30e Festival International du Court Métrage
Clermont-Ferrand - 1/9 février 2008
Clermont-Ferrand: il cinema corto abita qui
Un labirinto creativo di immagini lungo trent’anni
di Vincenzo Boscarino
La lunghezza breve è una delle caratteristiche perseguite dalle opere presentate a Clermont-Ferrand lungo il corso dei suoi trent’anni. Opere filmiche corte ma lunghe nello stile e nella pratica di quelle poetiche dedicate alla narrazione breve. Intensamente breve. Come ogni compleanno che si rispetti è tempo per tracciare un bilancio di questi 30 anni dedicati al labirinto multiforme della scommessa tutta francese di Clermont-Ferrand. Piccola città dell’Auvergne, Clermont-Ferrand ha saputo coniugare ricerca e stile, ricerca e pubblico. Non è un caso che le file per entrare in una delle molteplici “proiezioni” sono sempre molto lunghe e affollate di cittadini di ogni età ed estrazione sociale e culturale. Già, un festival che non è esclusivamente per addetti ai lavori pur essendo di nicchia.
E si è saputo scavare, in questi anni, in Europa un posto di assoluto rilievo, tanto da essere definita la “Cannes del cortometraggio”. Ma è molto di più che una vetrina. E’ un laboratorio in cui la sperimentazione ha un ruolo da protagonista. I selezionatori, sempre molto attenti e politicamente corretti, hanno saputo dare rilievo alle varie e differenti cinematografie nazionali. Il mondo del cinema corto di Clermont-Ferrand è divenuto sempre più grande e più complesso e, tra film in concorso e varie retrospettive, si può considerare un mondo aperto alle più differenti modalità di sperimentazione.
Ma una delle caratteristiche di Clermont è anche l’aver saputo convogliare le energie di autori, opere, festival, scuole, strutture di produzione, promozione, distribuzione, spazi televisivi, critici, stampa nazionale e internazionale, verso una sinergia che non ha eguali in altri festival. A questo proposito interessante è la più recente esperienza del marché, laddove le entità prima citate hanno possibilità di incontri fattivi e progettualmente fecondi. Ed è tutto nato dal circolo cinematografico universitario di Clermont Ferrand nel lontano 1979. Nasce quindi la “semaine du court métrage” che sfocerà nell’attuale festival. Festival che ha ormai superato la cifra incredibile di due milioni di spettatori.
Sauve qui peut le court-mètrage, organizzazione che ha preso le fila di tutto, ha saputo, negli anni, fare le scelte giuste e soprattutto ha saputo rendere possibile un sogno di qualsiasi festival: la partecipazione empatica del pubblico e della città. In effetti la città di Clermont vive del festival e ne va fiera, dai negozi che allestiscono vetrine monografiche sul tema del cinema ai ristoranti coinvolti nell’accoglienza, etc…
In trent’anni si è formata una generazione del cinema corto di alto livello e profilo, molto più che in altri più blasonati festival europei.
Forte dello straordinario successo di pubblico, chiude il sipario sul 30° festival del cortometraggio di Clermont Ferrant edizione 2008. Si spengono così le luci su uno dei più importanti appuntamenti del film corto nel panorama internazionale. Rimane l’amarezza per la fine di una settimana ghiotta di cinema corto, e la consolazione di essere stati testimoni di un grande spettacolo che ha incantato sia per i numeri che per la qualità delle cose proposte. Impressiona, infatti, come questa macchina da guerra, coordinata da Christian Guinot, membro del comitato di selezione internazionale, abbia viaggiato nel corso delle passate edizioni verso una sola direzione: quella del valore Artistico culturale delle opere presentate. Questo ha accreditato il festival tra gli operatori del settore e non, facendo guadagnare al festival l’appellativo, come dicevamo, di Piccola Cannes del cortometraggio.
