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A. TRIONE,L'ordine necessario, Il melangolo, Genova, 2001
Romeo Bufalo

Il libro di Aldo Trione è accattivante fin dal titolo. Parlare infatti di 'ordine' e, soprattutto, di 'necessità' a proposito di una sfera, come quella dell'arte, che è in genere pensata come la più lontana dalla categoria della necessità, costituisce sicuramente un motivo di attrazione e di attenzione particolari.

L'idea di un ordine necessario (come, del resto, quelle di un'"ostinata armonia" e di un'"ars combinatoria", che sono i titoli di due libri recenti dell'autore) disegna una prospettiva in cui uno dei luoghi più significativi del pensiero 'concreto' viene individuato in quella dimensione analogica e fantastica che è la capacità di produrre/costruire immagini. Si tratta di un produrre che, in quanto tessitura accurata, specifica di relazioni sensibili, si configura come onto-cosmo-poiesis. Ossia come invenzione logico-poietica di figure, immagini, segni, cifre, caratteri che vanno anche al di là della natura, o, addirittura, contro la natura.

Questa capacità di andare oltre i limiti della rappresentazione finita di un universo finito, fatta con dispositivi e strumenti sensibili, è il segno di un sapere della particolarità. Vale a dire di un sapere il cui alfabeto rinvia ad una lingua meta-fisica, inventa e suggerisce ciò che non c'è, più che descrivere e riflettere ciò che è. E' una lingua sensibile che fissa le cose e gli eventi rendendoli memorabili, e fissandoli, in tal modo, in un ordine necessario. Quest'ordine e quel sapere sono strettamente legati fra loro.

Il sapere su cui si insedia quest'ordine necessario è infatti, come dice Trione, un sapere del particolare. Questo è un punto centrale del libro, la cui discussione ci porterebbe però molto lontano. Schematicamente, si può dire che il sapere della tradizione occidentale è stato quasi sempre un sapere dell'universale. L'idea di sapere che infatti si afferma storicamente e vince (anche su forme di sapere sensibile straordinariamente avvertite, ad esempio, da Aristotele nel De anima, in cui si profila una conoscenza noetica accanto ad una dianoetica) è quella legata al conoscere logico-concettuale. La necessità che abbiamo ereditata è pertanto quella del concetto (basata sul principio di identità), che ha, nella sua universalità, sciolto ogni legame con la molteplice varietà del sensibile da cui è partito (basti pensare a Hegel ed alla sua idea di una necessità connessa all' universalità del concetto). Dunque, l'universalità e la necessità si guadagnano a patto di perdere per strada, nel processo ascensionale verso l'uno, la varietà e ricchezza sensibile di ciò che è singolare/particolare. Il concetto è, in fondo, lo scheletro logico di una realtà molteplice,caotica, ma tuttavia piena di sapori, di odori e colori.

Sembra pertanto che ci troviamo di fronte ad una paralizzante alternativa: o stare con gli scheletri (che però ci consentono di comunicare in termini universali e necessari) o stare muti di fronte alla concretezza singolare, ir-razionale e indicibile di ciò che è contingente, mutevole, molteplice.

Ora, la prospettiva delineata da Trione (qui e altrove) è che le cose potrebbero stare diversamente. Per esempio, potrebbe darsi che a quelle cose sensibili da cui il concetto si è allontanato, si possa ritornare rinominandole e risignificandole in modi nuovi . Si veda, per esempio, il capitolo "Ritornare alle cose", dove, citando Hoffmanstal, Trione scrive che dalla solitudine più disperata il poeta rinomina le cose per conferire loro un senso. E può accadere che un erpice abbandonato, un cane, un cimitero desolante, uno storpio, cioè elementi casuali e 'banali', e tanti altri 'oggetti desueti', per usare un'efficace espressione di Francesco Orlando, possano diventare occasione di un'improvvisa rivelazione di sensi. Può, in altri termini, accadere che ci si imbatta in una necessità legata, paradossalmente, al contingente, secondo una prospettiva che ci riporta alla kantiana "legalità del contingente". O ancora, che si possa costruire un ordine sensibile la cui coerenza necessitante sia, per l'appunto, non data, ma costruita da quella  sapiente architettura e calcolata tessitura di trame che è un'opera d'arte (e da cui si sprigiona una pluralità di sensi), secondo una linea che, questa volta ci riconduce alla Poetica di Aristotele. E quanto più un evento singolare/contingente è guardato come necessario, tanto più l'opera è artisticamente riuscita.

Ma questa necessità è connessa, nel libro, ad un ordine. E l'idea di ordine mette l'accento sul carattere di forma dell'opera, ossia sul momento poietico del fare artistico. Questo è il senso che Trione recupera da artisti come Poe, Baudelaire, Valéry, Mallarmé (oltre che dal Lukacs di L'anima e le forme), i quali hanno cercato, ciascuno con accenti e modalità diverse, di realizzare un risarcimento rispetto alla frammentazione  ed all'assurdità del mondo attraverso il congegno perfetto ed il rigore quasi matematico dell'organismo poetico. Ma non bisogna pensare che il poiein sciolga gli ormeggi che lo tengono legato alla terra ferma, ossia, fuor di metafora, al mondo sensibile. L'artista crea, più che descrivere, è vero. Ma crea sempre attraverso un rapporto problematico con la natura sondandone gli aspetti più riposti, che sono mille e mille, come ben aveva intuito Diderot. C'è infatti una natura profonda ed enigmatica, diffusa in innumerevoli anfratti che non sempre la ragione riesce a cogliere. Per penetrarvi bisogna, come suggeriva Merleau-Ponty, reimparare a vedere ed a vivere il mondo nella varietà infinita delle sue forme. Ma produrre forme non significa dissolvere la determinatezza empirico-materiale delle cose. Significa, semmai, un più intenso esercizio operativo con esse, un rovistarle, come dice Trione, alla ricerca di nuove relazioni significative.

