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Comparatismi

Giovanna Lelli (Parol on-line 2000) 

Comparatismo e crisi contemporanea

 Il comparatismo gode di rinnovata fortuna negli anni recenti. Esso da un lato è l'erede di un'eterogenea tradizione di studi di origine ottocentesca, e dall'altro presenta caratteri squisitamente nuovi. Nato all'inizio del XIX secolo nel campo dell'anatomia e della grammatica, il comparatismo ha poi conosciuto svariate applicazioni sia nelle scienze umane che nelle scienze naturali. Ma il nuovo slancio che esso trova oggi, con particolare riferimento agli studi letterari, è anche il sintomo di una crisi, e per coglierne il significato può essere utile soffermarsi a riflettere sul contesto storico di questa fine millennio.

Dopo che si è concluso, tra la fine degli anni  Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, il ciclo storico del dopoguerra, è cominciata un'epoca che presenta caratteri storicamente inediti. Se è vero che il sistema moderno, sin dalle sue lontane origini (il XVI secolo), ha manifestato una tendenza alla mondializzazione, questo processo è andato tuttavia accelerandosi nel corso degli ultimi decenni. La novità fondamentale della globalizzazione contemporanea consiste nel fatto che lo spazio politico (gli Stati-nazione) non coincide più con lo spazio economico (il sistema mondiale). Questa contraddizione sembra essere all'origine delle enormi lacerazioni umane e ambientali con cui si chiude il secondo millennio. A chiunque è agevole osservare come alla dimensione planetaria dell'economia e della finanza faccia riscontro un generalizzato ripiegamento provinciale (a seconda dei casi locale, etnico, religioso, ...) nel nome di vere o presunte identità culturali metastoricamente intese.

E' proprio alla luce di questo inedito contesto storico che proponiamo di intepretare il rinnovato vigore del comparatismo negli anni recenti. La contraddizione tra l'Uno dell'economia e il caotico molteplice della società, della politica e della cultura genera frammentazione e disorientamento, e nasce quindi l'esigenza di mettere in relazione, di comparare. Comparare, nell'accezione più semplice del termine, significa confrontare oggetti diversi e rilevarne tanto le somiglianze che le differenze. Attualmente, tuttavia, sembra che le differenze attirino maggiormente l'attenzione che non le somiglianze. Il recente slancio degli studi comparatistici è infatti da porsi in relazione, tra l'altro, col diffondersi della nozione di "differenza culturale". E' come se una parte del pensiero occidentale avesse preso bruscamente coscienza del fatto che la propria tradizione culturale non è la sola, e forse neppure la più importante dell'umanità. Questo tentativo di spostamento da un approccio culturale eurocentrico a un approccio culturale policentrico è però ancora incerto e, schematizzando, si può dire che sia combattuto tra due diverse inclinazioni. La prima consiste  nell'esaltazione acritica ed empirica delle differenze culturali, metastoricamente intese[i][i]. La seconda consiste invece nel tentativo di un'analisi storica tanto delle differenze che delle somiglianze culturali, in vista di possibili ricomposizioni in senso universalista della frammentazione contemporanea[ii][ii].

Ma forse che l'Occidente non ha mai conosciuto, prima d'ora, culture diverse dalla propria? Se si pensa al viaggiare dei mercanti nel Medio Evo, alla vocazione ecumenica della Chiesa cattolica, alle esplorazioni e alle conquiste europee delle Americhe, dell'Asia e dell'Africa, alla colonizzazione, e infine alla decolonizzazione accompagnata dalla solidale partecipazione di tante frange della popolazione occidentale, non è dunque curiosa la scoperta delle differenze culturali negli ultimi decenni? Alla base della stessa modernità occidentale, l'Umanesimo-Rinascimento, non c'è forse la reinterpretazione, accanto alla tradizione greco-latina, delle tradizioni araba ed ebraica? Si è sempre saputo che le culture sono più o meno diverse tra loro, ma mai come oggi questo ha costituito un problema. In realtà, la fortuna delle teorie della differenza culturale e il recente sviluppo del comparatismo sono essenzialmente i sintomi di una crisi.

Comparatismo e identità europea

Quando si parla di differenze culturali, in genere, si fa riferimento alla diversità tra la cultura occidentale e le altre culture del pianeta. Negli ultimi decenni, la letteratura comparata si è infatti occupata, tra l'altro, del rapporto tra le tradizioni letterarie occidentali e quelle non occidentali. Oggetto di particolare attenzione sono state le letterature dell'Estremo Oriente. Ma non per questo la letteratura comparata ha trascurato il confronto delle tradizioni letterarie occidentali fra loro. Anzi, gli studi comparatistici limitati alle letterature culturalmente europee (comprese quelle nord e sudamericane) sono proprio i più abbondanti. Ma soffermiamici sul caso del continente europeo. Come bisogna interpretare il rinnovato slancio del comparatismo in quest'area culturale, e quale rapporto esso intrattiene con la tradizione del Vecchio Continente, con la stessa idea di Europa?

