L'espressione delle emozioni all'origine della teoria warburghiana
sul simbolo estetico. (Parol
on line, luglio 1998)
di Cristina
Bignardi
Aby Warburg (1866-1929) [Alcuni cenni biografici. Aby Warburg nacque ad Amburgo nel 1866 da una ricca famiglia di banchieri. Quale primogenito sarebbe dovuto succedere al padre nella gestione della banca di famiglia, ma ben presto egli cedette il timone al fratello minore Maximilian, per dedicarsi, contro il volere della famiglia, agli studi di storia dell'arte, nelle università di Bonn, Breslavia e Strasburgo, dove si laureò nel 1886. Oltre agli onori per i suoi lavori di studioso, nella sua vita egli conobbe diverse sventure, fra cui la malattia mentale, che lo portò, nel 1920, nella clinica di Ludwig Bingswanger, in Svizzera, dalla quale uscì, completamente ristabilito, nel 1926. All'improvviso lo colse un attacco di cuore il 29 ottobre del 1929] è lo studioso da tutti conosciuto come il padre del paradigma iconologico, importante indirizzo di studio che ha visto i nomi di Fritz Saxl ed Erwin Panofsky e che è legato all'Istituto Warburg di Londra. La fama di questo studioso è legata, in modo particolare, al metodo con cui affrontava lo studio della storia dell'arte: una rigorosa attenzione filologica, da una parte, accompagnata ad un approccio interdisciplinare, dall'altra; per questo suo modo di avvicinarsi alle opere d'arte lo si può definire, più che storico dell'arte, storico della cultura. Egli è inoltre conosciuto per lo spirito da pioniere con cui considerò, all'inizio di questo secolo, il mondo del Rinascimento, in particolare quello fiorentino, che egli interpretò ponendosi questa domanda: "Cosa rappresenta il recupero dell'antichità per l'uomo del Rinascimento?". Gli innumerevoli saggi che egli ha scritto sono testimoni della forza innovativa che egli ha saputo trasmettere allo studio delle opere d'arte, interpretandole da più punti di vista e dandone nuove e significative interpretazioni; come non ricordare, ad esempio, lo studio condotto sugli affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara, dove l'interpretazione del complesso impianto astrologico del ciclo venne fornita ricorrendo a trattati astrologici di età ellenistica, araba e medievale. [A. Warburg, Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoja di Ferrara in Gesammelte Schriften. Die Erneuerung der heidnischen Antike. Kulturwissenschaftliche Beitrage zur Geschichte der europaischen Reinassance, unter Mitarbeit von Firtz Rougemont, hrsg. von Gertrud Bing, mit einem Anhang unveroffentlichter Zusatse, 2 voll., Leipzig-Berlin, 1932 (tr. it. parz. La Rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing, Firenze, La Nuova Italia, 1966). Successivamente il testo verrà indicato con la sigla RPA].
Questo diverso atteggiamento intellettuale di Aby Warburg si doveva alla sua particolare formazione; infatti, egli si era formato su autori provenienti dai più svariati ambiti teorici: Hermann Usener, un filologo delle religioni, Tito Vignoli, un positivista italiano, Charles Darwin e la sua teoria sull'espressione delle emozioni, Jacob Burckhardt, lo storico della feste rinascimentali, Friedrich Theodor Vischer, il padre dell'estetica dell'"empatia", Friedrich Nietzsche e la sua visione bipolare dell'antichità classica. In questa sede si approfondirà l'analisi sul rapporto tra il testo di Darwin e l'elaborazione teorica di Warburg sulla natura del simbolo estetico.
Nel 1889 Warburg, grazie ad August Schmarsov, suo docente di storia dell'arte a Breslavia, è a Firenze, per compiere uno studio su Masolino e Masaccio, consistente in un'analisi dell'evoluzione dell'espressione dei volti in questi due autori [AWB, p. 71]. Su Schmarsov, Ernst Gombrich, autore della "Biografia Intellettuale" di Warburg osserva: "Warburg trovò in Schmarsov un altro docente che era stato raggiunto dall'onda del nuovo psicologismo. Non era un pensatore lucido, ma molto consapevole dell'importanza dei problemi teorici. Nei suoi lavori sull'architettura aveva meditato sulla percezione dello spazio e sulla tendenza umana all'empatia. Nella sua ricerca in pittura si era molto interessato ai problemi della gestualità e dell'espressione. Ma Schmarsov era soprattutto un evoluzionista". [E. Gombrich, Aby Warburg. An intellectual biography, London, The Warburg Institute, University of London, 1970 (tr. it., Aby Warburg: una biografia intellettuale, Milano, Feltrinelli, 1983: pp. 43-44). Successivamente il testo verrà indicato con la sigla AWB]. Nel compiere le sue ricerche nella Biblioteca Nazionale di Firenze Warburg si imbattè nel libro di Charles Darwin sull'Espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, trovandovi una serie di risposte ai suoi problemi, tanto che annotò nel suo diario: "Finalmente un libro che mi aiuta" [ibid.]
