LA SINESTESIA NELLA POETICA DI SKRJABIN
di Cristina Ceroni
Aleksandr
Skrjabin (6 gennaio 1872 - 27 aprile 1915) ha sollevato,
nel corso di appena un secolo, innumerevoli dibattiti e giudizi contrapposti
che tuttora affascinano. L'influenza della poetica skrjabiniana
comincia con Aleksandr ancora giovane
(ci si riferisce all'ultimo decennio del XIX secolo) e prosegue dopo
la sua morte, fino ad arrivare, nonostante qualche periodo di silenzio,
ad oggi. A dimostrazione dell'attuale interesse per l'opera di Skrjabin
esistono infatti, non solo studi relativi alla vita, alle opere e
alla poetica, ma associazioni dedicate al compositore russo nate con
lo scopo di portare alla luce, di analizzare, e finanche di proseguire
i molteplici aspetti dell'opera del maestro. Ne sono un esempio la
Skrjabin Society of America
di New York, e la Bogliasco
per Skrjabin di Bogliasco,
sulla riviera ligure (dove soggiornò Skrjabin
con la seconda moglie Tatiana, dal giugno 1905 al febbraio 1906).
L'opera di Skrjabin
non si esaurisce nella sola produzione musicale, ma comprende anche
un gruppo di scritti pieni di riferimenti alla filosofia, all'esoterismo
e alla teosofia, che documentano una concezione del mondo personalissima,
anche se con ampi richiami a Nietzsche
e Schopenhauer. Dall'insieme di questi scritti emerge una
poetica musicale di tipo mistico-religioso
la quale si pone un ideale da raggiungere[i][1], che culmina con l'idea di arte liturgica,
finalizzata al raggiungimento della Verità, dell'Essere.
Risulta dunque
importante seguire parallelamente l'evoluzione del suo pensiero e
della sua opera musicale, perché i due aspetti si influenzano vicendevolmente,
tanto che la sua filosofia matura grazie ai perfezionamenti tecnico-formali
della pratica. L'indagine parallela di questi due aspetti ha messo
in evidenza la centralità, nel pensiero skrjabiniano, del fenomeno sinestesico,
ossia quel fenomeno psicologico per il quale alcune percezioni derivanti
da una modalità sensoriale si assiociano
costantemente a immagini mentali legate ad un'altra modalità sensoriale.
Va peraltro osservato che questo tema, pur importantissimo in Skrjabin,
è stato assai presente nella cultura scientifica ed artistica del
tardo Ottocento e del primo Novecento, interessando anche altri musicisti
(per esempio Schönberg), pittori (per esempio Kandinskij),
medici, psicologi, filosofi.
Per Skrjabin
la sinestesia si concretizza nell'idea di fusione di tutte le arti.
È inevitabile dunque un riferimento, che lo stesso Skrjabin
sottolinea, a Richard Wagner. Il maestro
tedesco, e in particolare la sua idea di opera d'arte totale, ha infatti
fortemente influenzato la poetica del nostro autore, il quale si avvicina
alla musica e alle teorie wagneriane intorno
al 1896-98. L'avvicinamento a Wagner lascia tracce appariscenti nell'opera
di Skrjabin fino alle ultime opere dell'autore. Skrjabin prenderà le distanze dal "suo maestro" [ii][2], proponendo una fusione di tutte le arti
in opposizione a Wagner [iii][3], ma da lui riconoscerà sempre una derivazione
esplicita.
Una comparazione
fra l'opera di Skrjabin e quella di Wagner è possibile fin dal 1903: il
poemetto che accompagna come programma interiore la Quarta Sonata
per pianoforte, considerato il primo esempio significativo dell'atteggiamento
simbolista e sinestesico dell'autore,
è intriso di riferimenti al Tristan
und Isolde di Wagner.
In una bruma
leggera
Persa lontano
eppure distinta
Una stella brilla
dolcemente.
Che meraviglia!
Il mistero bluastro
Del suo bagliore
Mi invita, mi
culla.
O portami a te,
stella remota!
Inondami di raggi
frementi
Dolce luce!