A nostro avviso anche in questo caso ci troviamo di fronte al sintomo di una crisi. E' indubbio che la dimensione europea della crisi contemporanea non raggiunge le punte drammatiche della sua dimensione planetaria, con particolare riferimento al Sud del mondo. Tuttavia, le relativamente recenti teorie della traduzione, la traduzione stessa intesa come problema[iii][iii], sono tutti elementi da interpretarsi anche come il sintomo della crisi che ha colpito l'identità europea nei tempi recenti. Può sembrare paradossale una simile affermazione in un'epoca in cui l'Unione Europea abolisce le frontiere tra i suoi Stati e compie l'unificazione monetaria. Eppure, probabilmente, è proprio il tentativo di costruire l'unità europea privilegiando la dimensione finanziaria rispetto a quella sociale e culturale che mette a repentaglio l'unità della tradizione e della cultura del Vecchio Continente. Possibile che "entrare in Europa" significhi soddisfare i parametri monetari e finanziari stabiliti dal trattato di Maastricht? E che ne è allora di parti così importanti della cultura europea come i paesi dell'Europa orientale, che un tempo furono bizantini, ottomani, asburgici, zaristi, socialisti reali? Possono i confini dell'Europa della cultura coincidere con quelli dell'Europa della finanza? Evidentemente, anche in questo caso, seppure in maniera più limitata che non su scala mondiale, la mancata corrispondenza tra lo spazio economico e finanziario da un lato, e lo spazio politico, sociale e culturale dall'altro, è fonte di grandi squilibri.

Ernst Robert Curtius, nell'ormai lontano 1948, pubblicava il suo capolavoro Letteratura europea e Medio Evo latino[iv][iv], in cui rintracciava l'unità della tradizione occidentale nella sua letteratura, da Omero a Goethe. In una prospettiva analoga si collocava, pochi anni prima, l'opera di Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale[v][v]. In un'epoca in cui i destini dell'Europa erano tragicamente minacciati dal secondo conflitto mondiale, questi due grandi studiosi rispondevano alle distruzioni della guerra con la forza unificatrice della cultura. In questa fine millennio, in cui agli enormi sconvolgimenti che interessano il pianeta fa riscontro una sconcertante impotenza generale, più voci si sono già levate a interrogarsi sulla natura e sul senso dell'identità occidentale (vedi per esempio il pensiero postmoderno). Ma il più delle volte la questione non viene inserita nel quadro di una solida analisi storica. Letteratura europea e Medio Evo latino e Mimesis, invece, sono in sostanza due opere in cui il comparatismo è trattato in maniera storica, dal punto di vista della lunga durata. Rileggere Curtius e Auerbach, beneficiando dell'esperienza accumulata negli ultimi cinquant'anni e dello spostamento in senso policentrico di alcune prospettive culturali, può essere di grande aiuto per dare solide basi storiche al comparatismo contemporaneo.

Comparatismo ottocentesco e comparatismo contemporaneo

Non è possibile definire il comparatismo con un'unica accezione. Esso, infatti, in assenza di ulteriori definizioni specifiche, resta una categoria vaga, e soprattutto non è un metodo. E' evidente che si può fare comparatistica da metafisici, da materialisti, da idealisti, da postmoderni, etc. Allo stesso modo, anche la letteratura comparata è suscettibile di approcci diversi. Claudio Guillén, per esempio, afferma che essa è l'espressione di un "desiderio (...) di superamento dei nazionalismi culturali"[vi][vi]. Ci sembra che si possa partire proprio da questa definizione per riflettere sul rapporto tra il comparatismo ottocentesco e il comparatismo contemporaneo. Il comparatismo ottocentesco nasce contemporaneamente ai nazionalismi europei. E' nel secolo scorso infatti che si costituiscono per lo più gli stati-nazione e la loro ideologia fondante. Oggi, lungi dallo scomparire, gli stati nazionali si sono anzi moltiplicati nel corso dell'ultimo decennio, ma sempre più impotenti subiscono la globalizzazione che li sovrasta. Qual'è dunque il rapporto tra il comparatismo ottocentesco e il comparatismo contemporaneo alla luce del mutato contesto storico? Si tratta indubbiamente di una questione assai ampia, di cui ci limitiamo a prendere in considerazione alcuni aspetti. L'assunto da cui partiamo è che non è un caso che il comparatismo sia nato nel XIX secolo e che esso trovi nuovo slancio sul finire del XX.