Il testo di Charles Darwin (Shrewsbury, Shropshire, 1809- Down, Kent, 1882) [C. R. Darwin, The expression of emotions in Men and Animals, London, John Murray, 1872 (tr. it. L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, Torino, Bollati Boringhieri, 1992; Introduzione di Gian Arturo Ferrari], uscì nel novembre del 1872, ottenendo un successo di pubblico immediato che lasciò stupito lo stesso Darwin; ma tale successo si esaurì dopo i primi mesi (infatti si vendettero più copie nei primi due mesi che nei vent'anni successivi). Mentre il pubblico si stancava rapidamente della novità (il titolo, probabilmente, doveva aver tratto in inganno un pubblico educato alle fantasticherie romantiche), si scatenò la reazione degli avversari, mentre il resto della comunità scientifica si mostrava assai perplesso. Lo stesso modo di procedere dell'autore lasciava stupiti: Darwin rifiutava i presupposti delle fisiognomica (unica disciplina accreditata al riguardo), non citava illustri colleghi, l'unico interlocutore di valore scientifico agli occhi degli scienziati del tempo a cui si rivolgeva era Charles Bell, le cui teorie, però, Darwin confutava radicalmente. [Cfr. G. A. Ferrari, Introduzione a C. Darwin, op. cit., p. X-XI.] Egli si guardava bene dal formulare una casistica delle patologie alla maniera cara a Lombroso, e insieme non offriva "ricette", codici universali applicabili alla vita di tutti i giorni. [ibid.] Il problema di fondo, naturalmente, era che Darwin metteva in crisi la concezione dello "spirito", cara all'etica di fine Ottocento, quale entità pura e infinitamente superiore alla materialità mondana: l'accostamento di questa entità superiore al mondo animale, ferino, osato da Darwin, condannò il testo alla più totale incomprensione, e tale studio non inaugurò (nell'immediato) nessuna tradizione di ricerca, nemmeno tra gli allievi di Darwin, ad eccezione di un parziale recupero ad opera di George John Romanes (1848-1894), l'allievo più amato. [ibid.]
La genesi di quest'opera si trova nella serie di appunti contenuti nei Taccuini M e N (1838) e nel Profilo di un bambino (1877) [ibid., p. XVIII.]; soprattutto in quest'ultimo scritto, nel quale Darwin riporta le osservazioni fatte sui comportamenti dell'amato figlio Erasmus, si ritrova in pieno lo spirito de "L'Espressione". L'ipotesi complessiva che governa il testo è che le espressioni dell'uomo siano riconducibili, lungo la catena evolutiva, ai movimenti intenzionali degli animali; l'evoluzione comporterebbe un distacco delle azioni dal loro impulso immediato, per divenire un segno. [AWB, p. 71.] L'espressione sarebbe, secondo l'ipotesi di Darwin, "un relitto, il residuo del gesto, pieno di diretto significato, che in stadi remoti traduceva in azione immediata il turbamento psichico. [...] Il gesto reattivo dei progenitori è divenuto segno; impedito nella sua traiettoria naturale ha acquistato una funzione "espressiva", ha costituito un linguaggio, anzi la forma elementare e universale del linguaggio." [G. A. Ferrari, Introduzione, cit., p. XIII.] L'espressione ha dunque perso, secondo Darwin, la sua funzione primaria; in tale ottica, le espressioni facciali sono residui simbolici di un atto biologicamente utile. Darwin mira all'uomo, vuole inserire anche l'aspetto della vita emotiva, la sua parte più oscura e inafferrabile, nel quadro sicuro e ordinato dell'evoluzione; in quest'ottica egli isola le condizioni mentali perturbate, nelle quali evidenzia due aspetti, l'emozione, interna, sulla quale non si pronuncia, e l'espressione, esterna, visibile, e quindi analizzabile. [ibid.] La teoria dell'evoluzione viene usata da Darwin "non più come soggetto per grandi affreschi, ma come strumento analitico ed esplicativo che consente di accostare e dominare territori che la scienza non aveva mai toccato." [ibid., p. XIV.] In questa fede nella scienza, quale strumento capace di analizzare e spiegare qualsiasi aspetto della realtà, di fornire risposte a tutti gli interrogativi dell'uomo, si può scorgere ancora una volta l'influenza determinante che le teorie positivistiche ebbero su Warburg: prima Usener, poi Vignoli, e infine Darwin, diedero al pensiero di Warburg l'impronta più forte, la certezza in un metodo, quello scientifico, capace di dominare razionalmente ogni aspetto della realtà. Inoltre, l'assenza di una precisa etichetta disciplinare, che condannò L'Espressione all'oscurità, trova la sua immagine speculare nei testi e nel pensiero di Warburg, sempre fedele alla sua logica del "buon vicinato" [Era questa la logica con cui Warburg aveva dato vita alla sua biblioteca, oggi a Londra con il nome di Warburg Institute; un problema teorico poteva essere risolto con la logica del "buon vicino", ovvero cercando una risposta nei testi degli scaffali vicini. Si veda al riguardo S. Settis, Warburg "continuatus". Descrizione di una biblioteca, in "Quaderni storici", n. 58, aprile 1985, pp. 5-8.]
