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Leonard B. Meyer

Per esemplificare sinteticamente l'atteggiamento culturale dello studioso che qui stiamo per presentare è giusto citare una sua frase ricorrente, riferita da J.M. Levy: "le persone non sono tutte d'un pezzo".

Leonard B. Meyer, insomma, non perde occasione per dimostrare il suo scetticismo nei riguardi di coloro che parlano di persone o cose, imponendo aprioristicamente un'unità, un'organicità, una coerenza, anche quando questa non è provata dai fatti. La ricerca della prova fattuale è sempre dominante nella sua opera ed egli è sempre disposto a mettersi in discussione qualora non abbia trovato degli esempi che provino empiricamente ciò che afferma. Meyer inizia i suoi studi formati con S. Wolpe, attorno al quale si forma una cerchia di musicisti, quella che si dice una "scuola". Ma questa esperienza è baslare per Meyer soprattutto perché l'esempio di Wolpe va oltre il campo della composizione, influenza i suoi studi formali e probabibnente anche la formulazione della sua tèoria sulla melodia. Durante il periodo di studi alla Columbia University segue vari corsi fra cui quelli di Mitchell Curt Sachs e studia composizione con Aaron Copland. Inizia a insegnare a Chicago nel 1946, prendendo il posto dello stesso Copland; in alcuni periodi si dedica alla composizione: a questi anni risalgono la Musica per orchestra, le Tre canzoni per coro misto, flauto, clarinetto, corno e arpa (1948), il Trio per pianoforte, clarinetto e viola (1947), la Sonata per violino e pianoforte (1948), le Variazioni per pianoforte (1950).

Le composizioni poi si fanno più rare, perché Meyer è impegnato nel conse guimento del Ph.D. in "Storia della cultura", cosicché il suo interesse si sposta sempre piú dalla composizione verso l'estetica, la teoria e la psicologia della musica. Quest'ultima in particolare diventa la materia della sua dissertazione nel conseguimento del Ph.D. in "Storia della cultura", che diventa poi il suo primo libro: Emotion and Meaning in Music (1956).

In questo testo Meyer sviluppa in termini psicologici un'idea dinamico del significato musicale derivata da Heinrich Schenker. Le forme e gli stili musicali vengono interpretati come sistemi di attesa evolventesi storicamente. Le conferme e le frustrazioni di queste attese danno luogo a "patterns" di tensione, che crescono, perdurano e infine si risolvono, e che i musicisti avvertono in primo luogo come ordine musicale e in secondo luogo come causa delle emozioni provate. La teoria di Meyer quindi attua una correlazione tra proprietà formali e proprietà espressive che altri studiosi di estetica hanno avuto modo di contrastare; certo è che la sua carriera inizia sotto un buon auspicio e che questo libro può essere considerato uno dei primi sforzi ed uno dei piú innovativi, per discutere in termini concreti la rilevanza delle leggi della psicologia della Gestalt nell'analisi musicale e nello studio della percezione musicale. Emotion and Meaning in Music esplora anche come queste leggi potrebbero essere usate per una teoria della percezione estetica in generale. Il libro è rimasto un punto di riferimento per tutti gli studi in estetica musicale, in psicologia della musica e in teoria della comunicazione.

Negli anni di insegnamento a Chicago comincia a lavorare sul ritmo ed arriva cosí al suo piú itnportante libro sull'argomento, The Rhytmic Structure of Music (scritto con G. Copper e pubblicato nel 1960), uno studio teorico che continua ad esplorare l'importanza delle leggi della Gestalt per la percezione e l'analisi musicale (qui però applicate specificatamente al ritmo) The Rhythmic Structure of Music ha un chiaro intento codificatorio, che parte dall'applicazione analitica dei piedi poetici ai vari livelli gerarchici della musica. Un metodo analitico già adottato da diversi teorici in precedenza, ma che Cooper e Meyer impiegano senza quasi nessun riferimento al passato, approdando all'identicazione di raggruppamenti ritmici non sempre equivalenti a quelli della metrica poetica.

