JEAN VIGO E IL SURREALISMO
di Pesce Maria Dolores
...solo i maestri, i folli e i bambini osano premere i bottoni vietati.
JEAN ROUCH
La parabola cinematografica, di Jean Vigo, peraltro assai breve, nasce e si esaurisce tra il 1929, anno di "A' propos de Nice", ed il 1934, anno della morte.
In quegli stessi anni, e negli anni immediatamente precedenti, si era realizzato, e in un certo senso si andava consumando, un tanto inatteso quanto profondo connubio tra avanguardie storiche, e tra queste in primis il surrealismo, e cinema.
Ecco dunque che, in proposito, tra il cineasta francese ed il surrealismo emerge in primo luogo una contiguità, di contemporaneità e cuginanza, uno svolgersi parallelo in cui ci si guarda con curiosità senza mai appartenersi e nel quale le affinità e somiglianze procedono su percorsi analoghi ma distinti.
In effetti, innanzi tutto in via generale, sussiste e va affrontato il problema dei rapporti tra le avanguardie storiche, il surrealismo ed il cinema. E' in questo rapporto, forse problematico ma certamente fecondo, che il cinema, giovane arte nascente che deve accreditarsi non più come curiosità ma come manifestazione culturale autonoma e autorevole, trova il suo passaporto.
Lo trova soprattutto nel contesto della ridiscussione che le avanguardie portano avanti sul significato dell'arte e sul senso del processo artistico e del suo rapporto, della sua valenza, nei confronti del reale.
Lo trova in quella apertura costituita dalla ricerca di un nuovo linguaggio propria delle avanguardie artistiche.
Lo scompaginamento del linguaggio e del sistema dei significati, nel suo rapporto di rappresentazione con la realtà, consentono appunto al cinema di accreditarsi come modalità simbolica di notevole potenzialità
" Le monstre (il cinema) désertait les foires et se dechait naif dans les villes où il gagnait un public émerveillé...le cinéma etait un cas plus grave que le théatre...il était plus dangereux que la chose écrite." perché "... le cinéma englobe tout l'univers, de l'infiniment petit à l'infiniment grand."[Ado Kyrou,Le surrealisme au Cinéma, Le Terrain vague, 1963,pag.14]
Tramite l'avanguardia è stato dunque possibile, come scrive Maurizio Grandi, un assorbimento delle arti tradizionali nel cinema che è parte essenziale dello sperimentalismo delle origini, ed insieme, aggiungerei io, del cinema nel mondo delle arti, pur con le difficoltà e le contraddizioni di una comunicazione contemporaneamente popolare ed elitaria.
Il cinema si innerva e si connette alle avanguardie letterarie e artistiche ma per superarle, rovesciandole, in quanto la negazione estetica del mondo propria della crisi dei sistemi di senso evidenziata dalle avanguardie è recuperata in un linguaggio che attraverso il senso delle cose percepito nelle immagini è ricostruttivo del reale.
Questo è possibile perché il cinema si scopre come il primo sistema linguistico complesso che consente di riprodurre con atto consapevole le stesse modalità di "costituzione", "fondazione", del reale proprie della percezione ordinaria (ordinazione del flusso delle sensazioni naturali su strutture spazio temporali simboliche e logiche di senso).
Possiamo individuare il centro del connubio/superamento del cinema e delle avanguardie e tra queste soprattutto del surrealismo, nel concetto e nell'uso dell'immagine.
Ciò che accomuna è l'utilizzo e la concezione dell'immagine( letteraria, artistica o tout court) come elemento di deflagrazione del reale nella sua ordinaria percezione per squarciare il tamburo della realtà raziocinante e far emergere il mondo inconscio, onirico o semplicemente psicologico sentimentale quindi più direttamente umano.
La riflessione sull'immagine, in effetti, è il risultato dell'emergere di una concezione del teatro eminentemente visuale, propria dell'intuizione, che è prima futurista/dadaista e poi surrealista della prevalenza della scena e quindi degli oggetti rispetto all'antropocentrismo del teatro tradizionale[Antonio Costa, Cinema e pittura,Loescher,Torino,1993, pag.74]
Il teatro degli oggetti futurista, basato sulla oggettivazione scenica dei contenuti psicologici, può ritenersi anticipatore della scrittura automatica di Breton, ove le discrepanze logiche e sintattico/verbali sono funzionali all'emergere delle strutture oniriche e dell'inconscio con un di più di consapevolezza nella scrittura per il volontario riferimento a strutture di pensiero non alogiche ma eterologiche rispetto al cosiddetto raziocinio.[Antonio Costa, cit., pag.74].