Ardente desiderio,
voluttuoso e anelante eppure dolce
In eterno a nessun
altro scopo
Vorrei ardire
Ma no! Volteggio
in balzi gioiosi
Liberamente prendo
le ali
Danza folle,
gioco divino!
Inebriante, splendente!
Verso di te,
stella adorata
Mi guida il mio
volo
Verso di te,
liberamente creata per me
Per il mio scopo!
Mio volo liberatorio!
In questo gioco
Puro capriccio
Talvolta ti dimentico
Nel vortice che
mi porta
Volteggio aereo
dai tuoi raggi lucenti
Nella follia
del desiderio
Tu ti dissolvi
Oh scopo distante
Ma sempre splendi
Come in eterno
ti desidero!
Tu ti espandi,
Stella
Ora sei un sole
Sole fiammeggiante!
Sole del trionfo!
Avvicinandomi
a te col mio desiderio
Mi immergo nelle
tue onde mutevoli
O dio gioioso
Mi imbevo di
te
Mare di luce
Mio Io-di-luce
Ti sommergo![iv][4]
La fusione dell'individualità nel Cosmo
è il soggetto del poemetto di Skrjabin
ma anche del Liebestod di Isotta.
Isotta (guardando senza comprendere,
come straniera a tutto, fissa finalmente su Tristano)
Dolce e calmo,
Sorridente,
Ei dischiude
Gli occhi belli.
Nol
vedete?
Come chiara
Fiamma ei brilla:
Viva stella in
alto ciel!
Nol
vedete?
Come fiero
Balza il core?
Sgorga in lui
Qual magico fonte!
Sul suo labro
Calmo appar
La dolcezza
Del sorriso.
Dite!.Ah!
Non lo vede alcun?
Odo io sola
Questo canto?
Voce arcana,
Voce pia.
Calma, pura
Come il pianto,
Dolce incanto,
Inno santo,
Che penètra
L'esser mio,
Risuonando a
me d'intorno?
Cresce.appressa.
Già m'invade.
Sei tu l'onda
De le brezze?
Sei tu nube
Fatta d'incensi?
Che m'inonda.
Che mi avvolge.
Ch'io ti aspiri!
Che in te spiri!
In te immersa
E sommersa
Sento l'esser
mio svanire!
Ne l'immenso
ondeggiar,
Nel crescente
clangor.
Nel fulgor
D'una luce immortal
Attratta.
Rapita.
Me smarrir!.
Sommo ben![v][5]
La stella per Skrjabin
e il corpo morto di Tristano per Isotta, diventano centri di irraggiamento
sensoriale sinestesico: sono definiti
rispettivamente come forma di profumo, di suono irreale, di luce,
il tutto finalizzato al "perdersi nell'alitante tutto".
Nel poemetto
di Skrjabin le varie immagini poetiche
sono concepite per assecondare il fluire delle figurazioni musicali
della sonata in una stretta corrispondenza: musica e poesia sono trattate
come aspetti complementari di una creazione artistica unica.
Il passo successivo
compiuto da Skrjabin nel campo sinestesico
è il Prometeo. Poema del fuoco op. 60: primo tentativo di unificare
organicamente due arti, con andamento parallelo degli elementi musicali
e di quelli pittorici. Nel Prometeo ad ogni modulazione armonica
corrisponde una modulazione cromatica: la musica è inseparabile dai
colori. La partitura non contiene alcuna indicazione oltre a quelle
musicali: il suono è luce, il suono è colore. La luce e il colore
si identificano con la musica stessa. Nella partitura, infatti, il
primo pentagramma, in chiave di violino, è indicato semplicemente
Luce (ponendo pertanto questa parte sullo stesso piano delle
altre parti strumentali).
La realizzazione
delle prime rappresentazioni del Prometeo, a causa delle precarie
possibilità tecniche di allestimento, delusero il nostro autore, che
aspirava ad un'atmosfera, dell'intera sala, totalmente permeata dalla
luce: ogni cosa interna alla sala avrebbe dovuto assumere il colore
dell'accordo. Il pubblico stesso doveva essere un'unità, doveva divenire
esso stesso luce, colore, suono.
Certamente è
lontano dalla concezione sacrale e catartica del dramma wagneriano,
dove il pubblico si limitava ad assistere all'azione in un silenzio
religioso, tuttavia nel Prometeo i riferimenti a Wagner esistono.