Passiamo ora ad analizzare brevemente il testo di Darwin; in una lettera ad Alfred Russell Wallace, Darwin così si esprimeva riguardo alla genesi dell'opera:
"Io desidero in qualche modo capovolgere l'idea che sir Charles Bell avanza nella sua interessantissima opera The Anatomy of Expression, e cioè che certi muscoli sono stati donati all'uomo unicamente perché egli possa rivelare agli altri uomini i suoi sentimenti. Io voglio cercare di mostrare come sono nate le espressioni." [C. Darwin, Avvertenza editoriale, op. cit., p. 112.]
L'espressione, secondo Darwin, ha due facce: da una parte essa è una testimonianza inconfutabile della lontanissima origine dell'uomo, dall'altra è un sistema di comunicazione non verbale, la cui conoscenza può portare ad un miglioramento dei rapporti nel genere umano. [ibid., p. 114.] Per dimostrare la sua teoria, Darwin ricorse alla fisiologia, prendendone "a prestito" il modello di funzionamento del sistema nervoso: "E' un modello insieme energetico ed idraulico: nel corpo esiste un sistema di canalizzazioni entro il quale l'energia nervosa scorre come un fluido, con la tendenza conservativa a seguire i percorsi abituali". [ibid., p. 115.] Darwin parte (evidenziando l'influenza che su di lui ebbe Lamarck) da una constatazione: i muscoli che circondano gli occhi, responsabili delle più importanti espressioni umane, "si contraggono involontariamente durante le espirazioni forzate violente, in modo da proteggere questi organi delicati dall'aumento della pressione sanguigna." [C. Darwin, L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, cit., p. 117. Tali muscoli vengono designati da Darwin con il termine francese di sourcilier (corrugator supercilii), p. 118.] Quello che egli critica nell'opera di sir Charles Bell, Anathomy and Philosophy of Expression (1806), è il non spiegare il perché differenti muscoli vengano attivati sotto l'effetto di diverse emozioni; Bell, infatti, coerentemente con il pensiero della sua epoca, riteneva che le espressioni facciali fossero innate. [ibid., p. 118. Osservando gli affreschi eseguiti da Masolino e Masaccio nella Cappella Brancacci, aventi come oggetto la vita di San Pietro, mi sono resa conto di quanto questa affermazione di Darwin, sull'importanza dei sourciliers nella definizione di molte espressioni, dovesse aver colpito Warburg: le espressioni dei volti sono evidentemente definite, soprattutto in Masaccio, dai muscoli sopracciliari.]
Darwin si richiama a Pierre Gratiolet, uno studioso francese di anatomia, e alla sua definizione dei movimenti simbolici (gesti compiuti inconsciamente per rafforzare un'azione o un comportamento), sull'origine dei quali lo studioso francese non era riuscito a trovare una risposta; per Darwin, essi sono legati all'ereditarietà e in una certa misura all'abitudine: un uomo tenderà inconsciamente a ripetere i gesti che in altre occasioni hanno prodotto un esito positivo. [ibid., pp. 120-121.]
Darwin rileva come tutti gli autori (eccetto Herbert Spencer) che hanno scritto sull'espressione, fossero convinti che l'uomo fosse apparso sulla terra con le sue caratteristiche attuali; Bell, profondamente convinto di questo, affermava che certi muscoli facciali "servono unicamente per l'espressione". [ibid., p. 123.] Questo era un ovvio corollario della tesi creazionistica, alla quale Darwin oppone la constatazione che molte espressioni si ritrovano identiche in specie distinte (è il caso del riso nell'uomo e nella scimmia); tale caratteristica risulta comprensibile solo ammettendo un'origine comune nella linea evolutiva. [ibid., pp. 124-125.]
Darwin presenta, poi, il materiale osservativo su cui si fonda la sua analisi; 1) in primo luogo l'osservazione dei bambini; essi, secondo l'autore, esprimono le emozioni con grande intensità; 2) i pazzi divengono anch'essi oggetto di osservazione, dal momento che sono sottoposti alle più violente sollecitazioni emotive; 3) Darwin ricorre ai dati dell'esperimento di Duchenne, il quale stimolò i muscoli della faccia di un vecchio con una corrente continua, ottenendone varie espressioni, che vennero fotografate; queste fotografie, mostrate a varie persone, portarono al riconoscimento di varie espressioni; 4) Darwin afferma di aver fatto ricorso anche ai maestri della pittura e della scultura, grandi osservatori, ma di avervi trovato poco aiuto. "Penso che ciò dipenda dal fatto che l'opera d'arte mira soprattutto alla bellezza; e la bellezza scompare da una faccia in cui i muscoli sono fortemente contratti"; [ibid., pp. 125-127.] 5) Darwin si propone di accertare se gli stessi gesti e le stesse espressioni si trovano in tutte le razze umane; se così fosse, si potrebbe concludere che tali espressioni sono autentiche, ossia innate o istintive; 6) infine, Darwin analizza le espressioni più comuni negli animali, con l'intento di individuare le cause e l'origine dell'espressione. [ibid., pp. 127-129.]
