Marginalia al "Nietzsche" di K. Jaspers
(ed al "Nietzsche" di M. Heidegger)
Antonello Giugliano
Allo stesso modo della dura stroncatura filosofica della jaspersiana Psychologie der Weltanschauungen[1][1], nella lunga recensione critica heideggeriana di quarant'anni prima[2][2], anche la brevissima, ma non meno dura, stroncatura filosofica da parte di Heidegger, all'inizio del suo doppio volume del 1961 su Nietzsche[3][3], della famosa monografia dedicata da Jaspers a Nietzsche nel 1936[4][4], ha una opposta preistoria di reciproci complimenti filosofici personali.
Anche essa, a tutta prima, sembra solo mettere in luce una certa affilata perfidia mentale da parte di Heidegger e una buona dose d'apparente ingenuità in Jaspers; le poche lettere al riguardo del problema-Nietzsche presenti nell'epistolario - due di Heidegger e una di Jaspers, tutte risalenti al periodo 1935/'36 - confermano, tra reticenze, infingimenti e autoillusioni (reciproci), questa impressione.
Scriveva infatti Heidegger a Jaspers, da Freiburg i. Br., l'1 luglio 1935: "Occasionalmente qualcuno mi ha informato che Lei sta lavorando ad un libro su Nietzsche, cosicché posso rallegrarmi di quanto intensamente in Lei il flusso duri anche dopo la grande opera"[5][5]. E, l'anno dopo, il 16 maggio 1936: "Caro Jaspers, è grandioso come Lei deponga un'opera dopo l'altra. A Roma, dove ho tenuto l'allegata conferenza[6][6], ho appreso che stava lavorando ad un'opera su Nietzsche. A febbraio di quest'anno avevo annunciato per il prossimo inverno un corso di lezioni sulla 'volontà di potenza' di Nietzsche; questo doveva essere il mio primo corso. Ora che è apparsa la Sua opera, non ho bisogno di fare questo tentativo; giacché la mia intenzione era proprio ciò che Lei nella Prefazione dice in modo chiaro e semplice: mostrare che è tempo di passare dal leggere Nietzsche al lavoro. Adesso nella prossima ora di lezione posso semplicemente rinviare alla Sua opera, che per di più è alla portata finanziaria degli studenti. E per l'inverno sceglierò un altro corso di lezioni. [...] Dall'autunno sono - molto di controvoglia, per amor della cosa - nella commissione per l'edizione [degli scritti] di Nietzsche. Nei limiti del possibile procurerò che i Suoi 'desiderata' non restino solo dei desideri"[7][7].
Con la stessa data, da Heidelberg, Jaspers rispondeva a Heidegger: "Il Suo atteggiamento verso la filosofia in questo tempo è certo anche il mio. I Suoi apprezzamenti - Nietzsche, Hölderlin - ci portano vicino"[8][8]. Dopo di che niente più; più nessuno scambio di vedute sul tema comune ed apparentemente accomunante. Il discorso su Nietzsche e sulla (sua e loro) filosofia continuerà ad esser svolto da entrambi a reciproca distanza, apparentemente l'uno del tutto indifferente al lavoro dell'altro[9][9].
Invero, ad una più approfondita lettura, quella prima pur apparentemente legittima caratterizzazione si rivela piuttosto come il precipitato della generosità intellettuale di Jaspers, il quale guardava più o meno benevolmente ma con signorile distacco l'estremismo filosofico del più giovane amico e collega del quale riconosceva la superiorità concettuale-speculativa comprendendone insieme l'inscindibile spinoso contorno biografico e psicologico-caratteriale. Insomma, Jaspers, consapevole dei propri 'limiti' filosofici (ma proprio di questa goethiana consapevolezza e necessità egli saprà filosoficamente far 'virtù') rispetto alla (hölderliniana) radicalità dell'impostazione ed elaborazione di Heidegger, guardava a quest'ultimo come a un caso eccezionale di genialità, dunque di peculiare irretimento maniacale in un'idea fissa (l'essere), alla cui ardua grandezza filosofica (che fatalmente si trasformerà in terribilità politica) è proprio perciò concesso pure di colpire molto duramente il proprio generoso (non solo intellettualmente[10][10], bensì, come appunto all'epoca dei loro primi incontri di Heidelberg, anche finanziariamente[11][11]) interlocutore e amico[12][12].