Di qualche anno dopo è la pubblicazione del suo terzo libro, Music, the Arts and Ideas (1967), un'opera originale contenente ampi saggi su varie tematiche: teorie dell'informazione, estetica, storiografia. E suo principale obiettivo tuttavia è di fare ordine tra la moltitudine degli stili musicali emersi in Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Con la sua penetrante analisi Meyer prevede che, a differenza di epoche precedenti, la nostra continuerà ad essere dominata da una molteplicità stilistica; nella cultura del nostro secolo, egli sostiene, ogni classe socio-politico-economica coltiva la propria musica preferita: così non esiste solo il pubblico specializzato in musica classica o barocca ma anche in minimalismo, espressionismo, serialismo, jazz, rock, contry, gospel, soid, big band.

In Music, the Arts and Ideas c'è un'altra predizione coraggiosa che sembra essersi avverata: l'autore afferma che il serialismo integrale come tecnica compositiva si sarebbe fatalmente dissolto, mancando della ridondanza necessaria per permettere a degli ascoltatori (anche inesperti) di imparare una sintassi ben precisa; e conseguentemente le basi "pseudo-scientifiche" del serialismo integrale non avrebbero mai raggiunto un ampio successo neanche tra il pubblico più esperto e appassionato.

Contemporaneamente alla pubblicazione di Music, the Arts and Ideas, Meyer inizia a lavorare a Explaining Music: Essays and Explorations che uscirà nel 1974, dopo essere stato presentato in gran parte come lettura pubblica all'Università di Berkeley.

In questo testo Meyer lascia il terreno dell'analisi musicale e culturale dell'epoca contemporanea per tornare alla codificazione e alla precisazione di determinate idee analitiche. Il libro è diviso in due parti: la prima contiene saggi sulla critica, sull'esecuzione, sulla struttura conforme, sulle gerarchie della musica tonale. La seconda parte contiene una teoria dell'implicazione melodica ed anche una sintesi delle idee discusse in Emotion and Meaning in Music e in The Rhythmic Structure of Music. In particolare formula alcune teorie sugli archetipi melodici (melodie ad "intervalli riempiti" - gap-fill - e melodie "a note di volta" - changing-note -) e alcune leggi di continuità, seguendo le quali si possono individuare certe strutture melodiche basilariiari (schema assiale, triadico, lineare,complementare.

Nel 1989 - Meyer è adesso docente all'Università della Pennsylvania esce un suo nuovo libro Style and Music.- Theory, Story, Ideology, nel quale Meyer ricostruisce una nuova storia organica della musica secondo gli stili.

Può essere utile, per concludere, sottolineare alcuni aspetti della personalità di Meyer. Il fatto che egli sia uno stacanovista non si può mettere in dubbio: il lavoro per lui è una sorta di gioco, e il piacere e la passione che prova in esso permeano non solo la sua attività professionale ma anche la sua vita di ogni giorno. Il suo spirito per la ricerca è presente in ogni momento e in ogni luogo; basti pensare alla sua abitudine di portare sempre con sé un libricino su cui apporre note e riflessioni che arricchisce continuamente. Nessun discorso su Meyer, inoltre, sarebbe valido senza considerare il suo valore come insegnante: nei confronti dei suoi studenti ha avuto sempre un atteggiamento di grande generosità, elargendo senza risparmio le sue originali idee. Non ha mai cercato tuttavia di fondare una "scuola", un circolo chiuso intorno a sé, proprio per il suo atteggiamento pluralistico, testimoniato dai suoi stessi libri. Egli ha sempre un forte disprezzo per ogni cosa che si presenti come una verità con la V maiuscola e, prima di accettarne una qualsiasi, la sua natura lo ha sempre portato a cercare delle prove precise che la verificassero. Le opere teorico-analitiche di Meyer, soprattutto quelle a carattere epistemologico, rappresentano le varie tappe di una ricerca dell'"unità nomotetica" dell'esperienza e della cultura.

Testimone di questo suo atteggiamento è il saggio che qui viene riportato:

Le scienze, le arti e gli studi umanistici

Claudia di Prisco

 

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