Il comparatismo ottocentesco nasce e si sviluppa all'epoca dell'espansione europea su scala mondiale, nell'atmosfera culturale del Positivismo. Le nazioni europee si trovavavano allora in un rapporto di confronto (e spesso di conflitto) tra loro e con le altre formazioni sociali del pianeta. La necessità di legittimare l'espansione europea fuori dai confini del Vecchio Continente incoraggiò l'eleborazione delle teorie della razza, basate, nelle loro diverse varianti, sull'affermazione della superiorità dei bianchi di cultura europea sugli altri popoli del pianeta. Tali teorie si svilupparono proprio in stretta connessione con gli studi comparatistici. Per esempio G. Cuvier, autore del primo studio di anatomia comparata, definisce così la "razza negra":

La razza negra è caratterizzata da carnagione nera, capelli crespi o lanosi, cranio compresso e naso appiattito. La proiezione della parte inferiore del viso e le labbra spesse la approssima manifestamente al popolo delle scimmie: le orde in cui essa s'aggrega sono sempre rimaste nel più completo stato di barbarie[vii][vii].

Come mostra Martin Bernal nel suo Atena nera, anche la grammatica e la linguistica comparata offrirono delle basi "scientifiche" alle teorie della razza: "la percezione generale della famiglia linguistica indo-europea (...) nell'atmosfera razzista dell'epoca, si trasformò assai rapidamente nel concetto di razza indo-europea o ariana"[viii][viii].

Ernest Renan, filologo orientalista, letterato e grande comparatista del Positivismo, deduce dalla diversità esistente tra le lingue indo-europee e le lingue semitiche una diversità razziale. Alla lezione inaugurale del corso di lingue ebraica, caldaica e siriaca da lui tenuto al Collège de France nel 1862 si esprime in questi termini:

Il carattere semitico è in generale duro, gretto, egoista. In questa razza vi sono forti passioni, devozione assoluta, caratteri incomparabili; raramente c'è quella finezza di sentimento morale che sembra essere soprattutto appannaggio delle razze germaniche e celtiche. I sentimenti teneri, profondi, malinconici, quei sogni di infinito in cui tutte le potenze dell'animo si confondono, quella grande rivelazione del dovere che sola dà una solida base alla nostra fede e alle nostre speranze sono opera della nostra razza e del nostro clima.

Il rapporto tra tali teorie e il contesto storico è evidente:

Quanto all'avvenire, Signori, vedo sempre di più il trionfo del genio indoeuropeo (....). Attualmente, condizione essenziale per l'espansione della civiltà europea è la distruzione della cosa semitica per eccellenza, la distruzione del potere teocratico dell'islamismo, e perciò dello stesso islamismo[ix][ix].

Naturalmente l'eterogeneo sviluppo del comparatismo ottocentesco non si limita all'elaborazione di teorie così raccapriccianti. Grazie all'approccio comparatistico, infatti, nel XIX secolo tanto le scienze umane che le scienze naturali progredirono enormemente. Il punto su cui ci interessa attirare l'attenzione, tuttavia, è l'importanza del complesso rapporto esistente tra contesto storico e fenomeni culturali. Il comparatismo ottocentesco, constatando l'esistenza di differenze linguistiche, religiose, culturali e fisiche tra i popoli della terra, elabora delle teorie della razza che hanno di fatto la funzione di fornire un solido supporto ideologico all'espansione europea.

Come interpretare i recenti sviluppi del comparatismo nel contesto storico della globalizzazione contemporanea? Oggi, come ieri, il comparatismo nasce dalla presa di coscienza che esiste una molteplicità di lingue, di religioni, di popoli, di culture. Ma la prima differenza osservabile tra ieri e oggi è che, mentre il Positivismo, conformemente al suo sistema di pensiero, riconduceva questa molteplicità a un'unità chiusa, la postmodernità sembra preferire la constatazione empirica dell'esistenza di differenze culturali, piuttosto che impegnarsi in una vera e propria analisi sociale e storica dei fenomeni. Inoltre, come osservavamo sopra, il recente sviluppo degli studi comparatistici in alcuni casi è andato di pari passo con il tentativo di operare uno spostamento da un approccio culturale eurocentrico a un approccio culturale policentrico. Il comparatismo ottocentesco proclamava in maniera altisonante l'eurocentrismo come valore:

L'Europa conquisterà il mondo e diffonderà la sua religione, che è il diritto, la libertà, il rispetto degli uomini (...). In tutti i campi, per i popoli indoeuropei il progresso consisterà nell'allontanarsi sempre di più dallo spirito semitico[x][x].

Il comparatismo contemporaneo, invece, giunge talvolta a formulare una critica dell'eurocentrismo[xi][xi].

Due modi di criticare l'eurocentrismo

Abbiamo più volte fatto cenno al fatto che il rinnovato vigore del comparatismo negli ultimi decenni può essere interpretato come un sintomo della crisi contemporanea. Alla profonda contraddizione esistente tra uno spazio economico-finanziario globale e uno spazio politico locale fa riscontro, tra le altre, la diffusa tendenza ad esaltare le differenze culturali, talvolta nel nome del tramonto della visione eurocentrica del mondo. Ciò nonostante, per numerose ragioni, non ultima delle quali il monopolio occidentale dei mezzi di comunicazione e di diffusione della cultura, l'eurocentrismo, nelle sue svariate espressioni, continua ad essere il paradigma culturale dominante. In questa sede ci limitiamo comunque a proporre alcune riflessioni sulle critiche che da più parti si sono levate nei confronti dell'eurocentrismo, perché ci sembra che proprio in esse si possano individuare alcuni degli aspetti più interessanti del dibattito contemporaneo.