Riprendendo però l'esito di una argomentazione critica avanzata proprio dal giovane Heidegger nella sua recensione privata alla Weltanschauungspsychologie jaspersiana[13][13], si può dire che questo stesso atteggiamento di Jaspers si delinea precisamente a partire da una mai abbandonata e sempre implicita posizione di fondo, clinicistico-'estetica' e 'oculare', del suo proprio pensiero, il quale, svolgendosi in un movimento infinito attraverso le infinite fenomenizzazioni delle strutture soggettivo-oggettive delle molteplici 'visioni-del-mondo', non conosce più alcuna 'verità'[14][14]; ed è questa una posizione che ha la sua principale e dominante fonte di ispirazione proprio nella metafisica 'artistica' di Nietzsche (anche se in una sua forma attenuata ed in un certo modo stravolta), attraverso il cui filtro concettuale vengono direttamente o indirettamente ripresi altresì gli altri possenti motivi filosofici (Kierkegaard, M. Weber) cui il primo pensiero jaspersiano si richiama[15][15].
Perciò Jean Wahl, nella sua coeva importante discussione dell'opera jaspersiana[16][16], aveva sì ragione nell'osservare che Jaspers interpreta Nietzsche a partire dalla filosofia di Jaspers stesso[17][17], ma solo intendendo ciò nel senso che quest'ultima sin dalla psicologia delle visioni-del-mondo è in profondità determinata dal pensiero di Nietzsche (seppur kierkegaardizzato e weberizzato)[18][18]. Infatti, anche se non esplicitamente nominato, Nietzsche è sempre ben presente laddove nel discorso di Jaspers emerge, rivelando il suo ruolo predominante, il concetto di 'infinito'[19][19], ovvero di "mistico"[20][20], ovvero di "Umgreifendes"[21][21], dalla cui vibrazione continuamente ritornante in se stessa e continuamente oltrepassante se stessa deriva al pensiero jaspersiano, e dunque circolarmente alla sua stessa interpretazione del pensiero di Nietzsche, quel peculiare carattere di "une certaine indétermination"[22][22], di indefinita "flexibilité"[23][23], ossia - con le parole contenute in una lettera che K. Löwith aveva allora inviato a Wahl "au sujet du Nietzsche de Jaspers"[24][24] - di "quelque chose de purement formel"[25][25] dal "caractère extrêmement vague"[26][26]: "Je fais beaucoup de réserves au sujet de l'acte de transcender tel que le présente Jaspers. C'est un acte sans contenu, sans commencement et sans fin, une transcendence absolument vide. [...] La 'mort de Dieu', comme d'ailleurs l'ensemble de Nietzsche, est transformée par Jaspers en quelque chose de purament formel. Toutes les affirmations et toutes les négations de Nietzsche se perdent dans une antinomie d'un caractère extrêmement vague, de sorte qu'on ne comprend plus du tout comment il a pu être pris - fût-ce à tort - pour le philosophe et l'idéologue du fascisme"[27][27].
Il problema di questa 'diluizione' del pensiero di Nietzsche nella sua interpretazione da parte di Jaspers, e dunque quello della 'superficialità' dello stesso pensiero jaspersiano, costituiscono il 'cuore' stesso della questione-Nietzsche. Se Heidegger nella sua famigerata prolusione rettorale del '33 aveva identificato Nietzsche con la verità dello spirito della rivoluzione nazionale e sociale tedesca[28][28], Jaspers forniva ora di Nietzsche una visione antipodica. E' vero, come rilevava Löwith nella lettera a Wahl, che era necessaria una "explication de la possibilité de l'abus que l'on a fait de Nietzsche en Allemagne. Car c'est un moment de la pensée de Nietzsche lui-même qui explique que il ait pu - à bon droit ou à tort - apparaître comme celui qui a préparé la voie aux fausses idéologies. C'est ce qu'on peut voir particulièrement par la lecture de Spengler. La critique de l'abus que l'on a fait de Nietzsche doit être accompagnée par une critique de Nietzsche lui-même, comme origine profondément historique de l'influence qu'il a exercée"[29][29].