Skrjabin
prende a riferimento della propria opera sinestesica
il mito classico di Prometeo. Questi non è però il peccatore che viene
punito per la sua trasgressione, ma colui che è in grado di ribellarsi
agli dei, che inganna Zeus e riesce a rubargli il fuoco. Prometeo,
portavoce della libertà dello spirito umano, è insomma, nella mente
di Skrjabin, il vero eroe: colui che grazie
alla saggezza e all'astuzia arriva alla ribellione: ribellione contro
il potere assoluto della divinità.
In tutto ciò
non si può non vedere un riferimento a Wagner, e in particolare alla
tetralogia: Prometeo che ruba il fuoco è indubbiamente il richiamo
del Nibelungo che ruba l'anello; Prometeo
sconfigge Zeus, dunque Skrjabin mira alla
fine del potere assoluto degli dei, e ciò rimanda al Götterdämmerung (Crepuscolo degli dei) wagneriano.
Ad ogni colore
del Prometeo Skrjabin associa un significato profondo: ogni colore non
è fine a se stesso, ma rientra in un disegno superiore; ognuno di
essi è simbolo ed essenza della leggenda di Prometeo, eco luminosa
della situazione mitico-filosofica evocata dal Poema del fuoco. I
colori si accompagnano ai diversi temi con una certa regolarità e
coerenza: il blu è il colore della ragione e della volontà, la forza
creatrice positiva su cui si chiuderà l'opera, il dono del Titano;
il rosso è invece la materialità e la banalità delle cose umane; il
giallo del sole si accompagna ai momenti in cui più profondamente
l'Uomo prende coscienza della propria dignità; il verde, che scompare
quasi definitivamente con l'ingresso di Prometeo (musicalmente rappresentato
dal pianoforte), è il Caos.
Skrjabin
fissa una legge, una regola delle «corrispondenze» per il suo Prometeo;
ordina le tonalità in riferimento allo spettro solare, ricavandone
uno schema ben definito, associando poi, ad ogni tonalità-colore,
un particolare sentimento:
Do rosso
Volontà
Sol rosa-arancione
Gioco creativo
Re giallo
Gioia
La verde
Problema, Caos
Mi bianco-azzurro
Sogno
Si blu
perlaceo Meditazione
Fa # blu
Creatività
Re b
viola Volontà (dello Spirito Creatore)
La b
viola-porpora Movimento dello Spirito
in un problema
Mi b
grigio acciaio Umanità
Si b
bagliore metallico Avidità (desiderio smodato) o entusiasmo
Fa rosso
scuro Differenziazione di Volontà
Per Skrjabin
il progetto di arte totale, che inizia con Prometeo, non si
teorizza a tavolino, ma si realizza attraverso la concettualizzazione
di un'esperienza molto singolare. Si sa infatti che il musicista aveva
un "udito colorato": ogni suono era associato spontaneamente ad un'immagine
luminosa. Non si trattava di un suono unito ad un colore, ma di una
realtà suono-colore, alla quale partecipavano anche le altre impressioni
sensoriali [vi][6].
Skrjabin
non fornisce indicazioni precise sul modo di realizzare la sua opera;
è possibile però stabilire alcuni criteri di massima riguardanti il
suo modo di valutare i rapporti tra suoni e colori, analizzando i
suoi scritti (in particolare il terzo quaderno di appunti[vii][7] e le annotazioni sulle partiture), oltre
naturalmente all'analisi delle partiture stesse. Luigi Verdi (noto
studioso di Skrjabin, tra l'altro collaboratore della "Skrjabin Society of America" di New York) propone un interessante
ed esaustivo quadro delle informazioni acquisite in proposito[viii][8], da cui si deduce che nell'idea skrjabiniana non è tanto un singolo suono a produrre colore,
quanto una combinazione di suoni, indipendentemente dal timbro strumentale
che la produce, che può solo valorizzarla o meno; che il colore è
variegato al suo interno in sottili sfumature, non è omogeneo, ma
discontinuo, fluttuante; che il movimento (dunque la successione e
il collegamento di accordi) rende più luminoso il colore.
