è immanente.

Come afferma Derk Bodde nel suo saggio Dominant Ideas in the Formation of Chinese Culture[5], in Cina prevale il mondo della natura rispetto a quello soprannaturale. La natura non è un mero sfondo dove si svolgono le vicende umane, ma uomo e natura costituiscono una grande unità indivisibile. L'uomo non è che una parte, seppur parte essenziale, dell'universo e non esiste una separazione tra mondo soprannaturale, natura e umanità.[6] 

Il fondamento spirituale della vita umana risiede nell’etica, più che nella religione o su idee astratte.[7] I basilari principi etici sono: rispetto reciproco, amore, culto per gli antenati, la considerazione per il popolo e soprattutto la virtù. Confucio approfondirà poi i temi di solidarietà e  giustizia oltre che i riti (li 禮), una serie di norme non scritte, indicative del comportamento esemplare. La famiglia è di fondamentale importanza per la società cinese. Se la famiglia è in ordine anche il mondo sarà ben strutturato. Questa formula ci restituisce il particolare legame tra il micro e il macrocosmo secondo cui l’uomo e il mondo rispondono alle medesime leggi. Questa prospettiva si rifletterà sulla medicina, l’etica, la politica e la cosmologia[8]  e che De Groot indicherà con il termine universismo cinese. [9]

SPAZIO-TEMPO

Il pensiero cinese, come non separa il mondo della natura da quello umano, allo stesso modo non separa il mondo delle idee da quello del reale. Le parole non sono mai astratte e lo stesso vale per lo spazio, il tempo e i numeri. Essi non sono luoghi neutri e indipendenti per poter collocare al loro interno ulteriori concetti astratti. Queste categorie, per usare un termine occidentale, divengono così concrete, tuttavia non si possono identificare in quanto puramente empiriche.

Esse attingono a un fondo comune: Yin/Yang-Tao (陰 道)

Come per le parole, anche spazio e tempo possiedono una natura che noi definiremmo dialettica, in particolare essi sono connessi e pensati sempre rispetto ad azioni concrete.[10] Il pensiero cinese non fa del tempo una questione o un enigma, ma lo osserva per provarne la coerenza in quanto processo delle cose e dell’umanità; ne osserva i procedimenti che si manifestano nella rappresentazione minima fino alla più ampia (Cielo).[11] Nella lingua cinese non esiste una traduzione di “tempo”, come è definite in Occidente. I termini “tempo” e “spazio” trovano le rispettive possibili traduzioni di che (tempo) e fang (spazio): che (tempo) richiama l’idea di “circostanza di/occasione”,  propizia o no per una certa azione e fang (spazio) indica l’idea di “orientamento/luogo”, favorevole o meno per un dato caso particolare. Il tempo è considerato in quanto insieme di ere, stagioni, epoche, mentre lo spazio come un complesso di ambiti, climi e orientamenti. Tempo e spazio sono indissociabili. [12]  Jullien motiva questo pensiero attraverso tre punti. In primo luogo, mostra che la Cina si è accostata alla nostra physis (natura) in termini di relazione tra le polarità yin/yang  陰陽, e non in base ad un principio di causalità. In un secondo passaggio mette in luce l’assenza dell’idea di eterno e lo sostituisce con “il senza fine o inesauribile”, il quale permette il continuo rinnovarsi. Esso si configura con il Cielo in quanto fondo del processo delle cose. Infine, senza entrare in un’analisi linguistica, Jullien, pone una riflessione sulla morfologia della lingua cinese nella quale non c’è coniugazione del tempo verbale (ci sono aspetti verbali/marcatori che si giustappongono al verbo); queste legano il tempo al verbo. [13]

Joseph Needham, in Time and Eastern Man[14] mostra che la Cina privilegia il carattere di linearità progressiva, ma questo non dipende dallo sviluppo di un tempo oggettivo, per riprendere la tesi di Jullien, perché il corso storico è inteso “attraverso la categoria del divenire processuale” o nella “transizione processuale”. Un’alternanza regolatrice che si incarna nelle stagioni è ben diversa dalla concezione dell’eterno ritorno, si avvicina più a uno “sviluppo per fasi” tra “modificazioni e continuazione”. La transizione è “globale e continua”, costituita da periodi di tendenza che innovano e che sono allo stesso tempo ereditate operando secondo “trasformazioni silenziose”[15],  piuttosto che essere costituite da un insieme di eventi (intendendo l’evento secondo il carattere di eccezionalità, sconvolgimento e “inassimilabilità”).[16]

YIN-YANG-DAO ,

Nel Classico dei Mutamenti si espone lo spirito di yin/yang陰陽 senza tuttavia darne una definizione. L’emblema con cui designa yin/yang 陰陽 cercando di riassumere il loro movimento ritmico recita: “yi yin yi yang dao: 一陰 一陽 道”, letteralmente “yi yin 陰(uno yin)  , yi yang (uno yang) , questo è il tao .[17] Ad essi si attribuisce l’autorità di rubriche-guida.[18] Il Dao道si potrebbe intendere come il regolatore dell’alternanza tra Yin/Yang陰陽 e questo potere fa sì che gli esseri siano quello che sono senza tuttavia esserne il loro generatore.