Ma ciò, a maggior ragione, non poteva certo significare tralasciare una tematizzazione radicale - non più ideologico-weltanschaulich e nazionalistico-razziale (come proprio Heidegger iniziava a fare dopo il suo grave ed opportunistico autofraintendimento politico del 1933) - del significato della 'volontà-di-potenza' e del suo proprio senso 'storico-universale' più profondo e dunque della sua stretta connessione di identità/differenza con lo 'eterno-ritorno-dell'eguale', così come del significato e senso temporale di quest'ultimo nella sua stretta connessione di identità/differenza con la sua propria intrinseca 'deiezione': appunto quell'aspetto del pensiero di Nietzsche stesso che, come scriveva Löwith, "explique que il ait pu - à bon droit ou à tort - apparaître comme celui qui a préparé la voie aux fausses idéologies"[30][30]. Non poteva insomma voler dire una mera sovrastorica 'cosmologizzazione' grecizzante dell'uno e dell'altro dei due pensieri fondamentali della metafisica di Nietzsche e, soprattutto, di quel terzo che, primo, solo li tiene insieme: l''apparenza' (l'autoapparirsi della temporalizzazione della temporalità del tempo, che 'è' in se in quanto già sempre di nuovo fuori di sé, simultaneamente oltre/verso se stesso).
A fronte del 'contenuto' dell'anello dell'eterno ritornare in se stessa della natura cosmica, della physis, proposto dall'interpretazione neopagana che Löwith dà di Nietzsche, quella di Jaspers, che appunto fa dell'infinito trascendimento dell'apparire del tempo stesso in se stesso il leitmotiv del pensiero di Nietzsche (pur senza tematizzare la questione della 'apparenza' in quanto tale - e dunque del temporalizzarsi della temporalità del tempo in quanto tale - e della sua adeguata concettualizzazione, ma assumendola come il ritmo stesso della propria immanente movenza ermeneutica: e in ciò stesso è da vedere una modalità storica peculiare della 'deiezione' dell'autoapparire stesso della 'apparenza' del tempo, che appare senza essere più, cioè senza essere più pensato, senza essere più consaputa coscienza: Bewußt-sein, senza più essere pienamente cosciente di sé), deve per forza apparire come vuoto formalismo, mera flessibilità, indeterminazione, indefinitezza. (A partire di qui è comprensibile anche la, piuttosto taciuta che esplicitata, strisciante influenza del pensiero di Jaspers sulla fenomenologia detrascendentalizzata del Lévinas di Totalità e infinito[31][31]; e in tal caso si pone il problema se poi il tournant teologico della fenomenologia francese[32][32] non sia un fraintendimento dovuto proprio ad una curvatura teologica del senso dello stesso ambivalente discorso jaspersiano).
Nella sua autobiografia Jaspers ricordava il positivo e lusinghiero giudizio del suo principale avversario filosofico, Rickert (grande lettore ed estimatore, tra quelli della primissima ora, delle opere di Nietzsche, spesso fatto oggetto di trattazione critica nei corsi e seminari friburghesi frequentati anche dal giovanissimo Heidegger)[33][33], sul suo Nietzsche[34][34]. Ma proprio questa 'scientificità' dell'approccio jaspersiano a Nietzsche, che perfino il vecchio ed astioso Rickert si sentiva di poter condividere, Heidegger contesterà. In quanto essa saltava a pie' pari proprio la questione della peculiare scientificità della filosofia e del suo peculiare contenuto: il tempo, l'individualità, l'individuità del temporalizzarsi della temporalità.