Essendo una novità
l'idea di inserire dei colori in un'opera musicale, è facile intuire
quali difficoltà esecutive si manifestarono al momento della realizzazione.
Skrjabin assegna la parte luminosa ad
un nuovo strumento: una tastiera a colori che chiama Clavier
à Lumières. A questo scopo Aleksander
Mozer, fotografo e insegnante di elettromeccanica
alla scuola di istruzione tecnica superiore di Mosca, costruì appositamente
una tastiera a colori che poteva essere utilizzata nella sala da concerto;
ma Skrjabin non ne fu soddisfatto, perché
essa si limitava ad accendere delle lampadine colorate, e per questo
non la utilizzò. Anche l'inglese Rimington
all'epoca stava cercando di perfezionare uno strumento, ideato nel
1895, che poteva interessare Skrjabin
per la realizzazione del suo Prometeo: lo strumento era costituito
da una cassa munita di aperture chiuse da vetri colorati, la quale
racchiudeva un arco elettrico, le aperture si potevano chiudere o
aprire con un meccanismo, azionato da una tastiera muta, che proiettava
colori su uno schermo bianco. Era uno strumento piccolo che si suonava
come un pianoforte, ma i cambiamenti di colore che produceva erano
troppo lenti e troppo delimitati, e quindi ogni combinazione e sfumatura
richieste dalla partitura sarebbero risultate di scarso interesse.
La prima esecuzione di Prometeo (Mosca, 15 marzo 1911) avvenne
perciò, per volere del suo autore, senza la realizzazione della parte
Luce.
Skrjabin
non riuscì mai a vedere realizzata la sua opera nella sua completezza.
Solo dopo la morte dell'autore cominciarono studi concreti per realizzare
la parte luminosa come richiede la partitura: ma, come è facile immaginare,
si trattò di un lungo e faticoso cammino, che ha trovato tappe importanti
e di successo soltanto negli ultimi decenni, grazie agli importanti
progressi tecnologici.
Nel 1915, al
Carnagie Hall di New York, a solo un mese
dalla morte di Skrjabin, durante l'esecuzione
del Prometeo, si proiettarono raggi e fasci di luce di vari
colori contro uno schermo bianco: il risultato non fu entusiasmante
visto che Clarence Lucas
scrive in proposito: "Uno schermo bianco fu illuminato da raggi e
fasci di luce di vari colori senza alcuna possibile connessione con
la musica, che servivano solo a distrarre i sensi dell'uditorio da
un ascolto troppo concentrato sulla musica"[ix][9].
Nel 1917, poco
prima della Rivoluzione, al Bol'soj di
Mosca si tentò di rappresentare il Prometeo con la parte Luce,
ma anche qui con scarso successo. L'occasione fu però importante,
perché si comprese che era necessario introdurre onde, lampi e nubi
(tutti effetti realizzabili solo con una luce priva di forma) per
avvicinarsi a quell'idea che Skrjabin
aveva in mente ma che non era stato in grado di definire con chiarezza
in partitura. Solo nel 1962 a Kazan',
grazie all'impiego di nuove apparecchiature predisposte presso l'ufficio
progetti Prometeo dal locale Istituto di Aviazione, il Prometeo
Poema del fuoco fu rappresentato con un flusso luminoso di colori
che illustrava lo sviluppo del movimento musicale. Così si scriveva
in proposito sulla «Sovetskaja Tatarja»
di quei giorni: "Buio. Il pubblico ammutolì. Centinaia di persone
in attesa e, come un grido, un sottile raggio abbagliante colpì il
bordo dello schermo di proiezione. Si muoveva lungo la superficie.
Il lento, timido raggio all'improvviso si innalzò e si diffuse (.).
Si udì il suono delle prime note profonde, sommesse. E improvvisamente
lo schermo di proiezione si unì a loro, cominciò a cantare. Una luce
brillava e diventava sempre più luminosa, mentre le note suonavano
più forte e più alte. E gli schermi rispondevano con un rosso abbagliante
a quelle note, che sembravano non avere più abbastanza spazio nella
sala, alle note di una lotta appassionata"[x][10].