Dice Breton nel suo Manifesto: "I propositi espressi non hanno per fine lo sviluppo di una tesi, pur trascurabile; al contrario sono defunzionalizzati fin dove è possibile. Quanto alla risposta che attirano, essa è di regola completamente indifferente all'amor proprio di chi ha parlato. Le parole, le immagini si offrono solo come trampolini allo spirito di chi ascolta".[in Henry Behar, Il teatro Dada e Surrealista, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1976, pag.132]
In effetti l'immagine cinematografica conserva la sua capacità traslativa ma, per la sua stessa natura di visione del reale, per quanto modificato, evita con più facilità il rischio della perdita di contatto, dell'isolamento e della sterile autoreferenzialità.
Scrive lo stesso Jean Vigo : "L'oeil de l'homme, dans l'état actuel de la science, n'est guère plus sensible que son coeur. Cette constatation serait déprimante, si nous n'avions quelque raison d'espérer encore en la pellicule cinématografique" [Jean Vigo, Sensibilitè de Pellicule, Sésame, Bruxelles, 1932, in Pierre Lherminier, Jean Vigo Cinema d'aujourd'hui, Seghers 1967, pag. 86].
E ancora : "Nous ne possedons pas cette acuité de vision (dans le sens le plus large du mot) que detient jusqu'ici le cinématographe : cette photographie de profondeurs voit l'ange dans l'homme, et le papillon dans la chrysalide" [da una lettera di Jean Vigo a M.me de Saint-Prix, in Pierre Lherminier, cit., pag. 34]
Questo perché l'immagine cinematografica intrinsecamente raccorda la spazialità della visione con la temporalità, non nell'accezione della successione ma in quella della contiguità e contemporaneità degli eventi in una struttura di senso (significato e direzione) che ne costituisce un contenitore/ordinatore.
D'altra parte preserva una maggiore autenticità e spontaneità perché l'emergere dei significanti si dà in un quadro di intervento contenuto sul reale, che conserva caratteri espliciti di intellegibilità.
In effetti, come insegna Bergson, il movimento del soggetto che osserva, quale ad esempio si attua attraverso l'occhio della macchina da presa, consente di passare dalla soggettività alla oggettività, intesa come trasferimento del senso dal soggetto immobile e straniato all'oggetto della osservazione, al mondo che diventa portatore di senso. [in Gilles Deleuze, L'immagine movimento, Ubu Libri, 1983, pagg. 84 e 94]
Esiste un valore di significazione nelle cose che la vita dissipa nel suo incessante trascorrere e che l'immagine recupera traslandola, perché per mostrare la realtà in fondo bisogna raccontarla.
"En quelque sorte, Jean Vigo nous ramène parfois au connu à seule fin de mieux nous convaincre de le suivre au-delà, vers ces régions du mervellieux, du mystère, de la magie, dont la découverte nous est d'autant plus précieuse qu'elles nous renseignent sur cela meme dont nous avons cru nous détourner pour elles" [Pierre Lherminier, cit., pag. 59]
Il mondo è così sottratto alle interferenze psicologiche, sociali e storiche del nostro esserci in mezzo e nell'immagine è proiettato come un oggetto nel quale possiamo intravedere il senso e la struttura dei significati.
Come abbiamo visto il rapporto storico di contiguità tra Vigo e il surrealismo si integra in un rapporto di analisi linguistica e contenutistica che mostra, anch'esso, qualche vicinanza ed un progressivo allontanamento.
La contiguità si realizza nell'utilizzo dell'immagine come disvelamento che si accompagna, soprattutto nel primo Vigo di A' propos de Nice, alla volontà di denunciare la falsità della Società borghese vista nei suoi aspetti più decadenti e volgari.
Disvelamento e denunzia dunque, e rivolta infine contro la falsità ed insieme l'oppressione che l'accompagna.
L'allontamento si realizza nel momento in cui l'utilizzo dell'immagine diventa in Vigo strumento di recupero di senso e non semplicemente scandalo nella cui consumazione doveva automaticamente emergere l'inconscio quale "autentica" natura umana.