Secondo Heidegger, se Baeumler[35][35] può essere considerato come il rappresentante di un'interpretazione del pensiero di Nietzsche nei termini di un eraclitismo filosofico-politico della 'volontà di potenza' ritenuta inconciliabile col preteso egitticismo o eleatismo mistico-esoterico della dottrina dello 'eterno ritorno dell'eguale' (mentre invece sul paradosso di un eraclitismo peculiare della dottrina dello 'eterno ritorno dell'eguale', riconosciuta assolutamente preminente rispetto a quella della 'volontà di potenza', poneva l'accento l'interpretazione cosmologico-immanentistica del primo allievo dello stesso Heidegger: K. Löwith[36][36]; e proprio anche per questa elisione - simmetricamente opposta a quella di Baeumler - della questione storico-epocale della 'volontà-di-potenza' la interpretazione neopaganeggiante di Löwith[37][37] è affatto tralasciata da Heidegger[38][38]; Jaspers la cita puntualmente in bibliografia[39][39]), invece Jaspers può essere considerato come il rappresentante di un'interpretazione ancora più pericolosa di quella baeumleriana, in quanto, a differenza di quest'ultima, non è parziale ed incompleta nella trattazione, bensì, a fronte di una analisi micrologica di tutto il corpus degli scritti nietzscheani e di tutti gli aspetti e concetti portanti del pensiero di Nietzsche , è inficiata da un ben più grave tacito presupposto di fondo: quello della negazione dell'orizzonte aletheiologico della filosofia in quanto tale.
"La seconda interpretazione della dottrina nietzscheana dell'eterno ritorno è quella di Karl Jaspers. Jaspers, in verità, tratta diffusamente di questa dottrina e vede che qui siamo dinanzi a un pensiero decisivo di Nietzsche. Ma benché parli di essere, egli non porta questo pensiero nell'ambito della domanda fondamentale della filosofia occidentale e quindi non arriva nemmeno a coglierlo nella sua effettiva connessione con la dottrina della volontà di potenza. Per Baeumler la dottrina dell'eterno ritorno è inconciliabile con l'interpretazione politica di Nietzsche; per Jaspers non è possibile prendere seriamente la dottrina come questione reale, perché per lui in filosofia non si dà verità del concetto e del sapere concettuale"[40][40].
Culminando in quest'ultima formulazione, il passo del volume heideggeriano del '61, nella sua stesura originaria (cioè nel testo della lezione friburghese della fine del '36), conteneva però anche altre importanti e più esplicite considerazioni critiche: "Il motivo di questo atteggiamento non immediatamente perspicuo è questo, che per Jaspers, per dirla con tutta nettezza, una filosofia è in generale impossibile. In fondo essa è una 'illusione' finalizzata alla chiarificazione etica della personalità umana. Ai concetti filosofici manca una propria ovvero la autentica forza di verità del sapere essenziale. Poiché Jaspers nel suo intimo non prende più sul serio il sapere filosofico, non c'è più alcun effettivo domandare. La filosofia diventa psicologia moralizzante dell'esistenza dell'uomo. Questo è un atteggiamento al quale, nonostante ogni sfoggio, resta necessariamente negato di penetrare nella filosofia di Nietzsche domandando e confrontandosi. / Viene raccontato che la dottrina dell'eterno ritorno sarebbe per Nietzsche decisiva, viene però subito osservato che essa sarebbe stata anche per lui problematica, conseguentemente, così procede ovunque l'inesplicita conclusione, il tutto della filosofia non è da prendere sul serio, eccetto che per la persona di Nietzsche e per quelle persone che si lasciano scandalizzare dalla persona di Nietzsche, invece di domandare perché mai, se già per Nietzsche questa dottrina era problematica, essa doveva diventare problematica e che cosa in essa verrebbe propriamente domandato, e se ciò non sarebbe la nostra questione, vale a dire la questione dell'esserci occidentale e del nostro futuro"[41][41].