Presentati, nel corso degli anni 1400 film francesi, 4500 film provenienti da più di cento paesi da tutto il mondo, 14 sale di proiezione, e quest’anno una retrospettiva su Africa e sud-est asiatico, una dedicata al mondo dell’infanzia, una al cinema sperimentale, una sul mondo dei cani e una che ha come protagonista il morbo di Alzheimer.
Ormai le cifre sono da capogiro e le sezioni nel corso degli anni sono diventate 20, offrendo veramente un panorama ampio su quello che è oggi il cortometraggio nel mondo. Anche l’Italia, assente da diverse edizioni, era presente con un paio di cortometraggi.
Nel campo giornalistico i numeri non sono da meno, 560 operatori di varie testate provenienti da tutto il mondo che vanno e vengono dalla sala stampa, adiacente al festival e situata all’interno di un grande complesso sportivo divenendo di fatto un'unica cosa: cosa inimmaginabile in Italia.
Come si addice a un appuntamento di grande importanza, il trentennale del festival ha riservato veramente una grande sorpresa al pubblico presente nella serata inaugurale, regalando alcune rarità e un’anteprima mondiale, di quello che i francesi chiamano “le cinéma en rilief” e cioè il cinema stereoscopico o in 3D.
L’idea della serata era quella di presentare una retrospettiva su una tecnica scarsamente sviluppata nel cinema, ma già presente fin dai suoi esordi.
Il primo che ha utilizzato questo procedimento è stato René Bunzli, che realizza una serie di documentari sperimentali intitolandoli Animateur Stéréo, 1900.
A seguire Musical Memories del 1935 di Dave Fleischer (la tecnica del 3D sarà messa a punto solamente dal 1930 in poi). Il film ci presenta due anziani mentre rievocano parte della loro vita guardando delle immagini in uno Stereoscopio, antenato del cinema in 3D.
Del 1940 è Motor Rhytthm di Charey Bowers (America), film d’animazione in cui una vettura sembra assemblarsi per magia.
E ancora Working for Peanuts del 1953 (America- Disney) di Jack Hannah, che racconta la vicenda di due personaggi che vivendo vicino ad uno zoo cercano di rubare le arachidi a degli elefanti, non riuscendoci.
Mentre il più interessante è sembrato essere un documentario russo Parade of Attraction del 1960. La cinepresa si muove sinuosa mostrandoci creature marine di rara bellezza, razze, polipi, pesci variopinti che sfiorando l’obiettivo sembrano sfiorare lo spettatore. La sensazione è davvero straordinaria, ci si sente sospesi e leggeri, e proiettati in una dimensione che non è reale, nonostante ne abbia tutte le caratteristiche e la distanza è annullata. Si è parte del film, immersi in una dimensione onirica davvero unica, senza eguali. Viene da chiedersi cosa sarebbe potuto diventare il cinema se questa tecnica si fosse sviluppata nel corso del tempo e avesse incontrato i grandi maestri della cinematografia due su tutti Bunuel e Fellini.
Protagonista principale però e stato Méliès che, sebbene a sua insaputa, ha dato lustro come un protagonista della storia può dare. Dovendo dare una seconda copia a dei suoi distributori, girò il film luna Viaggio sulla con due cineprese vicine. E’ stata soltanto la casuale scoperta di questa seconda copia che, presentando un angolo di ripresa leggermente diverso, ha fatto pensare alla possibilità di essere proiettato in sincronia con la seconda copia del film e che potesse dare vita a un Viaggio sulla luna in 3D. Così per i soli spettatori presenti è stato possibile vedere un inedito Méliès. Naturalmente di tutto questo l’autore ancora non è stato informato.
A concludere la serata sono stati altri due cortometraggi Falling in love di Munro Ferguson (Canada 2003) e l’esilarante Knick e Knack di John Lasseter e Eben Ostby (Stati Uniti 1989).
Vincitori di Clermont-Ferrand 2008
Ecco i film scelti da Parol: premio Parol.