Nel sottolineare la difficoltà più grave della sua ricerca, ossia capire la causa e l'origine delle diverse espressioni e trovarne una spiegazione teorica accettabile, egli trova una soluzione nell'osservare se uno stesso principio che spiega una certa espressione sia applicabile in casi analoghi, sia per l'uomo, sia per gli animali. [ibid., p. 130.]
Nel primo capitolo, Darwin presenta i "principi generali dell'espressione", ossia i principi che spiegano la maggior parte dei gesti e delle espressioni usati involontariamente dall'uomo, sotto l'influsso delle varie emozioni.
"1. PRINCIPIO DELLE ABITUDINI ASSOCIATE UTILI. Alcuni atti complessi hanno un'utilità diretta o indiretta in certi stati d'animo, perché alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri e così via; ogni volta che si riproduce lo stesso stato d'animo, anche se appena accennato, c'è la tendenza - in forza dell'abitudine o per associazione - a ripetere quegli stessi movimenti, anche se in quel momento non danno alcun vantaggio. [...] 2. PRINCIPIO DELL'ANTITESI. [...] Quando sopravviene uno stato d'animo che sia l'esatto contrario del precedente, si ha una forte e involontaria tendenza a eseguire movimenti di natura opposta, anche se sono del tutto inutili, e tali movimenti in alcuni casi sono altamente espressivi. 3. PRINCIPIO DEGLI ATTI DETERMINATI DALLA COSTITUZIONE DEL SISTEMA NERVOSO, CHE SONO TOTALMENTE INDIPENDENTI DALLA VOLONTA' ED ENTRO CERTI ANCHE DALL'ABITUDINE. Quando il sistema sensoriale è fortemente eccitato, si genera un eccesso di energia nervosa che si trasmette in alcune definite direzioni, che dipendono dalle connessioni delle cellule nervose e in parte dalle abitudini; oppure, a quanto risulta, l'afflusso di energia nervosa può venire interrotto. Sono così prodotti effetti che noi interpretiamo come espressivi." [ibid., pp. 138-139.]
Riguardo al primo principio, Darwin osserva: "E' molto probabile che si produca qualche modificazione fisica nelle cellule nervose o nei nervi che sono usati abitualmente, perché altrimenti è impossibile capire come possa essere ereditata la tendenza a certi movimenti acquisiti". [ibid., p. 140.] Egli adduce a dimostrazione di questa sua tesi un esperimento compiuto su uno dei suoi figli, quando il piccolo aveva 114 giorni: scuotendo davanti al neonato una scatola contenente delle caramelle, il piccolo reagì sbattendo le palpebre e sussultando; dal momento che, per ovvii motivi, il bambino non poteva avere esperienza che quel rumore potesse recargli pericolo, Darwin conclude che quel comportamento era parte del suo patrimonio ereditario. [ibid., p. 147.]
Per illustrare il primo principio, Darwin adduce anche un comportamento felino: i gatti, quando si trovano in situazioni di comodità e felicità (ad esempio, quando vengono accarezzati), danno dei colpetti ritmati con le zampe anteriori, presentando le dita distese e le unghie un po' scoperte: lo stesso atteggiamento che presentano da neonati, quando assumono il latte dalla madre; a parere di Darwin, "si può dire che questo atto è quasi diventato l'espressione di una sensazione di piacere". [ibid., p. 153.]
Darwin osserva come gli atteggiamenti di affetto e di ostilità dei cani e dei gatti si ritrovano identici in tutte le razze di ognuna delle due specie, quindi è ragionevole pensare che essi siano ereditari. [ibid., p. 160.] Egli adduce poi un altro esempio domestico, riguardante il suo cane, a sostegno del Secondo Principio:
"Tempo fa possedevo un grosso cane a cui, come a tutti i cani, piaceva molto andare fuori a passeggio. Egli mostrava la sua contentezza trotterellando solennemente davanti a me con passi ben marcati, e intanto teneva la testa molto alta, gli orecchi moderatamente sollevati, e la coda eretta, ma non in modo rigido. Non lontano dalla mia casa c'è un sentiero sulla destra che porta alla serra, dove spesso andavo per pochi minuti per guardare le mie piante sperimentali. Andare lì era sempre un gran dispiacere per il cane, perché non sapeva se poi avrei continuato la passeggiata, ed era molto buffo vederlo cambiare istantaneamente e completamente espressione non appena accennavo a deviare verso il sentiero. [...] La sua aria desolata era conosciuta da tutti i membri della mia famiglia ed era chiamata la sua "faccia da serra". [...] Ogni particolare dell'atteggiamento del cane era l'esatto contrario del portamento precedente, gioioso e allo stesso tempo solenne; e l'unica spiegazione che se ne può dare, secondo la mia convinzione, è quella offerta dal principio dell'antitesi". [ibid., p. 161.]