In ogni epoca di crisi si generano delle reazioni che prendono la forma di movimenti sociali, tendenze culturali, ideologiche, letterarie, etc. Ma può essere rischioso apprezzare queste reazioni in quanto tali, considerarle comunque positive. Sempre, alcune risposte alle crisi portano con i presupposti del loro superamento (non si intenda questa espressione nei termini della dialettica idealistica), mentre altre tendono ad esasperarle. Basti pensare alla crisi che colpì gli Stati Uniti e l'Europa negli anni Trenta. Allora vi furono delle risposte democratiche e delle risposte reazionarie. Furono queste ultime a prevalere, e si giunse alla seconda guerra mondiale. Anche oggi, dunque, è opportuno tentare di operare delle distinzioni tra le diverse reazioni alla crisi contemporanea. Certo, non è facile interpretare il proprio tempo, perchè è vivo, in formazione. Non è facile distinguere nel presente gli eventi significativi da quelli trascurabili, perché non se ne conoscono ancora le conseguenze. Fernand Braudel, che, accanto a Curtius e ad Auerbach, potrebbe essere considerato un altro grande comparatista del XX secolo, insiste sull'importanza dell'opera di ricostruzione dello storico tanto nella sua analisi del passato che nella sua analisi del presente:

Anche chi compie indagini sul tempo presente perviene sino alle trame più sottili solo a condizione di sfuggire al dato, di ricostruire, di avanzare ipotesi e spiegazioni, di rifiutare il reale così come è percepito, di apportarvi tagli, di superarlo, tutte operazioni che permettono di sfuggire al dato per meglio dominarlo ma che sono tutte ricostruzioni[xii][xii].

E' quello che tentiamo di fare, senza alcuna pretesa di fornire delle risposte assolute e definitive, nella nostra analisi del comparatismo contemporaneo. Schematizzando, e soprattutto ai fini della chiarezza dell'esposizione, è possibile distinguere due maniere fondamentali di criticare l'eurocentrismo oggi. La prima si colloca principalmente su un piano metastorico (o, secondo l'espresione di Arnold Gehlen, "post-istorico"), e la chiameremo critica metastorica dell'eurocentrismo, mentre la seconda si colloca su un piano storico, e la chiameremo dunque critica storica dell'eurocentrismo.

Chiamiamo critica metastorica dell'eurocentrismo quella variegata tendenza culturale direttamente o indirettamente legata ad alcune correnti filosofiche postmoderne. Sebbene le si debba riconoscere il merito di avere smascherato la visione chiusa, assoluta, metafisica dello storicismo positivista e del suo preteso universalismo, non sembra che questa critica sia in grado (anzi, lo dichiara apertamente quasi come valore fondante) di fornire delle risposte adeguate alle urgenti questioni del nostro tempo. L'esaltazione acritica delle differenze culturali da un lato, la frammentazione e l'empirismo assunti come posizioni teoriche dall'altro, rendono piuttosto incerto il terreno su cui essa si muove, soprattutto perché il ripensamento di cui è oggetto la tradizione occidentale non è inserito nel quadro di una solida analisi storica[xiii][xiii].

Chiamiamo critica storica dell'eurocentrismo, invece, un eterogeneo orientamento di studi più attenti al complesso rapporto esistente tra contesto storico e fenomeni culturali. Il presupposto di questo approccio sembra essere l'ineludibilità della questione del rapporto tra le dimensioni economica, politica e culturale nell'evoluzione storica delle società. Tale questione, troppo spesso affrontata in modo deterministico, rimane aperta. Oltre agli studiosi della scuola di ispirazione braudeliana del "sistema-mondo" (I. Wallerstein, Giovanni Arrighi), è opportuno citare qui, a titolo di esempio, due testi che possono rappresentare bene quella che abbiamo definito la critica storica dell'eurocentrismo: Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica di Martin Bernal e L'Eurocentrisme. Critique d'une idéologie di Samir Amin[xiv][xiv].