Yin/Yang陰陽 sono sentiti come unità, unione, comunione e non una bipartizione. Yin/Yang陰陽sono di “opposizione relativa e di natura ritmica.”.[19] Il Dao道regola sia l’attività mentale che la vita del mondo e indicherebbe “la regola essenziale che si trova al fondo di ogni mutazione.”[20]

Il Dao termine che nella letteratura antica indica “strada”, “cammino”, “passaggio” ,“camminare” ma anche “parlare”, “enunciare”, “modo di procedere”;[21] viene principalmente tradotto con “Via” per racchiudere sia il senso letterale che figurato.[22] Questa versione cerca di rappresentare la Via Maestra e le modalità principali per svolgere un qualsiasi compito, oltreché il corso dell’universo (ricercata comune a tutti i maestri delle diverse scuole).

I pensatori cinesi attingono dal Dao nozioni di Ordine, Totalità, Responsabilità, Efficacia.[23] Si potrebbe ipotizzare che nel pensiero cinese esso si erga a categoria suprema d’ordine o totalità.[24]

L’immagine con cui spesso si rappresenta è quella di perno e di circolazione.

L’EFFICACIA

Altro elemento che permea il pensiero cinese è idea di efficacia: la realtà è ordinata in modo gerarchico e basata sull’ efficacia e la responsabilità.[25]

Nella concezione greca l’intenzione (all’interno dell’azione) si costituisce a modello ideale per poi passare all’azione, sottolineando l’importanza della volontà del soggetto che opera sulla realtà adeguando i mezzi al fine. Lo stratega cinese pensa, invece, l’efficacia come massima limitazione della resistenza dell’azione. La perfezione risiede nella trasformazione della situazione, senza forzo. Cercando di sfruttare il potenziale della situazione (shi), o meglio le circostanze intese come insieme di condizioni. [26] La trasformazione è intesa come un non-agire non nell’ordine della passività o della rinuncia, ma in quanto azione invisibile secondo il monito “che nulla sia fatto e che niente non sia fatto.” [27] Ad esempio, la quiete è l’inverso del movimento, ma non è assenza di movimento.[28]

VISIBILE-INVISIBILE e LA LOGICA DEL PROCESSO

Il pensiero cinese non ricorre a una rivelazione religiosa o a una costruzione filosofica, si qualifica pittusto come “filosofia del processo.” [29] All’origine di ogni attualizzazione c’è l’interazione tra Yin/Yang 陰陽 come “impulso reciproco”. “Il reale è, all’origine, una dualità e la concezione del mondo che ne deriva è invece di un processo continuo e regolare.” È l’alternanza che “ritma il corso della natura” e che sviluppa un “funzionamento cosmologico benefico e regolare, la cui efficacia si manifesta per influsso.” [30]

Il processo è qualcosa in corso, perciò non è mai totalmente identificabile.

L’insondabile nel pensiero cinese coincide con l’invisibile che non è mai separato dal visibile. Manifesto e latente operano correlativamente, grazie a una capacità di trasformazione senza fine. Questa alternanza non dipende da un’intenzione provvidenziale. Visibile e invisibile non si identificano rispettivamente con esistenza e annientamento poichè, nel momento della scomparsa, non viene messa in dubbio l’esistenza dell’energia vitale (Qi 氣).[31]

Visibile e invisibile sono la stessa cosa e differiscono solamene quanto al momento.[32]

Jullien riprende l’esempio-immagine delle stagioni per spiegare questa alternanza, indentificando la primavera e l’estate come tempi di nascita e dispiegamento e per opposizione autunno-inverno quali tempi di morte e ripiegamento. Nel tempo autunno-inverno la vita non è annientata, bensì si è nascosta a noi.[33]  Questo processo vale sia per l’esistenza che per la percezione estetica.

L’invisibile è dunque funzionale e “opera senza agire”. È possibile identificarlo quale minimo grado di attualizzazione fenomenica.[34]

Il pensiero cinese non è un pensiero della finalità, ma del processo. Ciò che non permette di far circolare l’energia è ciò che unicamente priva e annienta la vita, in questa logica neppure la morte fisica è considerata annientamento.[35] (Ecco perchè in un dipinto all’interno della Biennale si vede la morte che gioca con il bambino e questo non ne è spaventato). Nella logica del processo nulla avviene isolatamente, così nel pensiero come nella struttura linguistica. La logica è sempre quella del continuo rinnovarsi, del Dao道, della trasformazione che è diversa dal concetto di “divenire.”[36]

In questa logica, la riflessione si rapporta e si integra all’azione più che alla comprensione in sè, è  volta al sapere come, al fine di poter procedere. Può essere definito come un pensiero in situazione e in movimento, ma non è riducibile a un pensiero pragmatico. Come specifica Anne Cheng “nel pensiero cinese antico non si è posto il problema epistemologico.”[37] Esso si riconosce per essere un pensiero nell’ordine della processualità in sviluppo.