Il Terzo Principio aiuta a determinare certi atti, espressione di certi stati mentali, derivanti dalla costituzione stessa del sistema nervoso; tra questi atti, Darwin cita menziona il tremito e il battito cardiaco accelerato; [ibid., pp. 167-169.] egli descrive magistralmente i sintomi della collera: attività del cuore accelerata, faccia rossa o estremamente pallida, respirazione alterata, tremito, voce alterata, tutti sintomi dovuti, secondo Darwin, all'iperattività del sensorio eccitato. I gesti che si compiono in queste situazioni sono, secondo Darwin, del tutto simili a quelli che si compiono per aggredire un nemico. [ibid., p. 173.]
Darwin mette in rilievo come il principio dell'abitudine associata abbia avuto un ruolo importantissimo nel determinare i gesti che esprimono sentimenti ed emozioni forti, portando così alla formazione di un serbatoio espressivo che si è stratificato nel tempo ed è stato trasmesso alla generazioni successive delle varie specie. [ibid., p. 177.] Sull'espressione del dolore, Darwin rileva come gli occhi si chiudano durante la manifestazione di questa emozione; i primi muscoli ad essere attivati in questo atto sono i corrugatori del sopracciglio (corrugator supercilii), i quali spingono le sopracciglia in basso e in dentro verso il naso, causando il corrugamento della fronte. [ibid., p. 234.] La capacità di usare i muscoli del dolore è ereditaria (essi vengono usati poco, e la loro contrazione è momentanea, così è facile che sfuggano all'osservazione); a sostegno di tale ipotesi, Darwin porta l'esempio di una donna appartenente ad una famiglia di attori, bravissima nel produrre un'espressione di dolore. [ibid., p. 263.]
Darwin osserva come gli scultori greci dovessero conoscere molto bene l'espressione del dolore, portando ad esempio il gruppo scultoreo del Laocoonte; nel rilevare come in quest'opera le rughe siano erroneamente estese a tutta la fronte, Darwin ritiene che essi non commettessero un errore anatomico, bensì che sacrificassero volutamente la verità in nome della bellezza. [ibid., p. 264; nella stessa pagina Darwin scrive, a proposito del Beato Angelico, che una signora gli ha riferito che nella Deposizione di Firenze, l'espressione del dolore si trova dipinta in modo molto realistico in uno dei personaggi. Questo modo così scientifico e razionale di affrontare i grandi artisti del passato deve aver influenzato moltissimo Warburg, desideroso di trovare un approccio rigoroso allo studio delle opere d'arte.]
Sull'importanza di quest'affermazione dal punto di vista della formazione di Warburg è importante soffermarsi; nella sua prima giovinezza Warburg aveva letto il Laocoonte di Lessing [Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) influenzò molto profondamente l'estetica del Settecento, con le teorie contenute nel Laokonder uber die Grenzen der Malerei und Poesie(1766), nel quale sosteneva la differenza tra arti figurative e poesia, in quanto rispettivamente operanti nello spazio e nel tempo. L'opera che lo ispirò è il celebre gruppo marmoreo dei Musei Vaticani, trovato (1506), sul colle Oppio, opera ellenistica di Alessandro, Atenodoro e Polidoro di Rodi.], lettura che lo portò a riflettere sul problema del pathos, del movimento e dei gesti violenti nelle arti figurative e plastiche. [AWB, p. 29; al riguardo Gombrich si esprime nel seguente modo: "Era il problema dell'espressione della sofferenza, del riserbo e dell'abbandono negli estremi stati emotivi, un problema destinato a far vibrare una nota nella mente di un adolescente ipersensibile, soggetto a crisi di nervi".] Sicuramente le affermazioni di Darwin lo portarono ad approfondire ancora di più questo tema, per scoprire quali erano le cause che portavano un artista a scegliere un modulo espressivo, anziché un altro.
Tornando al testo di Darwin, egli ipotizza che all'origine di questa contrazione degli occhi ci sia il desiderio inconscio di proteggerli: "Tutti noi quando eravamo bambini abbiamo contratto ripetutamente i muscoli orbicolari, corrugatori e procerus allo scopo di proteggere i nostri occhi quando strillavamo; i nostri progenitori hanno fatto la stessa cosa per un gran numero di generazioni". [Op. cit., p. 270.] Sempre analizzando l'espressione del dolore, Darwin sposta l'attenzione sui muscoli (depressor anguli oris) responsabili dell'abbassamento degli angoli della bocca, determinanti nel definire l'espressione di depressione, di afflizione o di scoraggiamento prodotta dalla contrazione di questo muscolo. [ibid., p. 271; è interessante il richiamo che Darwin fa all'espressione inglese "essere giù di bocca", sinonimo dell'espressione "essere giù di spirito".]