E nella seconda "Wiederholung" del corso di lezioni su Nietzsche del secondo trimestre 1940, a proposito del "chiarimento del termine fondamentale della filosofia di Nietzsche: 'Wille zur Macht' ", Heidegger scriveva che: "Il ri-pensamento, e cioè sempre l'originario pensamento di quei pensieri metafisici che sono coperti dal nome 'Nietzsche', subito al suo inizio corre il grande pericolo di venire definitivamente scompigliato dai molti fraintendimenti circolanti, già divenuti luoghi comuni, della sua filosofia. Questo pericolo lo incontriamo nel modo più semplice attraverso il tentativo di restare a stringere il vento del <massimamente aderenti al> dire e pensare propri di Nietzsche e abbandonare a se stesse le 'opinioni' degli innumerevoli libri e scritti, che si superano tra loro per pochezza, 'su' Nietzsche. [Purtroppo anche il libro di K. Jaspers su Nietzsche non è da eccettuare da questo giudizio]"[42][42].
Ed elencandole, queste erano, secondo Heidegger, "le mancanze fondamentali del libro su Nietzsche di K. Jaspers: 1. il fatto che egli scriva un tale libro; 2. il fatto che egli ignori ogni graduazione storica (non il mero sviluppo storico) nell'opera di Nietzsche e alla leggera frughi in scritti del primo periodo e in quelli del periodo più tardo alla ricerca di passi e che questi li ricomponga insieme; 3. il fatto che egli 'relativizzi' decisive vedute di Nietzsche, che non sono opinioni private bensì necessità della metafisica occidentale, ed asserisca che Nietzsche stesso le avrebbe assunte solo come condizionatamente esatte, presumibilmente in quanto cifre; 4. il fatto che egli a tutto ciò contrapponga un soggettivismo esistentivo di coloritura teologico-cristiana e così né prepari una decisione, né riconosca quale decisione Nietzsche stesso costituisca nella storia della verità dell'essere"[43][43].
Purtroppo non è dato sapere quale sarebbe stato il commento critico di Jaspers se avesse potuto leggere anche il testo di questa dura presa di posizione di Heidegger nei confronti della sua interpretazione del pensiero di Nietzsche. Ma forse qualcosa è possibile immaginarlo leggendo quanto Jaspers scriveva in uno degli appunti del suo progettato libro su Heidegger immediatamente successivi alla pubblicazione dello "Heideggers Nietzsche" del 1961 ed ai rilievi critici "von Heidegger über mich im Anfang seines Nietzsche"[44][44], concernenti "was der 'Begriff' heißt, dessen Mangel Heidegger meinem Denken vorwirft"[45][45], e cioè che in ultima analisi: "Heidegger steht noch in der Tradition einer Sachverhalts-Philosophie, einer fragenden Philosophie, die allgemeingültig das Wahre trifft oder treffen will"[46][46], ossia che "Heideggers Philosophie ist denkende Verkündigung der einen absoluten Wahrheit - in der Überlieferung desjenigen Stromes der Philosophie, der die Erbschaft der Theologie nicht abgeworfen, sondern umgesetzt hat. [...] Daher die Konzentration auf Metaphysik und nur Metaphysik in Gestalt der Überwindung der Metaphysik"[47][47].
L'esoterismo aletheiologico heideggeriano che l'interpretazione jaspersiana di Nietzsche, in quanto interpretazione nietzscheana di Jaspers, pur quando non lo nomina esplicitamente, fin dall'inizio contesta, dovrebbe "presupporre una forma di manifestazione della verità che la nasconde [...]: dunque, una manifestazione che la lascia ancora sussistere come verità, sia pure nel suo voluto nascondimento"[48][48]. Ma "nulla di tutto ciò vale per Nietzsche"[49][49], per il quale vige unicamente la "dottrina dell'inevitabile ambiguità della verità e delle sue conseguenze (che Nietzsche porta fino al suo punto estremo)"[50][50], cioè il suo inabissamento nell'autoapparire dello Schein[51][51]; perciò, "nessuno conosce i gradi della verità, nessuno ha il dono di distinguere in senso assoluto l'essere stesso; per la verità stessa non c'è alcun altro effettivo nascondimento all'infuori della possibilità di non comprenderla proprio laddove si rivela in modo più evidente. L'ambiguità, l'ambivalenza di senso, è la difesa del vero contro la sua surrettizia appropriazione"[52][52].