IL PROCEDERE DEL GUSTO

Nelle culture orientali non esiste una disciplina definita propriamente estetica come è invece identificata nella cultura occidentale. La prima ragione risiede nella non separazione della realtà, tra teoria e pratica, tra mondo sensibile e sovrasensibile: “ogni idea è già un’azione ed ogni azione possiede in sé energia e valore spirituali.” Come non si è avvertita la necessità di organizzare il pensiero in teorie astratte e codificate, altrettanto è avvenuto per le “esperienze estetiche.”[38] Sia per quanto riguarda il rapporto con la conoscenza che con l’arte, la visione cinese predilige il coinvolgimento diretto con l’esperienza. L’estetica cinese diviene così un accesso privilegiato al pensiero.

Non possiamo in questa sede abbandonare completamente i dispositivi con cui pensiamo, pertanto procederemo indicando le qualità che aiutano ad accedere alla sensibilità e al gusto per poi entrare maggiormente nel dettaglio del procedere del gusto.

QI氣

Il Qi 氣 è tradotto con molti termini: “vapore, soffio, energia, spirito”. Nella rappresentazione grafica del carattere esso indica il vapore che si diffonde sopra un pugno di riso cotto. Questo vapore indicherebbe metaforicamente l’emanazione di energia di ogni essere. Ogni realtà è costituita da energia vitale e non si trova al di fuori di essa. [39]  Il fluire del Qi 氣è presente in ogni cosa ed appartiene ad ogni determinazione del Dao 道. Il Qi è al centro della riflessione estetica come di quella etica. Ha una doppia possibilità: fermarsi in una forma e superarla: il Qi 氣crea forme e trasforma. Ogni forma determinata è un’attualizzazione del fondo indifferenziato del processo (Dao 道). La capacità del pittore risiede nel cogliere questo movimento di alternanza. L’espressione estetica della transizione si gioca in questo rimando tra presenza-assenza, come afferma Ghilardi.[40]

NATURA

La concezione di natura, come abbiamo già brevemente indicato, si associa alla spontaneità, non rimandando a idee di nascita o creazione, ma come processo spontaneo tra i diversi elementi. Natura “ziran”自然 , tradotto alla lettera, indica “così da sé”, “ciò che  spontaneamente si dà ”.

Nella visione di natura sono collegati e utili alla sua comprensione il qi氣e i “cinque agenti”.[41]

EMOZIONI

In Cina non c’è una vera e propria distinzione tra sentimento, emozione e passione[42]: essi sono compresi nei termini Qing情e xin[43].

Per esprimere emozioni e sentimenti si utilizzano anche i caratteri Qi 氣, energia vitale o cosmica ( in particolare per esprime affetti legati a disposizioni naturali) e Yi 意per indentificare le intenzioni. Anche le emozioni e I desideri si fondano su una concezione cosmogonica d’alternanza, dovuta al processo universale dell’interazione yin-yang陰陽. Anima e corpo non sono disgiunti[44] e rientrano in un processo vitale che va continuamente rinnovato e “nutrito”. Jullien, a questo proposito, utilizza il termine yangsheng  养生  che letteralmente traduce “nutrire la vita.”[45] Nutrimento non concepito come progresso, ma come “rinnovamento” poiché il fine è “mantenersi evolutivi”. Condizione necessaria per far circolare energia. Il consiglio che si dà ai poeti, scrive Jullien, non è “nutrire l’inventio” o “acquisire una conoscenza più intima del soggetto della favola”, ma “raggiungere il raccoglimento e il distacco interiore, quindi la disponibilità, che accoglie gli stimoli del mondo ed è necessaria ad [entrare in risonanza con il] pennello.” [46] L’interiorità-intenzionalità (yi意) deve essere aperta agli stimoli del mondo per evitare che questi inducano alla mera imitazione.

Tang Zhiqi, letterato cinese, spiega il rapporto tra artista ed emozione come un fondamento, affinché il dipinto o la poesia, la tensione e l’energia si mantengano in vita. Se non si riesce a coglierne la natura emotiva di uno o l’altro, non c’è realizzazione.[47]

L’INSAPORE, PER COGLIERE L’INVISIBILE

Altro elemento fondamentale è l'insapore, termine utilizzato da Jullien e che identifica una qualità che promuove una forma di vita ed una sensibilità estetica. Esso è come uno sfondo di ogni differenza, ma senza indifferenza. L’Insapore non si risolve nella nozione di neutralità perchè restiamo nel campo dell’esperienza sensibile (è al limite del sensibile).[48] L’insapore è senza sapore particolare, ma fa coesistere tutti i cinque sapori. È uno spazio sensibile che permette di cogliere ogni altro sapore definito, come una forma di distacco dalle attualizzazioni particolari. Trova nell’immagine dell’acqua il suo corrispettivo simbolico. [49] Ogni attualizzazione è al tempo stesso limitazione, poiché esclude qualunque altro divenire: “La qualità, meno traspare, più è capace di slancio, la pienezza è tanto più grande quanto più si rifiuta di mettersi in mostra.”[50]

L’insapore presuppone un soggetto disponibile.