I muscoli sopracciliari sono coinvolti, continua Darwin, anche nell'attività dell'aggrottare le sopracciglia, attività legata a momenti di riflessione, meditazione, irritabilità, malumore, determinazione, o anche alla percezione di un sapore o di un odore strano. "I muscoli corrugatori del sopracciglio, contraendosi, abbassano e avvicinano fra loro le sopracciglia, in modo che si formano sulla fronte delle rughe verticali: in questo consiste l'aggrottamento delle sopracciglia (o corrugamento della fronte, o cipiglio). Bell, il quale credeva, sbagliando, che il corrugatore fosse peculiare dell'uomo, lo definisce come "il muscolo più importante della faccia umana"". [ibid., p. 296.] Un'altra espressione legata al corrugator supercilii, è quella dello stupore, caratterizzata dal tipico sopracciglio verso l'alto, anch'essa innata, come mostra l'esempio, adotto dall'autore, di Laura Bridgman, una ragazza nata sorda e cieca: anch'essa mostrava quest'atteggiamento, quando era sorpresa. L'origine di questo atteggiamento, spiega l'autore, richiamandosi ad un'osservazione di Bell, è rintracciabile nel voler vedere tutto con immediata chiarezza; è l'atteggiamento dell'ubriaco, continua Darwin, che, vinto dal torpore causato dall'alcool, tende a sbarrare gli occhi, per riuscire a vedere: "Per controbilanciare questa tendenza [ad addormentarsi] l'ubriaco solleva le sopracciglia, e ciò gli fa assumere uno sguardo strano e sconcertato, che è ben rappresentato in uno dei disegni di Hogarth". [ibid., pp. 348-349.] La bocca aperta e il conseguente "oh!" (dovuto, secondo Darwin, proprio alla posizione delle labbra), si accompagnano a gesti del corpo, come le mani alzate, aperte: "Nel Cenacolo di Leonardo da Vinci due degli apostoli hanno le mani sollevate a mezz'altezza, e ciò fa capire chiaramente la loro meraviglia". [ibid., pp. 352-353.]
Concludendo la sua trattazione, Darwin osserva come le espressioni siano riconosciute senza che vi sia un'operazione consapevole di analisi, e come le più importanti tra esse si ritrovino pressoché identiche in tutto il genere umano, offrendo un'ulteriore conferma alla sua teoria secondo cui le diverse razze sono derivate da un unico ceppo parentale. [ibid., p. 414-416.] Il testo si chiude con questa osservazione:
"L'espressione per se stessa - o il linguaggio delle emozioni, come è stata chiamata qualche volta - ha certamente una grande importanza per il benessere del genere umano". [ibid., p. 420.]
L'importanza di Darwin per Warburg è innegabile. In primo luogo, la rilevanza metodologica che Darwin riconosce alla fotografia quale strumento analitico per eccellenza, supporto insostituibile per la sua opera, grazie all'istantaneità e obiettività (e dunque alla tendenziale eliminazione dell'interprete) di cui è dotata per sua stessa struttura fisica, si ritrova nell'opera tarda di Warburg, ma così importante per lui, ossia Mnemosyne, l'Atlante per immagini. [Si tratta di una serie di pannelli tematici di fotografie, attraverso i quali Warburg si proponeva di ricostruire la migrazione del patrimonio delle immagini, attraverso i secoli, nel bacino del Mediterraneo.] "L'Espressione" è, infatti, una delle prime opere dotate di un supporto fotografico: a parere di Darwin, queste immagini, anche se riprodotte in eliotipia (una tecnica che talora non garantiva una gran nitidezza all'immagine) erano enormemente preziose ("sono copie fedeli e, per i miei scopi, superiori a qualsiasi disegno, per quanto accuratamente eseguito" [ibid., p. 320.]). Analogo fu l'atteggiamento di Warburg nei confronti della sua creatura più tarda: con una serie di immagini della ninfa, per esempio, o del Perseo, egli riusciva a rendere visivamente chiaro e comprensibile ciò che a parole non era altrettanto scontato. [AWB, p. 241-260.]
Ancora più forte è l'influenza esercitata sulla teoria warburghiana del simbolo estetico dalla teoria darwiniana dell'espressione; come osserva Gombrich, "benché Warburg non l'abbia mai ammesso esplicitamente, la sua teoria dell'espressione rimase legata al libro di Darwin". [AWB, p. 210.] Per comprendere questo, Gombrich richiama, nella "Biografia Intellettuale", le teorie di Richard Semon, del quale Warburg possedeva il libro sulla Mneme [ibid.]. Semon elaborò la nozione di engramma: esso è la traccia che lascia un evento sulla materia vivente, a dimostrazione della propria influenza; l'energia conservata in questi "engrammi" può essere riattivata e scaricata, provocando una reazione nell'organismo, in quanto sta ricordando l'evento scatenante [ibid.]; nella storia culturale, il corrispondente dell'"engramma" è il simbolo: in esso si ritrovano conservate quelle energie da cui esso ha tratto la propria origine [ibid.]. Gombrich osserva:
"Secondo l'interpretazione di Warburg, che rivela chiare tracce delle teorie evoluzionistiche del Vignoli, la condizione animale darwiniana e il "primitivo" pressoché confluiscono l'una nell'altro. Per Warburg non è l'animale ma l'uomo primitivo a soggiacere totalmente alle emozioni e alle passioni che lo tengono in pugno. Proprio l'uomo primitivo ha coniato quei pregnanti simboli delle reazioni primigenie che sopravvivono nelle tradizioni come archetipi dell'esperienza umana". [AWB, p. 211.]