A partire da questo preciso presupposto è allora possibile intendere il senso dell'incatturabilità della interpretazione di Jaspers e della sua 'materia' (Nietzsche): che è sempre aperta, imprendibile, autocontraddittoria, mobile, continuamente autotrascendente ed autoproiettantesi oltre se stessa, infinita, giammai fissata e fissabile in un solo punto; al contrario dell'interpretazione heideggeriana: 'monotona', fissata e fissante (la storia dell''essere', la 'verità'). "Poiché Nietzsche si mostra indirettamente soltanto nel movimento, è possibile accedere a lui [...] solo se si entra nel suo proprio movimento"[53][53]. In tal senso si può dire che la critica di Jaspers ai concetti heideggeriani di 'essere' e 'verità' trapeli già nelle maglie del suo testo monografico su Nietzsche.
Il vantaggio dell'interpretazione jaspersiana, che (rispetto a quella heideggeriana) non assolutizza (più) alcun punto interpretativo e perciò non si impiglia in alcuna 'idea fissa', viene però poi scontato nell'evanescenza interpretativa proprio dei due pensieri fondamentali di Nietzsche, volontà di potenza ed eterno ritorno dell'eguale, e soprattutto della loro problematicissima connessione. L'aver tentato di andare in fondo (ma non fino in fondo) su tale questione e connessione è il merito dell'interpretazione di Heidegger. Quest'ultima infatti può essere discutibile laddove si pensi alla strategia heideggeriana di incapsulamento aletheiologico e di estrema filosoficizzazione della antifilosofia nietzscheana e della sua metafisica della 'protoautoapparenzialità' dello Schein. Proprio rispetto a quella heideggeriana paradossalmente la strategia ermeneutica jaspersiana risulta superiore, in quanto è rispettosa della specificità dell'infinità propria del pensiero di Nietzsche. E tuttavia, malgrado questa sua feconda impregiudicatezza filosofica, il tentativo jaspersiano di sempre aperta "assimilazione"[54][54], di Aneignung del pensiero di Nietzsche resta comunque, a sua volta, ben al di sotto delle sue promesse in quanto rimane impigliato in quello che è il pregiudizio più sottile che caratterizza il suo pensiero: la sua 'ocularità' clinicistica di fondo, quel suo 'estetismo' filosofico (che già il giovane Heidegger gli aveva contestato nella famosa e distruttiva recensione alla psicologia delle visioni-del-mondo) che gli impedisce di procedere a interrogare radicalmente Nietzsche ed il senso estremo di quella infinita autotrascendenza che l'opera (la vita) ed il pensiero di questi rappresentano: il problema della comprensione di volontà di potenza (il che-cosa, il was, l'essenza di ogni cosa in quanto tutto è tutto ed il contrario di tutto etc.) ed eterno ritorno dell'eguale (il principio di possibilità di quell'essenza stessa, cioè la sua esistenza, il suo daß) e della loro connessione (lo Schein che li rende possibili entrambi).