A Kazan'
si istituì, dunque, all'inizio degli anni Sessanta, un ufficio particolare,
denominato "Prometeo", con lo scopo di effettuare ricerche sperimentali
di esplorazione del rapporto tra suoni e colori, al fine di avvicinarsi
sempre più ad una realizzazione fedele all'idea skrjabiniana:
con un sistema denominato "Kristall",
si crearono nuovi strumenti tecnici che diedero un forte impulso,
a livello mondiale, ad allestimenti degni di nota del Prometeo.
Tra questi si
cita con orgoglio, l'allestimento del Teatro Comunale di Firenze,
andato in scena dal 29 marzo al 3 aprile del 1980[xi][11]. Alla complessa realizzazione collaborarono
esperti di più settori: Davide Mosconi, musicista; Piero Castiglioni, esperto di illuminotecnica; Bruno Munari, progettista; Guido Baroni, tecnico delle luci. Si
decise di non utilizzare luci sincronizzate con i suoni, perché avrebbero
dato un'impressione da discoteca; ci si orientò quindi su un flusso
parallelo al materiale musicale, ma su un piano indipendente, in modo
che percezione auditiva e visiva si integrassero a vicenda, come voleva
Skrjabin, e non fossero invece una l'illustrazione
dell'altra. Il corpo bianco riflettente scelto per l'occasione, consisteva
in una superficie fatta di tante strisce verticali di tela bianca,
tenute da un bastone in alto e uno in basso, appese al centro in modo
che fossero orientabili e distribuite su cinque livelli di profondità
nel palcoscenico. Agli occhi del pubblico questo fondale appariva
come una superficie uniforme, affinché l'attenzione fosse concentrata
solo sulle luci e non sulle forme del corpo riflettente. Le sorgenti
luminose utilizzate furono distribuite in basso dietro l'orchestra
e il coro, ai lati dietro le quinte, in alto e dietro i teli bianchi.
Furono utilizzate sorgenti luminose di diverso tipo, combinandole
assieme e creando così effetti particolari: dalla luce di Wood,
viola scuro, alla luce delle Power Star, normalmente utilizzate per
l'illuminazione stradale, ma anche le lucciole, piccolissime lampadine,
e fili di nichelcromo incandescenti. Come ulteriore accorgimento finale
si stabilì la partitura delle luci, disegnando un diagramma di tutti
i tempi d'accensione e di durata degli effetti luminosi, in parallelo
alla partitura musicale. Il risultato di tale impegnativo lavoro d'équipe
fu uno strepitoso successo.
Comunque una
delle più belle realizzazioni dell'opera è considerata quella olandese,
andata in scena il 20 novembre 1994 a l'Aja,
promossa da Håkon Austbö (pianista norvegese,
residente in Olanda, stimato soprattutto come interprete di Skrjabin).
L'orchestra locale diretta da Oliver Knussen, si esibì con il coro del Royal
Conservatory, e con la partecipazione
di due solisti: Håkon Austbö
al pianoforte e Robbert van
Steijn ad una speciale tastiera (il Clavier
à Lumières); il tutto accompagnato
da circa quattrocento luci che illuminavano cinque schermi verticali
(che sembrava assumessero forme e facessero movimenti, grazie alle
luci stesse, in stretto rapporto con i temi musicali), a cui il pubblico
rispose con un'ovazione.
Tali impressionanti
e costosissime realizzazioni sinestesiche
di un'opera, Il Prometeo, la cui durata è di soli circa venti
minuti, mettono in evidenza quanto sia cresciuto nel corso degli ultimi
decenni l'interesse per lo spettacolo multimediale: grazie a sollecitazioni
artistiche (le poetiche dei più importanti gruppi artistici dall'inizio
del Novecento in poi esaltano l'idea di fusione delle arti[xii][12]), e soprattutto a grandi progressi tecnologici,
lo spettacolo si è sempre più direzionato verso il contemporaneo sfruttamento
di diversi effetti (suoni, colori, luci, coreografie, poesia, e altro
ancora). Non si può non pensare a quanto oggi anche la nostra vita
quotidiana sia influenzata da elementi sinestetici:
il computer (che sempre più associa suoni a colori e immagini), il
cinema (una delle più complete manifestazioni moderne della sinestesia,
anche se rimane una questione ancora insoluta il rapporto effettivo
tra immagine e colonna sonora), i concerti rock e le discoteche (dove
il "pubblico" è certo rapito dalla musica, dal ritmo, ma sono le luci
a travolgere le emozioni: alcuni gruppi poi, hanno fatto proprio dello
studio multimediale il loro punto di forza; come non ricordare a tal
proposito i Pink Floyd
o Michel Jarre).