Il legame tra l'espressione darwiniana e il simbolo di Warburg è fortissimo: come per Darwin l'espressione è deposito di una capacità reattiva cristallizzata, così, per Warburg, il simbolo è deposito delle emozioni e delle paure che hanno spinto l'uomo a generarlo. Gli entusiasmi religiosi dei rituali primitivi, la frenesia dionisiaca, l'esagitato movimento della menade danzante, si cristallizzano in immagini destinate a risvegliare nell'osservatore, sia esso un uomo del Rinascimento o un contemporaneo, emozioni intensissime; tali immagini, sotto forma di simboli, trasformano l'immaginario artistico in una sorta di "cassaforte" del patrimonio emotivo della civiltà umana.
Gombrich evidenzia, poi, un altro aspetto dell'influenza di Darwin su Warburg: Warburg voleva fare del suo Atlante un inventario delle reazioni dell'uomo, sia di quelle di natura emotiva, sia di quelle di natura razionale, "Anche le immagini dell'universo e le forme mitiche andavano intese come proiezioni radicate nel bisogno di vincere la paura. Era proprio questa idea dell'origine del mito e della scienza nel patrimonio ereditario emozionale, sostenuta anche da Darwin nel suo libro sull'espressione delle emozioni, ad autorizzare Warburg a collegare le immagini mentali delle forze cosmiche con l'espressione delle emozioni fondamentali nei riti e nell'arte". [AWB, p. 243-244.]
Questo concetto di simbolo come deposito dell'immaginario collettivo diviene fondamentale quando si pensa alle ricerche di Warburg sul mito e sull'astrologia. Nel già citato saggio su Palazzo Schifanoia, Warburg dimostrò, sulla scorta delle ricerche dell'orientalista Franz Boll (1867-1924), che nel 1903 pubblicò Sphaera, ricostruzione puntuale delle teoria astrologiche del mondo antico, che l'origine del ciclo di Schifanoia era da ricercarsi proprio nell'astrologia antica giunta, attraverso la mediazione dei trattati arabi e del Medioevo, fino al Rinascimento. Warburg mise in rilievo il forte interesse per l'astrologia che aveva animato il Medioevo prima del Rinascimento e che trovò espressione nella pubblicazione di trattati astrologici. [RPA, p. 249; Cfr. M. Bertozzi, La tirannia degli astri, Bologna, Cappelli, 1985, p. 16: "L'intento di Warburg era quello di mostrare il riemergere delle antiche divinità olimpiche, nelle forme originarie, dai bizzarri travestimenti medievali. Per questo egli si immerse nello studio della mitografia e dell'astrologia [...] ritrovando nei manoscritti medievali quella tradizione che aveva consentito la "sopravvivenza delle antiche divinità pagane. Questa rinascita Warburg la ritroverà poi, come nella trasparenza di una crisalide, anche nelle superstiti divinità olimpiche che trionfano sulle pareti di Schifanoia"".] Il ciclo astrologico, di cui rimangono sette aree affrescate su dodici, è suddiviso in tre livelli: in basso troviamo episodi della vita del committente, Borso d'Este, in alto le divinità olimpiche tutelae del mese, secondo la dottrina di Marco Manilio, nel livello centrale troviamo le enigmatiche figure dei decani, sulle quali si concentra l'attenzione di Warburg; egli si propone di dimostrare, "estendendo il campo di osservazione a oriente, che esse sono elementi sopravvissuti di una concezione astrale del mondo delle divinità greche. Sono di fatto null'altro che simboli delle stelle fisse i quali, errando per secoli dalla Grecia attraverso l'Asia Minore, l'Egitto, la Mesopotamia, l'Arabia e la Spagna, certo hanno perduto in pieno la chiarezza dei loro contorni greci". [ibid., p. 252.] In merito è interessante riportare un'osservazione di Alessandro Dal Lago:
"Gli déi, travestiti da clown e degradati nell'astrologia, oppure trasfigurati nell'arte rinascimentale, fanno risuonare all'alba della modernità una nota arcaica: un'armonia cosmica intrisa di malinconia, quale sarà ripresa nell'arted i Durer, ma anche il pathos pagano che rivive con la rappresentazione quattrocentesca della passione nella arti figurative". [A. Dal Lago, L'arcaico e il suo doppio. Aby Warburg e l'antropologia, in "autaut", n. 199-200, Firenze, La Nuova Italia, Gennaio-Aprile, 1984, pp. 69-70. Cfr. G. Bing, Aby M. Warburg, in "Rivista storica italiana", LXXII, 1960, p. 109: "Non è difficile tracciare il ponte ideale che conduce dalle formule del pathos all'astrologia nei lavori di Warburg. Anche l'astrologia è una porzione di tradizione figurativa che si può seguire dalla tarda antichità fino al Rinascimento. I nomi e le figure dei pianeti e le figure dello zodiaco sono tuttora testimoni della fantasia mitopoietica che animava i Greci".]