LA RELAZIONE VISIBILE-INVISIBILE NELL’ARTE PITTORICA E POETICA

Lo sforzo del pensiero cinese non è di allontanarsi dall’evidenza della natura, alla quale attesta la legittimità del processo.

Né il visibile è la sola realtà positiva, né l’invisibile la sola realtà autentica. Non è possibile una distinzione, nemmeno separatamente.

L’invisibile è la parte celata di ogni manifestazione e non rientra nella metafisica; non è sovra-naturale. Il nascosto permette di arricchire la presenza della figurazione grazie a questo velamento. L’immagine è così depurata e si carica di “atmosfera in modo indefinito”, grazie a questi giochi di luce ed ombra.

Le cose non si impongono, né si pongono di fronte a un soggetto, così il pittore dipinge il mondo emergendo ed immergendosi, senza ostentazione. Dipinge in un processo continuo. [51]

La presenza non pretende dunque, nell’interpretazione di Jullien, di definirsi attraverso l’assenza, ma si estende e si depura attraverso di essa.[52]

Nell’estetica cinese il soggetto non opera un’azione sul dipinto rappresentando un mondo che sta di fronte a lui come un oggetto. Il pittore deve dipingere la trasformazione. Soggetto e oggetto si scoprono in relazione e il loro incontro avviene a livello interiore, spirituale (shen神), superando la forma fisica e attingendo al sentimento (yi意-intenzionalità); si avvicinano così alle cose  permettendo che esse si dispieghino. L’onnipresenza del Qi 氣in ogni cosa viene scoperta in questa esperienza estetica dell’artista che partecipa al processo del mondo; non ne rimanene escluso e si ritrova “parte integrante, penetrando attraverso il pennello, la mano, il braccio guidati dallo stesso Qi 氣”. [53]

L’artista è davvero completo solo quando il movimento parte dall' interiorità, dalla mente-cuore (xin, 心), è così che il pittore raggiunge la maestria e l'uomo la compiutezza morale.[54] L’accordo perfetto è quello che coniuga dimensione sensibile, fisica e quella interiore, spirituale.[55]

La dimensione Invisibile sfugge ai nostri sensi, ma attraverso il gesto e il segno pittorico ci informano della presenza dell’Invisibile. L’incontro tra il visibile e l’invisibile avviene sempre a livello interiore, spirituale shen神. É necessario per questi superare la forma fisica per attingere all’intenzionalità-sentimento yi . L’attualizzazione di una forma è una parte che emerge dal fondo indifferenziato e attraverso il tratto pittorico si cerca di raffigurare l’incontro tra visibile e invisibile. Il segno pittorico ha valore indiziale in un’ottica di globalità e correlazione tra macrocosmo e microcosmo.[56]

Nell’arte questa logica si mostra in modo più evidente. Il pittore e il poeta in Cina non dipingono con tratti determinati, ma dipingono tra il c’è e il non c’è.[57] Non si dipinge per far vedere meglio e neppure si tratta di rendere la figurazione più espressiva grazie al potere dell’elissi, ma di liberarla dalla pesantezza. Qualunque sia la realtà, è sufficiente farla attraversare dall’assenza, affinché in qualche modo la presenza ne sia depurata, affrancata da ciò che la rinchiudeva in se stessa. La capacità evocativa è rappresentata dipingendo le cose in modo indiziale, affinché esse appaiano presenti e assenti al contempo.

Grazie all’alternanza tra manifesto e latente si conferisce respiro unitario. La modalità della respirazione struttura il pensiero cinese, che si oppone alla scissione e promuove la transizione.

Come ricorda Shitao il pittore o il poeta tendono più a celare che a mostrare, ma è importante saper nascondere bene.

Lo studio della pittura, ci permette di cogliere l’invisibile più di qualsiasi altro discorso. Per questo motivo essa viene utilizzata per accedere alla comprensione del pensiero filosofico della Cina.

VUOTO- PIENO

Il rapporto vuoto-pieno è di natura che chiameremmo dialettica. “L'ideale” dell'arte cinese è rappresentata dalla forza di suggestione, dalla distanza allusiva e non dalla precisione. [58] Precisione e forza di suggestione sono incompatibili.