Dopo la stesura
del Prometeo (1908-10) si avverte negli scritti di Skrjabin
una forte influenza delle teorie teosofiche di M.me
Blavaskij. A questo punto Skrjabin,
abbandonato definitivamente il riferimento a Wagner, guarda anche,
e soprattutto, alle teorie orientali, in particolare si rivolge all'India
(quell'India autentica ed antica, dei saggi e dei riti magici).
Non solo analizza la spiritualità indiana attraverso la mediazione
teosofica (il gruppo di Bruxelles, fondato da M.me
Blavaskij, si rivolgeva alle teorie indiane riprendendo
motivi occultistici), ma si avvicina a questo mondo, così lontano
e diverso, in maniera più diretta: comincia a studiare il sanscrito;
progetta un viaggio in India (anche se non riuscirà a realizzarlo,
causa la morte prematura); pensa di comprare addirittura un appezzamento
di terreno ai piedi dell'Himalaya; esegue esercizi yoga di respirazione ritmica e
compie esperienze di bilocazione. Questa
vicinanza al mondo orientale sembra essere un'evasione dal mondo che
lo circonda; non è un caso, infatti, che in questo periodo Skrjabin
stesse meditando di realizzare il suo sogno: il Mysterium,
un'azione liturgica concepita con il compito di plasmare la psiche
umana ai fini della distruzione della materia. Tale rito religioso,
perché di questo si tratta, doveva avere luogo proprio in India. L'India
appare a Skrjabin una sorta di tempio naturale in cui sono nate le
maggiori ideologie religiose e i più rilevanti movimenti spiritualistici
che hanno marchiato a fuoco la storia delle diverse razze umane.
Dunque l'arte
per Skrjabin deve mirare al raggiungimento dell'estasi, e il
Mysterium doveva essere un vero e proprio rito, studiato
nei minimi dettagli: "l'ultimo rito", attraverso il quale l'intera
umanità doveva raggiungere l'estasi e ricongiungersi con il Cosmo.
Per questo grandioso momento Skrjabin
aveva progettato "tutto" nei minimi particolari.
Il soggetto dell'opera
doveva essere la storia dell'universo e dell'umanità; in preparazione
al Mysterium esiste un Acte
Préalable (Atto Preliminare, Preparatorio),
un condensato con il compito di preparare all'evento. In esso una
vera epopea cosmica: "la creazione da parte dell'Uno della
molteplicità per conoscersi e contemplarsi nelle creature e specialmente
negli uomini. Creando, l'Uno si vota alla sofferenza che apprenderà
attraverso i suoi figli, i quali devono rivoltarsi contro di lui,
percorrere il ciclo della vita, discendere nel profondo della materia
e del peccato per risalire verso il Creatore e unirsi a lui, dopo
essersi purificati nella sofferenza redentrice"[xiii][13].
Questo il soggetto
principale, ma appaiono anche temi più episodici, tra cui di notevole
importanza appare la figura del Profeta, che doveva essere
impersonato dallo stesso Skrjabin investito della missione di portare agli uomini
il messaggio celeste. Egli è però il più grande peccatore, colui che
è sceso nel profondo dell'abisso, simbolo dell'Umanità afflitta. Questa
infatti, secondo Skrjabin, deve, per ricongiungersi all'Uno, "compiere il
ciclo completo dell'involuzione e dell'evoluzione, sprofondando nel
profondo della materia, prima di liberarsene"[xiv][14]. La discesa agli inferi è quindi il preludio
ad ogni iniziazione; il profeta l'ha già realizzata, e dunque può
essere una valida guida.