Insomma è come se Jaspers arrivasse fin sotto alle ripide mura della fortezza-Nietzsche, circoscrivendone con precisione il frastagliato perimetro e descrivendone con acutezza tutte le parti e le relative morfologie e le connesse difficoltà e principali impervietà, per poi trattenersi ed infine astenersi dall'assalto e dalla scalata finale. La sua "assimilazione" è insomma imperfetta. Tutto ciò dipende dal fatto che egli sta sì operando già con movenze nietzscheane (ciò sin dalla Psicologia delle visioni del mondo), ma con quelle di un Nietzsche kierkegaardizzato (la tematizzazione dell'attimo: epperò anche qui nessuna interrogazione circa la temporalizzazione del tempo, circa l'essenza del tempo e della sua 'esistenza', della sua ek-sistenza, del suo essere in sé solo in quanto già sempre fuori di sé) e weberizzato (l'epochizzazione di tutte le Weltanschauungen sulla base della essenziale operatività/tecnicità della scienza ascetico-razionale, epperò la non comprensione di quest'ultima come essa stessa la più 'demonica' e 'magica' delle Weltanschauungen, che a sua volta manca di interrogare se stessa intorno al mistero storico della sua propria struttura che riduce il mondo a visione, come aveva fatto criticamente rilevare Scheler nel suo acuto giudizio che ho più sopra ricordato[55][55]).
Non è un caso quindi se Jaspers userà sia per Nietzsche che per Heidegger, per determinare concettualmente il loro differentemente affrontato ma affine vertiginoso irretimento nella questione fenomenologica per eccellenza dell'autoapparire dell'apparenza, la efficace formula di gnostica "Magie des Extremen"[56][56]. Una vertigine filosofica da cui Jaspers, anche in ciò ultraweberianamente, manterrà sempre le debite distanze di sicurezza.
D'altro canto, è forse proprio la stessa antica impostazione professionale clinicistico-psicopatologica di Jaspers a dargli la chiave di comprensione della unicità ed eccellenza filosofiche di Nietzsche e insieme a imporgli la prudenza profilattica di non avanzare oltre nella direzione del pensiero fondamentale proprio di Nietzsche, bensì di deviare, scartare di lato. Cosa quest'ultima che ancora più sottilmente farà anche Heidegger, ma da una posizione non più 'scientifica', come quella di Jaspers, bensì intrafilosofica ed in vista di un rilancio della propria peculiare posta metafisica. Come aveva già acutamente visto il vecchio Dilthey ("invano, in una solitaria considerazione di sé, Nietzsche cercò la natura originaria [del sé], la sua essenza astorica. Egli tirò via una pelle dopo l'altra. E cosa rimase poi?")[57][57], Jaspers e Heidegger capiscono che la grandezza di Nietzsche, la sua unicità ed eccellenza filosofiche stanno nel suo temerario/intemerato tentativo di pensare radicalmente l'essenza dell'autoapparire del tempo in quanto autentica cosa del pensiero: cioè di assimilarla, metabolizzarla, per fondere e dissolvere qualsiasi contrapposizione tra apparire della 'cosa' e apparire del 'pensiero' ("to gar autò noein te kai einai", ma nel senso che: il medesimo 'autoapparire' è il pensare e l'essere); in tal modo l'eleatismo aletheiologico dell'essere e del pensiero coincide con l'eraclitismo del fluire apparenziale del tempo). Se si vuole, questa terrificante determinazione di Nietzsche, da kamikaze della filosofia in senso letterale (kami-kaze, cioè 'brezza degli dèi', in quanto colui che prende la deliberata decisione di afferrare questa inafferrabile 'entità'[58][58], e con ciò di venirne afferrato, di identificarsi con essa fino in fondo, di inalare/inspirare profondamente questo 'vento', di venire tanto profondamente respirati da esso al punto da espirarne), può venire formulata anche nel modo seguente: Nietzsche 'volle' impazzire per vedere che cosa ci fosse realmente alla fine-senzafine dello 'specchio magico' dell'autoapparire della temporalità (restando fulminato, come ancora Dilthey aveva già sottolineato in una lettera del 1897, indirizzata al suo interlocutore filosofico conte Yorck von Wartenburg, in cui era questione appunto della inaggirabilità della "coscienza storica, che l'uomo non può togliersi la pelle e trovarsi come è in sé (e su ciò Nietzsche divenne pazzo)"[59][59]). Ora però questa stessa formulazione diltheyana del problema-Nietzsche restava tanto precisa quanto inefficace: nel senso che d'ora in poi si tratterà di specificare ed articolare la comprensione della 'cosa' del tremendo ed autodistruttivo tentativo di Nietzsche, senza escludere la possibilità di dare una nuova e diversa dimensione (adeguata alle parole e all'apparire delle cose e dei propri tempi) e spessore a quel disperato tentativo di assimilarla.