In Vigo il presupposto automatismo surrealista si trasfigura nel consapevole utilizzo dell'immagine cinematografica come scrittura fatta di inquadrature, punti di vista, luce e atmosfere anche sonore.
Come detto la componente temporale dell'immagine cinematografica è una forza in più che apre nuovi percorsi e feconda il connubio con le avanguardie surrealiste in nuove direzioni da esplorare.
In Vigo nasce una consapevolezza del processo artistico mediante l'uso delle immagini cinematografiche nella direzione del racconto che recupera e disvela, o meglio porta alla luce, il "significato" ed il "senso" delle cose, si tratta, in sostanza, "de nous faire voir, d'un point de vue littéralement insolite, c'est à dire inhabituel parce qu'inacessible à notre seul regard de tous les jours, toute la vie". [Pierre Lherminier, cit., pag. 59]
Significato e senso che non sono solo interni all'immagine ma si dilatano al di fuori di essa innervando lo storico, il sociale e lo psicologico.
In questo si rivela la natura di cineasta di Vigo, nella consapevolezza della complessità tecnica e produttiva della funzione cinema che è anche procedere collettivo che integra e insieme condiziona il processo creativo rendendolo solo e così realizzabile.
Di tale complessità non poteva dare conto la percezione surrealista che in effetti sottovalutò l'aspetto tecnico del fare cinema concentrandosi ed enfatizzando gli aspetti allucinatori dell'immagine e le sue capacità di rappresentazione onirica e quindi liberatoria.
In Vigo la scoperta della realtà piena e complessa non si ha "dans la confusion ni le délire, mais à travers une fiction cohérente, une Histoire au déroulement logique qui pourrait presque nous sembler aller de soi". [Pierre Lherminier, cit., pag. 59]
Quello che a posteriori appare il limite del cinema surrealista è che l'assenza di un indirizzo, di una struttura di senso complessiva isola e depotenzia l'effetto liberatorio dell'immagine scandalosa (il fin troppo richiamato occhio tagliato di "Un chien Andalou") privandolo di quell'orizzonte temporale necessario a costruire un discorso che è rapporto con il mondo come orizzonte della percezione e della comprensione. L'immagine non ha una storia e la storia, come detto, è essenziale al discorso cinematografico.
Vi è in Vigo una riflessione ed una evoluzione nella percezione e nel concetto di reale : "si, à l'image de ce que le surréalisme a de plus vrai e de plus précieux, elle nous ouvre les yeux et l'imagination sur le contenu latent de la vie, elle nous rappelle aussi que nous devons compter avec son contenu manifeste". [Pierre Lherminier, cit., pag. 65]
La storia è anche il rapporto con la macchina, da presa e produttiva, con il collettivo che pone limiti e apporta contributi. "Travailler en équipe, avec des amis e des compagnons choisis, pour mener à bien un ouvrage concu par lui meme, mais dont l'exécution serait une tache commune; avoir a dominer.....un matériau réèl, concrete....serait l'arracher de soi afin de lui donner naissance en l'oevre qui, procédant de ce monde meme, deviendrait pourtant quelque chose d'autre" [Pierre Lherminier, cit., pag. 35]
E in effetti, nell'idea surrealista, risulta esaltato l'aspetto compositivo, spaziale e pittorico (non per nulla il più famoso esperimento cinematografico surrealista nasce dalla collaborazione del regista Bunuel e del pittore Dalì) con evidenti rischi di soggettivizzazione dell'immagine e finale solipsismo autoreferenziale.
E' per questo che il contributo diretto del surrealismo al cinema è sottodimensionato qualitativamente e temporalmente contenuto, proprio per la sostanziale parzialità di questo contributo rispetto alla dimensione linguistica del cinema.
Dunque Vigo è un vero cineasta e ciò che mutua dal surrealismo, in certi aspetti del suo approccio con la realtà e di rapporto con l'establishment culturale, è trasfigurato e rovesciato nel linguaggio del cinema.