Per molti aspetti
il profeta skrjabiniano evoca il Cristo, e una straordinaria coincidenza
aiutò a diffondere l'idea, tra numerosi contemporanei russi, che Skrjabin fosse un nuovo Messia, e a dare dunque più credibilità
alla sua visione: secondo il calendario giuliano, in uso all'epoca
in Russia, Aleksandr Skrjabin
nacque il 25 dicembre 1871, giorno di Natale, e morì il 14 aprile
1915, giorno di Pasqua. Ma altri sono gli elementi per cui il Profeta
skrjabiniano evoca il Cristo: il suo insegnamento
non trova l'entusiasmo degli uomini, i quali al contrario lo suppliziano
e lo mettono a morte; ma proprio da questo suo estremo sacrificio
l'umanità trova la giusta via per raggiungere la Divinità Assoluta.
Scopo ultimo è dunque il ricongiungimento con il Cosmo. Si
parla di ricongiungimento, Skrjabin
vuole infatti risvegliare nell'uomo il ricordo dell'integrazione originaria,
e fargli rivivere l'intera storia della specie umana. Il Mysterium
è quindi una memoria: un percorso a ritroso, che lascia alle spalle
la condizione di molteplicità, annullandola, per rendere più agevole
il passaggio a livelli superiori di conoscenza, il superamento dell'essere
stesso. Skrjabin ritiene che l'arte, in
quanto esperienza di vita vissuta, serva a tal fine. Ma per fare ciò
l'arte stessa deve essere diversa, deve anch'essa ritornare
alla sua originaria funzione escatologica, arcana e cultuale.
In tal modo si vuole "far rivivere l'esoterismo
dell'Unione insito negli antichi riti, la divina fantasmagoria dei
canti dionisiaci, risvegliando negli individui (con un'arte affatto
sinestesica e multimediale) ciò che già
esiste nella memoria razziale dell'uomo"[xv][15]. Ogni partecipante (in definitiva ogni
individuo dell'umanità) deve ricordare che cosa ha egli esperito dal
momento della creazione del mondo, per rivivere l'integrazione originaria.
Skrjabin,
si è detto, considera tutto ciò possibile grazie all'arte, un'arte
totalmente coinvolgente, capace di portare all'estasi, all'uscita
da se stessi. Come può l'arte essere capace di tutto ciò? Skrjabin
lo ritiene possibile grazie alla fusione di tutte le arti (poesia,
musica, danza), unita a sinfonie di luci e colori (che, come aveva
già sperimentato nel Prometeo, sono capaci di catturare e coinvolgere
maggiormente il pubblico), a sinfonie di profumi e di carezze (che
coinvolgendo altri due dei cinque sensi -odorato e tatto-, rende lo
"spettatore"[xvi][16] totalmente concentrato su un unico pensiero
mistico, eliminando ogni divagazione sensoriale); la stessa Natura
doveva far parte dell'opera ("il soffio del vento fra gli alberi,
lo scintillio delle stelle, il colore del sole all'alba e al tramonto")[xvii][17].
Insomma il Mysterium
è un vero connubio di stimoli sensoriali, organizzati in un Universo
globale composto non solo da uomini, ma anche da animali, insetti,
uccelli, piante (Sabaneev scrive infatti che per Skrjabin
gli animali e le piante sono una manifestazione del nostro animo)[xviii][18].
Un'opera universale
dunque: totalmente coinvolgente per il singolo individuo (catturato
da un avvenimento che lo attira a sé eccitando ogni suo senso), ma
anche totalmente coinvolgente per il mondo intero (come appena evidenziato,
era rivolto ad ogni forma vivente della terra).
Il rito doveva
durare sette giorni, in corrispondenza con le razze umane (ma anche
con i giorni della creazione) ed esigeva un numero altissimo di partecipanti
(l'umanità intera). Si parla di partecipanti e non di pubblico: il
pubblico non esiste più, è parte attiva dell'avvenimento. Si preconizza
in questo modo la soppressione del palcoscenico e di tutto ciò che
separa gli attori dagli spettatori, dunque anche l'architettura teatrale
doveva essere fluida.