Alla base di questa relazione si ritrovano quattro concetti: Qi “energia-respiro”, li “coerenza interna” 理, yi 意“disposizione spirito”, shen 神 “spirito”.[59]

Giangiorgio Pasqualotto, nell’ Estetica del Vuoto, sottolinea che il vuoto non deve essere inteso come concetto astratto, ma come “esperienza del vuoto”. Questa esperienza si comprende nella pratica meditativa utile sia per la produzione che per la fruizione dell’opera. [60] Nella pittura o nell’esecuzione di un’opera musicale devo imparare le regole, ma poi me ne devo dimenticare, perché l’opera possa essere completa. Il vuoto “libera lo spirituale svasando le forme, desaturando il pieno e purificandolo. Apre il naturale sullo spirituale, come il visibile sull’Invisibile.”[61] Anche se questo spirituale non è mai sopra-naturale.

Meditare è “fare vuoto” e muove dal respiro: si mettono a tacere sollecitazioni, sensi e attività mentale per ascoltare il Qi氣, il respiro.[62]

Da un punto di vista tecnico, il vuoto pittorico è inteso come lo spazio bianco lasciato dal pennello, sia in riferimento alla calligrafia che alla pittura, o ancora, è raffigurato da nubi e nuvole che, grazie all’effetto di vaghezza aiutano in questo svuotamento e purificazione aprendo all’intimità.

Allo stesso modo nella musica il vuoto e il pieno sono rappresentati dal silezio tra una nota e l’altra; nella poesia e nelle parole del saggio dalle parole vuote, dagli spazi tra una parola e l’altra o dalla deviazione nel racconto. Ciò che il poeta o il saggio intende comunicare non è quanto viene chiaramente espresso, ma proprio quello che non viene detto. Le parole servono a capire le idee, ma quando l'idea è colta non c’è più bisogno di pensare alle parole.[63] La visione del Saggio non è chiara, ma riesce a tenere tutte le prospettive globalmente senza nessuna esclusione. Il pensiero cinese opera evitando l’esclusione, perchè si mantiene aperto a tutti i possibili in un’ottica di globalità che permette la variazione continua. Questo è ciò che viene richiesto all’arte, affinchè possa attingere al “fondo del processo” [64]

LA GRANDE IMMAGINE NON HA FORMA

Laozi utilizza questa espressione per comprendere il principio del Dao e che Jullien studierà in una sua opera analizzando così la frase: “la grande immagine che caratterizza l’assoluto del tao non corrisponde alla via dell’analogia: essa rimanda ad altra realtà che non alla propria realtà, individuale e concreta, ma ci distacca dal carattere particolare, a un tempo esclusivo e limitativo, nel quale tendono sempre a rinchiudersi l’individuale e il concreto” [65]

Con grande si intende che raccoglie tutte le possibili indicazioni. È dalla “trasformazione” che si trae adeguamento e “si evita di attaccarsi”. Attaccarsi significa rimanere parziali perdendo così la globalità. La verità non è nell’ordine dell’analisi precisa, identitaria, di un oggetto di ciò che non muta. È immagine, ma senza un contenuto particolare, essa invita ad un distacco senza richiedere una conversione. La negazione non ha forma, non lavora nel senso dell’esclusione: la grande immagine si libera del carattere particolare pur restando immagine.[66] Non si abbandona completamente la somiglianza, altrimenti si rimanderebbe ad un altro piano della realtà. Lo scopo è permettere al sensibile di cogliere il latente, l’invisibile. L’immagine mira a far provare, per contrasto, l’aspetto sporgente delle cose, la dimensione di vuoto che le attraversa e permette loro di operare.[67]

DIPINGERE LA TRASFORMAZIONE, DIPINGERE LA VITA

“dipingere 畫” e “trasformazione 化” hanno la stessa pronuncia hua (ma diverso carattere).[68] Lo sfondo è sempre in continuo rinnovamento e non stabile. La pittura sonda questo invisibile, sottile e latente ma presente. Nel pensiero cinese non c’è nulla di esterno al cielo e alla natura e non c’è mistero più grande della vita.  Come afferma Shitao, il compito del pittore è quello di richiamare alla vita. Il pittore cinese riesce bene nel momento in cui esprime la vita tramite le diverse forme.

DIPINGERE NON È DESCRIVERE

Il lavoro è quello di far apparire l’invisibile -quello dei sentimenti, dell’anima, dello spirituale, del Qi 氣 o la transizione del mondo nel visibile senza tuttavia invocare il reale, il vero, né tanto meno il bello. Esso è tanto soggettivo quanto oggettivo. Non c’è separazione tra l’oggetto e il soggetto, ma sono correlati.