Gli déi, pur travestiti, sono il retaggio di un antico modo di rappresentare le fantasie mitopoietiche del primitivo di fronte al creato: per dirla con Darwin, essi sono un serbatoio espressivo di emozioni.
Delineando una breve storia dell'astrologia, Warburg evidenzia come la comparsa della dottrina dei decani si abbia nel trattato del babilonese Teucro, la Sphaera barbarica, poi ricostruito puntualmente da Boll nel suo Sphaera. [RPA, pp. 252-254. La teoria dei decani, di origine egizia, fece la sua prima comparsa in monumenti del 2150 a.C.; ne è fedele riproduzione la Tabula Bianchini, tavola di età imperiale, ritrovata sull'Aventino nel 1705, oggi a Parigi, usata da Warburg per stabilire dei confronti (RPA, p. 256).] Ritrovando così la remota origine del ciclo rinascimentale, Warburg ristabilisce anche il collegamento con il mondo che aveva creato quei simboli: l'antico egiziano aveva animato la volta celeste per dare un senso alla propria esistenza e vincerne così le paure; il simbolo astrologico, il decano, carico ancora di tutta l'energia in esso depositata, aveva attraversato i millenni, per giungere ad animare le pareti di un palazzo rinascimentale, dove, come simbolo artistico, egli ha una duplice valenza: da una parte, oggetto di contemplazione estetica, dall'altra, simbolo ancora carico di tutta l'energia che gli venne conferita nel momento della creazione, quindi capace di evocare sentimenti ed emozioni ancora forti. L'uomo rinascimentale, come l'antico egizio, ad esso guardava per trarre risposte per la propria esistenza. Da qui il senso che ebbe l'astrologia per il mondo rinascimentale: non mera pratica da rotocalco, ma una sorta di religione parallela al cristianesimo, in cui credere e a cui affidare le domande circa le proprie sorti.
In questo senso va rivitalizzata la lezione warburghiana, sulla cui sostanza insiste Marco Bertozzi, sottolineando che "l'interpretazione di Warburg [è] ancora fortemente produttiva proprio perché ci costringe a pensare non solo al problema delle "fonti" astrologiche di Schifanoia, ma ci proietta anche nel sottosuolo, nel fondo della tecnica astrologica, cioè nella sua "essenza", nella sua richiesta di senso", seguire la lezione di Warburg, per Bertozzi, "significa pensare che ancora ci riguarda l'immagine che l'uomo del Rinascimento (in un colloquio vivente e ricreativo con la cultura antica) veniva costruendo di se stesso e del posto che intendeva occupare nel cosmo. [...] Si tratta [...] di accedere a quella mentalità che teneva insieme la logica (astronomica) e la magia (astrologica)". [M. Bertozzi, Il talismano di Warburg. Considerazioni sull'impianto di Palazzo Schifanoia, in Alla corte degli Estensi. Filosofia, arte e cultura a Ferrara nei secoli XV e XVI, a cura di Marco Bertozzi, Ferrara, 5-7 marzo 1992, Università degli Studi, MCMXCIV, pp. 199-208.]
A conclusione di questo articolo, che mi auguro sia stato sufficientamente esauriente, desidero riportare un'osservazione di Franz Boll, Carl Bezold, Wilhelm Gundel, contenuta nella loro Storia dell'astrologia, un'opera maturata in seno all'Istituto Warburg quando era ancora ad Amburgo; per i tre autori la grande forza dell'astrologia è che "essa tramanda nei millenni, con straordinario vigore, la fede orientale nelle stelle; compie il tentativo di un'incredibile audacia di interpretare il mondo come un Tutto, una sola grande unità. [...] L'astrologia, nei limiti in cui pretendeva, con mezzi inadeguati, d'esser scienza, è morta; ma ciò che ha dato senso ed impulso all'illusione brancolante nel vuoto continua a vivere e non cesseràdi farsi luce nell'inesausto anelito della natura umana ad una visione unitaria del mondo e alla pace dell'anima". [C. Bezold, F. Boll, W. Gundel, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen der Astrologie, Stuttgard, B. G. Teubner, 1966 (tr. it. parz., Storia dell'astrologia, Roma-Bari, laterza, 1977, p. 179).]