La forma del
tempio (non si può parlare di teatro) non doveva essere fissata in
modo rigido, ma doveva cambiare insieme all'atmosfera e al movimento
del Mysterium. Scrive Skrjabin
in proposito: "ho pensato molto a come realizzare la fluidità e la
potenza creatrice nella struttura del tempio. Ed improvvisamente mi
venne in mente che esso potesse avere colonne d'incenso. Esse saranno
illuminate dalle luci dell'orchestra, si disperderanno e di nuovo
si riuniranno. Saranno enormi colonne infiammate. E l'intero tempio
sarà costituito da loro: l'edificio sarà fluido come la musica. E
le sue forme esprimeranno l'atmosfera della musica e delle parole"[xix][19].
Skrjabin immaginava un luogo in forma di cerchio o arena, che doveva permettere a tutti i partecipanti di disporsi su dei gradini, come in un anfiteatro. Essi dovevano disporsi a più livelli, attorno all'esecutore del Mistero, il Profeta (Skrjabin stesso, che si sarebbe trovato al centro), seguendo un ordine gerarchico, andando dagli iniziati, situati presso di lui, fino ai profani, disposti alla periferia. Questi livelli si sarebbero dovuti rappresentare con dei movimenti incessanti, centrifughi e centripeti, simboleggiando così, in un certo senso, il processo del divenire e della sparizione del Cosmo. Skrjabin aveva immaginato l'Atto finale del Mistero sotto la forma di una danza orgiastica, che non sarebbe stata disciplinata che dal ritmo in cui si trovano le anticipazioni di questa danza nelle ultime quattro sonate per pianoforte. Confondendosi in un atto rituale questa danza avrebbe condotto all'Estasi, atto mistico dell'Eroe cosmico che darà vita ad una umanità nuova[xx][20].
Come luogo per
l'azione del Mistero Skrjabin pensava
all'India, e più esattamente ai piedi dell'Himalaya,
dove il paesaggio naturale avrebbe costituito una scenografia ideale.
La presenza della neve sulle cime delle montagne avrebbe mitigato
il caldo torrido della regione, oltre naturalmente a creare uno splendido
spettacolo naturale, grazie anche alle albe e ai tramonti meravigliosi
che ivi si verificano. "Egli immaginava una sinfonia di suoni e colori
(come aveva già realizzato nel Prometeo), strutture architettoniche
di fasci luminosi, sinfonie di profumi e carezze, magiche creazioni
di un'arte insospettata che dovesse coinvolgere tutti i nostri sensi.
Egli sognava mezzi artistici nuovi, inusitati fino ad allora: voleva
far partecipare la stessa natura in tutte le sue manifestazioni alla
liturgia artistica di questo Mistero: il soffio del vento fra
gli alberi, lo scintillio delle stelle, i colori del sole dall'alba
al tramonto"[xxi][21].
L'esecuzione
del Mysterium doveva essere preceduta
da numerose e complesse azioni preparatorie, corrispondenti alle cerimonie
dell'antichità: "doveva esserci una preparazione dei partecipanti
stessi, fisica, morale, estetica, filosofico-religiosa.
Skrjabin si arrestò all'idea di creare
una scuola speciale dove i futuri partecipanti dell'Atto avrebbero
dovuto ricevere una formazione artistica, intellettuale e religiosa.
Egli diceva: «i miei attori devono dimenticare tutte le loro abitudini
e apprendere qualcosa d'altro»"[xxii][22].
In queste scuole
di carattere iniziatico i discepoli dovevano dunque ricevere una formazione
spirituale che avrebbe permesso la loro trasformazione interiore,
ed un insegnamento artistico avrebbe permesso loro di assimilare le
tecniche interamente nuove dell'arte totale (alla base della concezione
del Mysterium, ma anche dell'Atto Primigenio,
ossia proprio di questa preparazione).
La funzione
dell'arte totale è quindi di primaria importanza: senza di essa non
si potrebbe raggiungere quello stato estatico necessario per l'uscita
da se stessi, distogliendo la mente dai problemi materiali.
Come è facile
intuire, il Mysterium, pur così minuziosamente concepito, non
fu mai realizzato: forse per la morte dell'autore, forse per i problemi
pratici insormontabili della sua realizzazione. Ricca di spunti interessanti
per lo sviluppo dell'arte sinestesica,
resta comunque un'opera visionaria e a tutt'oggi
irrealizzabile: come riunire l'intera umanità sotto un tempio fatto
di colonne d'incenso?