Atena nera di Bernal si avvicina, per l'ampiezza dei suoi orizzonti, alle opere di Curtius, di Auerbach e di Braudel. Bernal infatti si interroga sulla tradizione occidentale,  rimettendo in discussione, sulla base di un'approfondita analisi linguistica, testuale e archeologica, la legittimità del suo pilastro fondatore per eccellenza: la civiltà greca. Bernal mostra come, soprattutto nel XIX secolo, la cultura occidentale abbia provveduto a negare sistematicamente i rapporti tra la Grecia antica e il mondo afroasiatico. L'Eurocentrisme di Amin, poi, costituisce un altro tassello indispensabile nel mosaico di questi studi. L'autore propone un'analisi comparata di diverse civiltà medievali allo stesso stadio di sviluppo (l'Oriente islamico, l'Europa cristiana, l'India, la Cina) mettendo l'accento sulle loro analogie culturali (l'elaborazione di una metafisica). Sulla base di questa analisi Samir Amin si propone di rendere conto del "miracolo europeo" (il salto precoce verso il capitalismo) senza ricorrere ai "sotterfugi" dell'eurocentrismo (che attribuiscono la nascita del capitalismo in Europa, per esempio, ad una predisposizione atavica dell'Occidente alla razionalità e alla scienza)[xv][xv]. La novità del libro di Amin rispetto ad altri studi (per esempio Orientalismo di Edward Said[xvi][xvi]) consiste nel fatto che esso non si limita a una critica della visione eurocentrica del mondo, ma propone anche una visione alternativa. Amin osserva che l'eurocentrismo non è propriamente un'ideologia, ma piuttosto un paradigma culturale che informa di l'intero ordine moderno del sapere:

L'eurocentrisme n'est pas la somme des préjugés (...) des Occidentaux à l'égard des autres. Au demeurant ceux-ci ne sont pas plus graves que les préjugés des peuples non européens à l'endroit des Occidentaux. Il n'est donc pas un ethnocentrisme banal, témoignage seulement des horizonts limités qu'aucun peuple de la planète n'a encore véritablement dépassés. L'eurocentrisme est un phénomène spécifiquement moderne, dont les racines ne vont pas au-delà de la Renaissance, et qui s'est épanoui au XIXème siècle... L'eurocentrisme n'est pas une théorie sociale (...). L'eurocentrisme n'est qu'une déformation, mais systématique et importante, dont souffrent la plupart des idéologies et des théories sociales dominantes[xvii][xvii].

Said, Bernal, Amin e altri attribuiscono al Positivismo la paternità di tanta parte della cultura e dell'ideologia contemporanee. Questo approccio storico al comparatismo necessita di svilupparsi in maniera quanto più possibile interdisciplinare. Può dunque essere interessante estenderlo anche all'ambito della letteratura.

Pur guardando comunque con interesse alle riflessioni comparatistiche direttamente o indirettamente influenzate dal pensiero postmoderno, crediamo che i comparatismi solidamente legati all'analisi storica e sociale possano offrire delle risposte più adeguate alle grandi questioni del nostro tempo. Per tornare agli studi di Braudel sul Mediterraneo, che ne è oggi dell'unità di questo mare? Quali sono i rapporti tra l'Europa e il mondo arabo-islamico nel lungo periodo? Come sono mutati? Si può tentare di rispondere a queste questioni a partire da discipline diverse, a seconda delle inclinazioni di ciascuno. Per quanto ci riguarda, ci sentiamo attratti dall'analisi comparata delle tradizioni poetiche e poetologiche medievali sviluppatesi intorno al bacino del mediterraneo: la poetica bizantina, la poetica arabo-islamica e la poetica latina.

Perché la poetica medievale comparata?

Braudel insegna che la difficoltà dello storico che si accinge ad analizzare il presente consiste nel saper riconoscere dai fatti dell' histoire événementielle i movimenti lunghi, profondi della storia.

Nel 1989, contemporaneamente alla frantumazione del vecchio ordine mondiale del dopoguerra, Francis Fukuyama pubblicava La fine della storia. Poco dopo, Samuel Huntington diventava famoso per essere l'autore di un best seller intitolato Lo scontro fra civiltà, dove si teorizza che dopo la fine della guerra fredda la scena mondiale è occupata dallo scontro tra la civiltà occidentale e l'islam. Nel 1994 l'allora segretario dell'Alleanza Atlantica Willy Claes dichiarava che dopo la morte del comunismo il nuovo nemico dell'Occidente è l'islam. Fatti come la pubblicazione di un libro di successo o le dichiarazioni di un uomo politico sono appunto relativi a quello che Braudel chiamava l'évenémentiel, il "tempo breve" della storia. Come interpretarli? Come ricostruirli, come metterli in relazione con il passato? Non ci si può esimere mai dal tentare un tale compito, e meno ancora in un'epoca come la nostra in cui la storia viene sottoposta a tanto profonde revisioni.