In cinese si utilizza il termine xiang 象, sia per indicare l’immagine che il fenomeno. Questo è indicativo tanto da un punto di vista semantico quanto per ciò che implica. Non dissociando l’immagine dal fenomeno, il pensiero cinese non separa neppure l’accadimento del fenomeno della riproduzione dall’immagine.[69] Il Classico dei Mutamenti viene considerato all’origine della pittura e della scrittura. Il testo si apre con i suoi due tratti fondamentali la linea piena一, la linea spezzata - -.  Si fa riferimento a questi due tratti anche per l’indissociabilità di immagine e fenomeno.[70]

VERITÀ IN PITTURA

Il pittore cinese non si pensa, nè si percepisce, come qualcosa di esterno al reale. Non si pone mai nei suoi confronti in modo svincolato e non pensa di doverlo riprodurre come un oggetto. Per il pittore cinese non si tratta di cogliere il principio interno di consistenza, nè un principio esterno immutabile; è l’articolazione d’insieme che fa da vettore alla circolazione d’energia. In pittura si cerca di cogliere ciò che l’uno è nell’altro e come esso si articola in tutte le sue possibilità. L’artista indaga tutte le figurazioni possibili al fine di liberare le capacità che ne costituiscono la vitalità ed è attento alla differenza.[71]

PAESAGGIO

Il termine cinese “paesaggio” (shanshui 山水) muove dall’accostamento montagna-acqua. È a partire da questa espressione che i cinesi hanno rafforzato il paesaggio secondo un’interazione tra “opposti”. Gli infiniti modi in cui si attualizza il mondo si dispiegano tra questa polarità. Non si dipinge solo una parte del mondo o un angolo.

Nella prospettiva cinese, la cui logica è nell’ordine della globalità, il soggetto si scopre implicato all’interno del processo di raffigurazione.

Il pittore ha bisogno di un trattamento libero e svincolato dalla costrizione del concreto per permettere al tratto di muoversi senza costrizioni, in modo naturale sponte sua. Il soggetto, nel dipingere il paesaggio, si scopre in relazione. Tra paesaggio e pittore c’è uno scambio, sono compagni nella stessa realtà e l’incontro dello spirito avviene nell’intimità. “Il pittore evoca a partire dal suo fondo di capacità, quel fondo implicato dal mondo intero che il paesaggio condensa”[72]

Nella pittura di paesaggio si procede in questo modo: bisogna osservare le montagne da lontano per cogliere la profondità, passeggiare in mezzo alla valle, recarsi di persona presso le montagne e presso le acque al fine coglierle. Il pittore deve “immergersi” nella natura poiché è questo che crea la disposizione intenzionale del paesaggio.[73] Recarsi di persona non è inteso unicamente da un punto di vista spaziale, ma è importante che il pittore si renda presente, inteso come “rendersi disponibili a”. Non importa che si tratti di un paesaggio o del suo dipinto; ciò che importa è che entrambi si mettano (compreso l’osservatore) in comunicazione con la vita e il suo perpetuo trasformarsi.[74]

La visione sdrammatizzata del pensiero cinese mostra, anche nell’arte, l’assenza della tragedia nella ricerca di un Essere che sfugge. Il pittore cinese non cerca il Bello, ma ogni tratto vuole esprimere la processualità energetica, la dimensione dello spirito (shen神), cerca di dire la relazione tra il microcosmo e il macrocosmo. Commenta Ghilardi: “nelle onde si ritrova il carattere distintivo dei monti, nella specificità di una montagna si ritrova il movimento dell’onda del mare”, l’uno si rivela attraverso l’altra, “vera comprensione del processo è cogliere e riconoscere un elemento nell’altro. Ogni cosa è in rapporto alle altre. È importante cogliere l’identità nella differenza e la differenza nell’identità.”[75] A tale proposito le grandi esposizioni delle onde del mare mostrano questa particolare relazione.

Il fluire del Qi 氣 si trova in armonia con ogni fenomeno secondo continui rimandi tra particolare e globale. Il maestro è colui che riesce a cogliere questa dinamicità e cerca di mettersi in accordo con questo processo.

Il soggetto non opera così un trasferimento della forma separandolo dalla materia, come avviene nella rappresentazione mimetica. Il fondamento dell’immagine è di una dimensione d’ efficacia pratica e non una capacità rappresentativa e cognitiva.[76] “Abbandonare la forma” per raggiungere il principio di ogni cosa, ovvero il soffio vitale Qi 氣.

Nel gesto pittorico si esprime al meglio la relazione tra l'universalità della tecnica (del modo corretto di tracciare un segno) e la singolarità del farsi di ogni tratto. Il gesto pittorico è il terreno privilegiato dell'incontro tra globale e particolare e coopera a rilanciare energia vitale.[77]  

IL BELLO È NEL PROCESSO

Proprio per l’assenza di separazione, il pensiero cinese non ha sviluppato l’idea di bello come in Occidente. Nell’estetica cinese non c’è un canone delle essenze ideali o categorie estetiche alle quali far riferimento perché un’opera possa dirsi bella, sublime, brutta ecc.[78]

Bello viene tradotto con il termine mei 美, è di recente introduzione nella lingua moderna cinese. È assente il termine “bello” per valutare un’opera d’arte, si parla piuttosto di: “superiore” (wei shang), “viva” (huo), “eccellente” (jing-hao) o ancora “riuscita” (jia), compiuta, con fascino inesauribile.