Lo sforzodell'Autore, in sostanza, è quello di sganciare l'idea di necessità da quella di universalità logica o da quella di cogenza fattuale (cioè, poi, da quella  'necessità del fatto' che faceva dire a Galileo che <<non si può impedire al fatto di non esser fatto>>) per coniugarla, invece, con la sfera estetica. E' una logica dell'incoerenza, della discontinuità, dell'ir-razionale quella che si dispiega lungo le pagine del libro. Una logica che ha nella facoltà di sentire lo sfondo materiale sul quale si sviluppano le esperienze conoscitive, affettive, morali dell'uomo. E', in altri termini, ciò che tocchiamo, vediamo, udiamo, a costituire il nostro primo universo (estetico-sensibile) sul quale, secondo Trione, si può costruire una filosofia rigorosa simile alla scienza meccanica. In tale universo meccanico stanno le ragioni dell'arte, il suo 'ordine necessario', la cui legge non consiste in un'inesplorabile in sé delle cose, ma dentro le diverse strategie della mente che mettiamo in movimento alla stregua degli ingranaggi di una macchina.

Quali le considerazioni che ci suggerisce questo libro stimolante ed insieme istruttivo? Molte. A qualcuna ho già fatto riferimento. Qualche altra può essere sinteticamente accennata. Anzitutto: connessa all'idea di poiesis quale si sviluppa nel libro è una forte rivalutazione dei mezzi espressivi, degli strumenti tecnico- semantici dell'opera d'arte (e qui penso al bel capitolo sull'"Utopia del fare poetico", in cui si dice che il lavoro e l'esperienza degli artisti, i loro programmi costituiscono la trama di quel mondo assurdo, e al tempo stesso regolato da leggi e da strutture rigorose, che è la poetica). E si tratta di una rivalutazione che avviene su un doppio versante: quello del  collegamento con i valori extraestetici in cui non possono non abitare le tecniche, i programmi e gli ideali degli artisti, e quello del carattere pratico-operativo e non meramente empirico di essi.  A quei mezzi ed a quegli strumenti è infatti consegnata la capacità, di fronte alla disgregatezza del mondo, di dire l'indicibile. Come? Proprio attraverso quel congegno formale che è il prodotto del poiein: per esempio dilatando la sintassi, utilizzando in modo semanticamente inedito le parole e le frasi. Tutto questo, come si è accennato, non significa che la natura scompaia nella generalità della forma. Essa permane nella sua fisicità e compattezza materiale. Gli strumenti ed i procedimenti metaforici ed allitterativi della lingua ce ne fanno esplorare aspetti nascosti, rapporti lontanissimi e però piacevolmente sorprendenti. In tal senso andiamo al di là del finito, di ciò che è abituale e scontato.

La poesia (e l'arte) creano, inventano nuovi mondi, ma non a caso (come Dante diceva di Democrito: <<colui che il mondo a caso pone>>), bensì attraverso una sapiente composizione la cui forza e ragione sta tutta nel suo complesso e rigoroso gioco organizzativo, nella plausibilità dei suoi meccanismi compositivi.. E' ciò che Aristotele diceva della systasis. Il criterio per distinguere poesia da non-poesia (arte, non-arte) è infatti per lui la credibilità come necessità interna dell'opera. Quando gli episodi si succedono senza coerenza o necessità interna, non sono credibili, non ci piacciono. Le ragioni di tale necessità bisogna pertanto cercarle all'interno dell'opera poetica stessa, non fuori di essa, ossia nella sua composizione tecnico-formale, nel suo 'ordine necessario'. La necessità interna di un'opera letteraria, ha scritto A. Pagliaro, si rivela <<nel congegno coerente che porta a un significare>>. E dal canto suo G. della Volpe parlava della poesia come organismo semanticamente autonomo, che nel rigore formale del polisenso sottrae i suoi contenuti alla casualità/contingenza dell'esperienza 'ordinaria' per far assumere loro una pluralità aggiunta di sensi che è necessariamente legato a quel particolare contesto espressivo che essa poesia realizza.

Ma l'idea alla quale mi ha fatto più frequentemente pensare il libro di Trione è, come accennavo all'inizio, quella kantiana "legalità del contingente" introdotta da Kant nell'Introduzione alla Critica della facoltà di giudizio.

Cos'è questa legalità del contingente? Ecco, potrei dire, sbrigativamente, che l''ordine necessario  di cui parla Trione sia un'originale e stimolante chiarificazione e sviluppo di tale formula per molti versi enigmatica. Di fronte alla singolarità, imprevedibilità di ciò che è instabile, mutevole, contingente, noi non possiamo ricorrere ad uno strumento categoriale che lo unifichi. Le categorie dell'intelletto non servono, perché l'esperienza con cui abbiamo a che fare qui non è quella possibile ma quella effettiva, in cui ci accade di sentire, toccare, vedere un singolo fenomeno, per il quale non abbiamo un universale (ossia una categoria dell'intelletto) già bell'e pronto, ma dobbiamo costruirlo noi, inventarlo mediante una poiesis,  in relazione a quel singolare. In modo che esso, inserito in un complesso reticolo formale che lo risignifica, non appaia più come casuale, disgregato o insignificante, ma come coerente e necessario, per l'appunto. E questo avviene, in modo eminente, nell'opera d'arte (e, ogni tanto, in libri come questo).

 

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