Nell'immaginario, anche se laico, dei contemporanei, la contrapposizione tra Occidente e islam è data per scontata, ma abbiamo già accennato sopra al ruolo determinante giocato dal Positivismo nella costruzione di questo pregiudizio. Secondo Bernal l'aspetto essenziale dell'elaborazione storiografica e ideologica positivistica è consistito proprio nell'isolare la civiltà greca dalle sue radici afroasiatiche (egizie e fenicie). Era infatti necessario negare l'esistenza di qualunque parentela culturale, linguistica e etnica tra la culla della civiltà occidentale (la Grecia) e il mondo afroasiatico, per presentare le conquiste coloniali come missioni civilizzatrici:

Nella scienza e nella filosofia, noi siamo esclusivamente Greci. La ricerca delle cause, il sapere per il sapere, è  qualcosa di cui non v'è assolutamente traccia prima della Grecia, qualcosa che abbiamo appreso soltanto da essa. Babilonia ha avuto una scienza, ma non il principio scientifico per eccellenza, quello della fissità assoluta delle leggi della natura. L'Egitto ha saputo di geometria, ma non ha creato gli Elementi di Euclide. Quanto al vecchio spirito semitico, esso è per sua natura antifilosofico e antiscientifico[xviii][xviii].

Il ruolo storico della civiltà arabo-islamica è ridotto a quello di (cattiva) traduttrice del pensiero greco, che essa avrebbe restituito ai suoi legittimi proprietari, gli europei (secondo una visione del tutto estranea ai filosofi medievali sia cristiani che mussulmani):

Si parla spesso di una scienza e di una filosofia arabe, e in effetti, per un secolo o due, durante il medioevo, gli Arabi furono realmente i nostri maestri, - in attesa che conoscessimo gli originali greci. Questa scienza e questa filosofia arabe erano solo una misera traduzione della scienza e della filosofia greche[xix][xix].

Se Renan riconosce alla civiltà arabo-islamica medievale almeno il merito d'aver tradotto i Greci, egli considera con assoluto disprezzo la civiltà arabo-islamica a lui contemporanea:

L'Islam è il disprezzo della scienza, la soppressione della società civile; è la semplicità spaventosa dello spirito semitico, che restringe il cervello umano, lo rende impenetrabile a ogni idea delicata, a ogni sentimento raffinato, a ogni ricerca razionale (...)[xx][xx]

Dopo avere poco prima affermato:

E' la guerra eterna, guerra che cesserà solo quando l'ultimo figlio di Ismaele sarà morto di miseria o sarà stato spinto dal terrore in fondo al deserto. L'Islam è la negazione radicale dell'Europa[xxi][xxi].

Leggendo Renan non si può non rimanere stupefatti dinnanzi all'oblio in cui sembra caduta la tradizione dell'Umanesimo e del Rinascimento, epoca in cui la filosofia araba ed ebraica erano parte integrante dei curricula studiorum dell'intellighenzia occidentale. Tuttavia l'interpretazione di Renan esercita tutt'oggi un'influenza importante sulla lettura del ruolo storico della civiltà arabo-islamica. Le critiche avanzate da studiosi come Bernal e Amin a tale visione vanno del resto al di là della questione arabo-islamica in particolare, e investono l'eurocentrismo quale paradigma centrale del pensiero moderno. Il nuovo paradigma di cui essi, e altri studiosi, si fanno portatori, è tuttora in fase di elaborazione, e si scontra con la resistenza delle idee comunemente accettate dalla comunità scientifica dominante (la "scienza normale" di cui parla Thomas Kuhn nella Struttura delle rivoluzioni scientifiche[xxii][xxii]).

Non è un caso che i sostenitori della differenza culturale in Occidente spesso rivolgano il loro interesse a civiltà effettivamente lontane, come quelle dell'Estremo Oriente. D'altro canto, quando anche le civiltà geograficamente vicine all'Europa vengono prese in considerazione, l'affermazione del diritto alla differenza prescinde il più delle volte dallo studio storico e culturale di tali "differenze", che restano in una dimensione insieme empirica ed astratta. Dal canto nostro, ci sembra che sia opportuno interpretare tanti drammatici fenomeni fondamentalisti e sciovinisti contemporanei non tanto come le espressioni ataviche di un rifiuto della modernità improvvisamente esploso, ma come delle reazioni autodistruttive al fallimento di una modernità che non ha mantenuto le sue promesse illuministiche di universalismo.

Lo studio comparato delle civiltà sviluppatesi intorno al bacino del Mediterraneo nel Medio Evo non può che mettere in evidenza l'esistenza di profonde affinità culturali. Le analogie facilmente constatabili nei sistemi di pensiero medievali bizantino, arabo-islamico e latino non costiuiscono degli elementi isolati di corrispondenze fortuite, ma acquistano senso se considerate in relazione all'esistenza di un unico contesto culturale. Tra le ipotesi storiografiche più stimolanti di questa fine millennio c'è proprio quella di verificare la pertinenza di una nozione globale di Medio Evo, facendo riferimento alla lunga durata storica, secondo l'esempio di Auerbach, Curtius e Braudel. Nel Medio Evo, infatti, sulla base della comune eredità ellenistica e tardo-antica, si sono sviluppate, ad Est e ad Ovest del Mediterraneo, delle civiltà affini che hanno contribuito a formare un sistema culturale sostanzialmente unitario. Tale unità culturale si è spezzata definitivamente intorno al 1500 quando, in seguito alla scoperta dell'America, l'asse del commercio internazionale si è spostato dal Mediterraneo all'Atlantico, comportando da un lato la decadenza della mercantile civiltà islamica, e dall'altro il fiorire dell'Europa moderna. Il Positivismo, tuttavia, ha pesantemente contribuito a proiettare all'indietro nel tempo la rottura cinquecentesca dell'unità culturale mediterranea, costruendo anzi il mito metastorico di un eterno Oriente contrapposto a un eterno Occidente. La reazione antipositivistica che ha percorso tutto il Novecento non ha ancora seriamente scalfito questi aspetti della storiografia ottocentesca.