Il bello non viene ricercato in una dimensione statica, ma procede nella “direzione della Via”, afferma François Cheng, intendendo con Via “l’inarrestabile cammino verso la vita aperta, verso un principio di vita in grado di mantenere aperte tutte le sue promesse”[79]. L’arte dipinge questa transizione dello spirito delle cose: che si dipinga il mare o la montagna in una giornata di pioggia di sole, ciò che conta è “la scoperta del Qi 氣 che emana la montagna [nella] condizione di passaggio.”[80] Al Bello si contrappone la “colorazione spirituale” shencai 神彩.[81]  Del pittore si dice che “partecipa al grande processo di creazione-trasformazione delle cose, vale a dire che il processo della pittura non imita (quello che andrebbe a costituire il suo effetto) ma è dello stesso ordine dell’avvento del mondo.”[82]  Lo scopo è stare nella trasformazione della vita.

[1] Marcel GRANET, Il pensiero cinese, Adelphi Edizioni, Milano,1971, p.14

[2] Cfr GRANET, Op.cit.

[3] Anne CHENG, Storia del pensiero cinese. Dalle origini allo "studio del mistero" vol.1, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino,  2000, p.14

[4] GRANET, op.cit. p.61

[5] Derk BODDE, Dominant Ideas in the Formation of Chinese Culture, Journal of the American Oriental Society, vol. 62, No. 4, 1942

[6] Ibidem

[7] Cfr Fung YU LAN, Storia della filosofia cinese, Mondadori, Milano,  1956

[8] Cfr. Leonardo ARENA, L'innocenza del tao. Storia del pensiero cinese. Mondatori, Milano, 2010, p7-8

[9] J.J.M DE GROOT, The religious system of China, vol. 6, Leiden, 1910

[10] Anne CHENG, op.cit, p.65

[11] Cfr François JULLIEN, Le trasformazioni silenziose, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010, p.99

[12] Cfr GRANET, Il pensiero cinese, p.65-67

[13] JULLIEN, Le trasformazioni silenziose, p98-99; François JULLIEN, Il tempo. Elementi di una filosofia del vivere, Luca Sossella Editore, Roma, 2002

[14] Joseph NEEDHAM, Time and Easter Man, Royal Anthropological Institute of Great Britain & Ireland, University of California,1965

[15] il termine utilizzato del pensatore cinese Wang Fuzhi e così tradotto nei testi di F.Jullien, si veda François JULLIEN, Le trasformazioni silenziose, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010

[16] Cfr François JULLIEN, Il tempo,Elementi di filosofia del vivere, Luca Sossella Editore, Roma, 2002, p.58-59-60

[17] La traduzione di questo aforisma –come di altre traduzioni- è alquanto rischiosa in quanto potrebbe suggerire errate interpretazioni che minerebbero alla comprensione di quel fondo antico a cui fanno riferimento tutti i pensatori cinesi. Granet nel suo testo Il pensiero cinese ci mostra tutte le varie possibili versioni di questo emblema “un tempo yin (yi yin一陰), un tempo yang (yi yang一陽) oppure una volta yin 陰, una volta yang陽; un lato yin陰un lato yang陽. Tale è il tao 道!” Cfr GRANET, op.cit

[18] GRANET, op.cit, p. 94

[19] A.CHENG, Storia del pensiero cinese, p. 108

[20] GRANET, op.cit., p. 245

[21] Cfr. Paul W KROLL, A Student's Dictionary of Classical and Medieval Chinese, Leiden, Brill, 2014; Chinese Reference Library , link,

[22] A.CHENG, op.cit, p. 19

[23] Cfr GRANET, op.cit.

[24] Ivi, p. 17

[25] Ivi, p.109

[26] François JULLIEN, Pensare l'efficacia in Cina e in Occidente, Editori Laterza, Roma, 2006, p29

[27] Cfr François JULLIEN, Trattato dell'efficacia, Einaudi, Torino, 1998, p104-105

[28] François JULLIEN, Processo o Creazione. Introduzione al pensiero dei letterati cinesi, Pratiche Editrici, Parma, 1991, p 80

[29] Ivi. P44

[30] Ivi. p 16

[31] Ivi, p 26

[32] Ivi, p 60

[33] Ivi, p 25

[34] Ivi, p.97-101

[35] Cfr François CHENG, Cinque meditazioni sulla morte, ovvero sulla vita, Torino, Bollati Boringhieri, 2014

[36] Cfr François JULLIEN, Parlare senza parole, Logos e Tao, Laterza, Roma-Bari, 2008, p27