This is my land
Di Ben Rivers
Dopo aver visto This is my land si ha l'impressione di aver assistito per caso alla proiezione di una vecchia bobina ritrovata nella soffitta di una vecchia casa. Il protagonista in questo caso, è un vecchio signore che vive isolato nel cuore profondo di una foresta, in una casa isolata e da tempo abbandonata. L'uomo sembra voler guidare l’occhio indiscreto della macchina da presa attraverso gli alberi della foresta e della sua anima per rivelargli con voce silenziosa i piccoli segreti di una vita passata in solitudine. Due parti del film ci raccontano dei bei giorni trascorsi, quindi l'inverno: il vento soffia negli alberi, le nuvole sfilacciano, il fuoco crepitante del camino, i passi si stampano nella neve… I piani di ripresa sembrano fondersi l’uno dentro l’altro creando una dimensione liquida dell’immagine. La poesia dei grandi spazi selvaggi, gli animali, il passaggio delle stagioni e in mezzo a tutto questo, il passaggio di quest'uomo di cui non si saprà mai nulla. Le tracce di vita come nature morte, immagini che rievocano, suoni che incidono la pelle della memoria di una solitudine strappata improvvisamente alla dimenticanza.
Drum Room
Di Miranda Pennell (Inghilterra)
Poche pellicole hanno cercato di filmare il suono così come poche pellicole hanno cercato di celebrare la bellezza ed il mistero di luoghi di interni vuoti o di pareti libere da qualsivoglia oggetto. L’atto del girare per l’autrice, diviene contemporaneamente atto filmico e atto grafico. I dettagli in questo modo vengono sottolineati ed accentuano la loro poesia liberando questi luoghi dalla loro destinazione d’uso. Corridoi, porte, bocche di ventilazione, angoli muri, tutto è tranquillo come la quiete prima della tempesta.. ma quando i musicisti danno vita ai loro strumenti, queste parti iniziano ad animarsi. Filmando questi musicisti e i loro strumenti, l’autrice filma anche le ripercussioni visive e sonore che causano, sottolineando l’importanza del movimento con il suono creato dallo strumento. Illustrando molto bene l'idea che ciò che è bella è anche l'interpretazione musicale e la presenza fisica del musicista ed il suo modo di occupare lo spazio. Il suono insomma come forma che viene a colorare il silenzio.
Nijuman no borei
Di Jean-Gabriel Perito (Francia)
Composto da immagini di archivi della città di Hiroshima, Nijuman no borei ci mostra inizialmente la città prima della sua distruzione e poi interamente rasata e, poco a poco, che ricompare dalle sue ceneri. Su tutte le fotografie appare un elemento comune: una cupola dalla struttura metallica spoglia. Attorno a questo punto fisso e circolare, la sovrapposizione delle immagini sembra formare un immensa panoramica a 360° nello spazio e nel tempo. Ma, mentre la città si ricostruisce, la cupola resta allo stato di rovina. È un foro nel tempo, nel corso della vita nel cuore della città. Un simulacro di ciò che il progresso è stato capace di fare. Ricordo ha futura memoria: noi tutti possiamo morire in qualunque momento, cancellati da un lampo bianco.
Energie!
di Thorsten Fleisch (Germania)
Arrivato dopo vari esperimenti alla realizzazione di questo film Thorsten Fleisch dice che i film, mostrando un’immagine mentale doppia interiore-esteriore sono uno strumento di meditazione moderna. Con il suo minimalismo e luci intermittenti in bianco e nero, ricorda le pellicole d'avanguardia austriaca, soprattutto quelli di Peter Kubelka .
Come indica il titolo, è l'energia allo stato puro che il regista tedesco tenta di captare. Il proiettore bombarda la superficie dello schermo come un cannone a particelle e la sala sembra caricarsi d'elettricità. Un'esperienza sensoriale unica. Psichedelica e ipnotica insieme che, investe lo spettatore in un crescendo “Boleriano”.