L'unità culturale delle civiltà sviluppatesi nel Medio Evo intorno al bacino del Mediterraneo, evidente in primo luogo dall'analisi del loro pensiero religioso (giudaismo, cristianesimo, islam)[xxiii][xxiii], può essere mostrata anche dallo studio comparato delle loro poetiche. Sappiamo che il centro egemone dell'ordine del sapere medievale, tanto in ambiente mussulmano che in ambiente cristiano, era costituito dalla teologia. Fare medievistica comparata attraverso lo studio della teologia significa, per usare delle immagini, prendere la strada maestra, o passare per la porta principale. Ma questa scelta presenta invero degli inconvenienti. Le porte principali sono rigidamente controllate dalle sentinelle dei condizionamenti e dei pregiudizi che, per forza di cose, operano sul pensiero del nostro tempo. Se vogliamo essere il più possibile liberi da pregiudizi e aperti a nuove associazioni è opportuno che prendiamo un sentiero poco battuto, una porta secondaria. Come sostiene Thomas Kuhn nella Struttura delle rivoluzioni scientifiche, coloro che introducono un nuovo paradigma o sono molto giovani o provengono da ambiti di studio molto diversi. La poetica dunque, come sentiero poco battuto o porta secondaria del sapere medievale, può costituire una direzione privilegiata di ricerca. L'idea che le porte strette conducano a cose grandi  precede del resto di molti secoli la nascita del pensiero scientifico. La tradizione cristiana vuole che sia più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli. La tradizione mussulmana, similmente, afferma che sottile come un capello e affilato come una spada è il ponte che conduce al paradiso. La poetica è come la cruna dell'ago, come il ponte sottile.

Come abbiamo ricordato sopra, due grandi comparatisti quali Ernst Robert Curtius e Erich Auerbach, mezzo secolo fa, si proponevano di rintracciare l'unità della cultura europea dalla Grecia all'Europa moderna. Curtius, in particolare, focalizzava la sua attenzione sulla tarda Antichità quale momento storicamente cruciale per la formazione dell'identità culturale europea.

Come John Dewey ha osservato[xxiv][xxiv], da un'epoca all'altra variano i problemi sentiti come urgenti dai contemporanei. Così, quando Curtius scriveva, al tempo della seconda guerra mondiale, era urgente trovare l'unità della tradizione europea, per rispondere con l'unità della cultura alle distruzioni della guerra. Oggi, all'epoca della globalizzazione economica, non basta più guardare entro i confini dell'Europa geografica per preservare la cultura e la tradizione del Vecchio Continente. Il nostro tempo pone delle sfide sociali e culturali senza precedenti. Nonostante ogni buona intenzione di difendere "il diritto alla differenza", enfatizzando la diversità culturale si rischia di negare il diritto all'eguaglianza e alla somiglianza, fornendo concretamente delle basi ideologiche a tanti sconvolgimenti umani e sociali con cui si chiude il secondo millennio. Dal canto nostro, crediamo che sia possibile tornare, alla luce dell'attuale situazione storica, sugli studi di Curtius, allargando la sua analisi morfologica della letteratura latina alle civiltà sviluppatesi, su comuni basi ellenistiche, intorno al bacino del Mediterraneo nel Medio Evo. L'ipotesi che proponiamo di verificare è quella di una nozione globale di Medio Evo (nelle sue dimensioni bizantina, arabo-islamica e latina), sottoponendo così a revisione l'idea tutto sommato astratta e astorica di un eterno Occidente dalla Grecia al Postmoderno. Non è escluso che l'unità ellenistico-medievale del Mediterraneo non sia da reperirsi ancora una volta anche nella sua retorica.

(Bologna 1998)

[i][i] Ci riferiamo alle correnti direttamente o indirettamente  legate al pensiero postmoderno (le cui basi furono gettate da Jean-François Lyotard, Jacques Derrida, Felix Guattari, Michel Foucault e Jean Baudrillard). In Italia, nel campo dell'ermeneutica, questa tendenza è autorevolmente rappresentata da Gianni Vattimo (La Fine della modernità, Milano, Garzanti, 1998, 19851). Nel campo più specifico della letteratura comparata, cfr. Palencia-Roth, Michael, "Letteratura contrastiva", in Studi di estetica, Modena, Mucchi, 1996, 14, pp. 43-55 ("Contrastive Literature", in ACLA Bulletin, 1993, 2), dove si afferma: "celebriamo l'alterità anziché temerla", p. 54.