Che Nietzsche non fosse un filosofo di professione, cioè filosoficamente formato ed educato, proprio ciò rende ancora più unica ed eccezionale la sua figura e la sua esperienza di pensiero (la sua vocazione al pensiero). E proprio in quanto tale esso viene assunto e utilizzato nella sua esemplarità sia da Jaspers che da Heidegger. Anche e proprio quest'ultimo è molto prudente con Nietzsche. Il filosofo di Sein und Zeit sa bene che Nietzsche con un talento filosofico naturale, geniale, e con il suo 'naufragio', ha rabdomanticamente toccato il cuore-del-cuore della metafisica: la questione del temporalizzarsi del tempo, cioè del suo autoapparire (e ciò tanto più in quanto lo ha fatto autodistruggendosi in quanto 'scienziato' dell'accertamento del vero, in quanto filologo, ovvero in quanto ha 'inverato' la filologia). E, forse ancor più di Jaspers (il quale, medicalmente spregiudicato e disilluso, è certo confessionalmente più libero ed impregiudicato), Heidegger avverte la mostruosa pericolosità dell'antifilosofia di Nietzsche e la necessità di preparare un dispositivo difensivo all'altezza di questa, di gettare attorno ad essa e su di essa una rete che, ben più di quella distesa dalla grandiosa psicopatografia filosofica di Jaspers del 1936, abbia la capacità di scendere con precisione concettuale ancora più a fondo negli inferi, nei meandri e negli interstizi del pensiero luciferino di Nietzsche per farne emergere definitivamente tutta la pericolosità e insieme dargli una collocazione in uno schema (la storia destinale dell'essere: della verità del suo vero apparire) che operi - e precisamente proprio attraverso una radicale e rigorosa concettualizzazione e comprensione dei pensieri capitali di Nietzsche ed innanzitutto della 'volontà-di-potenza' e dello 'eterno-ritorno-dell'eguale' nella loro connessione, e ciò come risultato di una riconsiderazione a tutto tondo anche dei problemi testuali e biografici inerenti l'opera edita e inedita di Nietzsche che proprio Jaspers, sempre nella sua monografia del 1936, aveva tra i primi sollevato - una preventiva profilassi nei confronti della 'catastrofica' primazia data da Nietzsche all'apparenza nell'apparire della verità dell'essere nel suo non-nascondimento: e dunque all'apparire dell'apparire in quanto tale (all'essere dell'apparire rispetto all'apparire vero dell'essere).
Cosicché se la 'superficiale' interpretazione di Jaspers risulta essere, nel suo mimetismo, più vicina al ritmo del pensiero di Nietzsche, l'interpretazione di Heidegger, che è molto più 'profonda' ed articolata e logicamente stringente, risulta essere, nel suo possente rieseguimento del respiro del pensiero di Nietzsche, più pericolosa nei confronti proprio della peculiare nuova lena deontologica e detrascendentalistica innescata da quest'ultimo, la quale determina appunto la peculiare fenomenologia deintenzionalizzante e periechontologica di Jaspers (così come quella 'cosmologica', prima di K. Löwith[60][60] e poi anche di E. Fink[61][61]), resa possibile proprio da quella autodisintegrativa esperienza di assimilazione e metabolizzazione dell'essenza dell'autoapparire del tempo (la sua orizzontale ek-staticità e simultanea multiversità), di quella terrificante 'brezza degli dèi' che sostanzia di sé l''orlo' dell'autoapparire di ogni apparizione[62][62].