[37] Cfr A.CHENG, Storia del pensiero cinese, p.17-18-19

[38] G.PASQUALOTTO, Estetica del vuoto: arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Marsilio, Venezia, 1995, p.10

[39] A.CHENG, op.cit, p.21

[40] Cfr: GHILARDI, Note sulla pittura e l’estetica cinesi, in «Simplegadi», 2001, anno 6, n. 2, p.56

[41] i cinque agenti sono: acqua, fuoco, legno, metallo e terra. Sulla concezione di natura si veda: Angus C.GRAHAM, Yin/Yang and the Nature of Correlative Thinking, Institute of East Asian Philosophy, Singapore, 1986; Enrico Fongaro e Marcello Ghilardi, L’idea di natura tra Cina e Giappone: alcune considerazioni, in “Rivista di Filosofia Controcorrente”, n.11, 2005, pp.143-152.

[42] Cfr Paolo SANTANGELO, Emozioni e desideri in Cina, Laterza, Roma-Bari 1992

[43] Xin : ha una doppia valenza indica sia cuore che mente, la facoltà emotiva ed intellettiva. È sia organo di comprensione che di riflessione emotivo-spirituale.

[44] Cfr Marcello GHILARDI, Cosa fa “corpo” nelle culture dell’Asia orientale?, in «Multiverso», n.7, 2008

[45] François JULLIEN, Nutrire la vita: senza aspirare alla felicità, trad. it. di M. Porro, Milano, Cortina Editore, 2006

[46] Ibidem

[47] Tang ZhiQi C.K. p.113, op cit in JULLIEN, La Grande Immagine non ha forma, p.179

[48]  Cfr. François JULLIEN, Elogio dell'Insapore. A partire dal pensiero e dall'estetica cinese, Cortina Editore, Milano, 1999, p.10

[49] Ivi, p.20

[50] Ivi, p.28

[51] Cfr JULLIEN, La Grande Immagine non ha forma. p.28

[52] Cfr. F. JULLIEN, Parlare senza parole. Logos e Tao, Bari, Editori Laterza, 2008

[53] Cfr GHILARDI, Note sulla pittura e l’estetica cinesi , p.51

[54] Ivi, p.59

[55] Ivi, p.50

[56] Ibidem

[57] Cfr F. JULLIEN, Il saggio è senza idee. O l'altro della filosofia, Einaudi, Torino, 1998, p. 30

[58] Cfr Fung YU LAN, Storia della filosofia cinese, p.14

[59] Cfr François CHENG, Il vuoto e il pieno: il linguaggio pittorico cinese, Guida, Napoli, 1989

[60] Giangiorgio PASQUALOTTO, Estetica del vuoto: arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Marsilio, Venezia, 1995, p.32

[61] JULLIEN, La Grande Immagine non ha forma, p.123

[62] Si veda anche Marcello GHILARDI, Il vuoto, le forme, l'altro. Tra Oriente e Occidente, Morcelliana, Brescia, 2017

[63] Cfr Fung YU LAN, Storia della filosofia cinese, Mondadori, Milano,1956 e JULLIEN, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Meltemi Editori, Roma, 2004

[64] Cfr JULLIEN, Strategie del senso in Cina e in Grecia, p 376-377

[65] Ivi, p.13

[66] Ivi,p.339

[67] Ivi p.346

[68] Ivi, p.291

[69] Cfr JULLIEN, La Grande Immagine non ha forma, p.283

[70] Ivi, p.284

[71] Per ulteriori approfondimenti si veda: Marcello GHILARDI, Il vero, il falso, il Dao, Rivista Aut-Aut, 359, 2013; Chad HANSEN, Chinese Language, Chinese Philosophy and the Truth, “The Journal of Asian Studies”, 3, 1985

[72] JULLIEN, La Grande Immagine non ha forma, p.184

[73] Ivi, p.191

[74] Cfr François JULLIEN, Vivere di paesaggio o l’impensato della ragione, Mimesis, Milano-Udine, 2017

[75] Ivi, p.57

[76] Ivi, p.151

[77] Cfr Marcello GHILARDI, Il gesto, lo sfondo, l'immagine: tra Shitao e Lacan, in «La Psicoanalisi», n. 56, 2014

[78] Cfr Raffaele MILANI, Le categorie estetiche, Pratiche Editrici, Parma, 1991; Immanuel KANT, Critica del giudizio, Laterza, Bari 1907

[79] François CHENG, Cinque meditazioni sulla bellezza, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p.23

[80] GHILARDI, Note sulla pittura e l’estetica cinesi, p.52

[81] Cfr François JULLIEN, Quella strana idea di bello, Il Mulino, Bologna 2012.

[82] Ivi, p166

 

Logo Parol
© 1985/2013 Parɔl - Quaderni d'Arte e di Epistemologia
Per qualsiasi utilizzo delle risorse presenti sul sito contattare la redazione
Site designed and managed by Daniele Dore