[ii][ii] Cfr. infra il paragrafo intitolato: "Due modi di criticare l'eurocentrismo".

[iii][iii]Come non pensare a quello che fu il problema della traduzione delle Sacre Scritture? La letteratura sulla traduzione è abbondante. Ricordiamo: Steiner, George, After Babel, New York, Oxford University Press, 1975, e Berman, Antoine, L'Epreuve de l'étranger. Culture et traduction dans l'Allemagne romantique, Paris, Gallimard, 1984.

[iv][iv]Curtius, Ernst Robert, Letteratura europea e Medio Evo latino , Firenze, La Nuova Italia, 1992 (Europaïsche Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, A.Francke Verlag, 1948).

[v][v]Auerbach, Erich, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 1956 (Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Bern, A. Francke, 1946).

[vi][vi]Guillén, Claudio, L'Uno e il molteplice. Introduzione alla letteratura comparata, Bologna, il Mulino, 1992, p. 12 (Entre lo uno e lo diverso. Introdución a la literatura comparada, Barcelona, Editorial Crítica,1985).

[vii][vii]Cuvier, G., Le règne animal distribué d'après son organisation, Paris, 1817, citato in Bernal, Martin, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica. Vol. I: L'invenzione della Grecia antica. 1785-1985, Parma, Pratiche, 1991, p. 298 (Black Athena. The Afroasiatic Roots of Classical Civilisation. Vol. I: The Fabrication of Ancient Greece. 1785-1985, London, Free Association Books, 1987).

[viii][viii]Bernal, Atena nera... , p. 277.

[ix][ix] Renan, Ernest, "La funzione dei popoli semitici nella storia della cilviltà", lezione inaugurale di lingue ebraica, caldaica e siriaca al Collège de France, pronunciata il 21 Febbraio 1862, sta in: Che cos'è una nazione? E altri saggi, Roma, Donzelli, 1993, p. 122.

[x][x]Renan, "La funzione...", p. 123.

[xi][xi] CfrPalencia - Roth, Michael, "Letteratura contrastiva", ...

[xii][xii]Braudel, Fernand, "La lunga durata", in Scritti sulla storia, Milano, Oscar Mondadori, 1976, pp. 71-72.

[xiii][xiii] Gianni Vattimo, per esempio, in La Fine della modernità ..., accenna a più riprese alle "culture altre" e all'occidentalizzazione omologante del pianeta, definendola un "evento deprecabile provocato dal trionfo del capitalismo imperialistico alleato con la scienza - tecnica dell'epoca della metafisica compiuta" (p. 162). Nel discorso di Vattimo, tuttavia, la nozione di "culture altre" è avulsa da qualsiasi esemplificazione storica concreta, ed ha una consistenza ancora minore di quelle "oscure forme" di cui parla Joseph Conrad in Cuore di tenebra riferendosi ai corpi degli africani. Anche la nozione di occidentalizzazione necessita di essere inserita in una dimensione storica e sociale concreta. Infatti, non è la diffusione in della cultura occidentale ad essere deprecabile, ma il modo in cui questo avviene. Se l'Occidente esportasse gli aspetti più grandi della sua tradizione culturale (compresi i preziosi strumenti della critica), questo non potrebbe essere che un arricchimento per gli altri popoli. Il problema è che l'Occidente esporta soprattutto la sua subcultura. Inserita in una dimensione concreta, l'attuale "occidentalizzazione" e "omologazione" del pianeta non costituisce dunque una minaccia solo per le culture non occidentali, ma anche e ugualmente per la stessa cultura occidentale.

[xiv][xiv]Amin, Samir, L'Eurocentrisme. Critique d'une idéologie, Paris, Anthropos-Economica, 1988.

[xv][xv]Amin, Samir, L'Eurocentrisme..., p. 10.

[xvi][xvi]Said, Edward W., Orientalismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1991 (edizione americana 1978).

[xvii][xvii]Amin, Samir, L'Eurocentrisme..., p. 8.

[xviii][xviii]Renan, "La funzione...", p. 115.

[xix][xix]Renan, "La funzione...", p. 116.

[xx][xx]Renan, "La funzione...", p. 123.

[xxi][xxi]Renan, "La funzione...", p. 123.

[xxii][xxii]Kuhn, Thomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1969 (edizione americana 1962).

[xxiii][xxiii]Cfr. per es. Gardet, Louis et Anawati, M. - M., Introduction à la théologie musulmane. Essai de théologie comparée, Paris, Librairie philosophique J. Vrin, 1948.

[xxiv][xxiv]Dewey, John, L'arte come  esperienza, Firenze, La Nuova Italia, 19673 (edizione americana 1934).

 

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