In Vigo, che non è mai appartenuto al gruppo surrealista e non ha mai fatto atto ufficiale di confluenza, il surrealismo, insito e naturale nel suo approccio di disvelamento e emersione del reale, "n'est pas toujours à l'état pur. L'Atalante n'en pas moins aussi une mise en question du surréalisme, sous la forme d'une confrontation parfois violente du monde surréel, domaine sans limites de la liberté e de l'amour, et du mond dit réel où régnent l'injustice, la misére e la haine et où du moins l'individu est tributaire de la vie sociale" [Pierre Lherminier, cit., pag. 64].."Elle (l'opera di Vigo) nous fait comprendre que la réalité intégrale est égale à son contenu manifeste plus son contenu latent, que nous n'avons pas à choisir entre eux mais à les saisir dans leur totalité et enrichir notre connaisance de l'un par notre intuition de l'autre" [Pierre Lherminier, cit., pag. 14]
D'altra parte Vigo, anche costretto dai burrascosi e difficili rapporti con l'apparato ideologico dell'industria cinematografica, evita, grazie altresì alle sue frequentazioni surrealiste, anche il rischio della completa subordinazione alle sole esigenze tecniche e commerciali delle produzioni che si realizza nella completa subordinazione del linguaggio cinematografico a semplice strumento per raccontare qualcosa di altrove elaborato e non cinegrafico.
Il cinema in Vigo è racconto per immagini di qualcosa che sta nelle cose, o meglio che nelle cose è custodito per volontà e occasione, per conto di soggetti singoli e collettivi che vi vivono la loro parabola esistenziale, e che la cinepresa rende percepibile attraverso la contiguità temporale delle immagini e la rappresentazione di senso che questa consente.
La macchina da presa mostra le cose in funzione del senso che assumono in chi le riprende e in chi le guarda.
Il significato dunque è nel punto in cui le cose e lo sguardo si incontrano, cioè nella macchina da presa come nuovo confine, come punto di vista in movimento che attinge e pone la dimensione del reale fino ai confini della percezione e oltre, recuperando nella contemporaneità del movimento il senso nascosto.
L'oggetto promotore di senso, non è più l'immagine provocatoria/liberatoria (suono o parola che sia), la sintassi alogica, il meraviglioso che serve per contenere i sogni e gli incubi dell'inconscio dei futuristi, dei dadaisti o dei surrealisti, ma è la macchina da presa, straordinario impasto in Vigo di oggettività e soggettività.
La macchina da presa dunque recupera nel racconto delle cose per immagini il loro senso.
E' allora possibile che, nonostante la parabola surrealista si compia soprattutto nel teatro e nella pittura e le appartenenze cinematografiche esplicitamente surrealiste siano sostanzialmente limitate nel tempo e nei protagonisti, è possibile, dicevo, che il cinema in quanto tale sia surrealista, nel senso di essere la modalità più adeguata ai canoni intrinseci del surrealismo per la capacità di far emergere il vero oltre il reale, di mostrare il vero con l'irreale ?.
E' possibile questo, al di là di consapevolezze teoriche e adesioni movimentiste, fratture e tradimenti ?
Scrive al riguardo Ado Kyrou : "lorsque je parle de cinéma, j'entends moyen d'expression plus complet, plus riche, plus libre que tous les autres..", e ancora, riferendosi al Breton di Les Pas Perdus, "il est le moyen d'expression revé du contenu latent de la vie. Il soulève la cage et fait sentir le poids, il oblige tous les spectateurs à ne plus voir le contenu manifeste sucré", e infine "Le cinema peut montrer tout cela, il peut descendre sous terre, montrer jusq'aux plus hautes branches, entrer dans l'arbre, suivre en l'espace de quelques secondes sa naissance et sa mort. Et cela est beaucoup plus vrai que dans la vie quotidienne, celà est réel.c'est d'ailleurs cette apparence de vrai vie qui est un des principaux facteur de l'attrait irrésistible qu'exerces le cinéma sur les foules.un poème est fait de lettres, un tableau reste immobile, donc - toujours pour le grand public - il ne vit pas; mais le cinéma présente des etres en chair et en os, donc meme le reve de ces personnages prend chair et os". [Ado Kyrou, Le surrealisme au Cinema, cit., pag. 12]
Termina poi citando lo stesso Breton del Secondo Manifesto per affermare che "le cinéma atteint le point de l'esprit d'où la vie et la mort, le réel et l'imaginaire, le passé e le futur, le communicable et l'incommunicable, le haut et le bas, cessent d'étre percus contradictoirement" . [In Ado Kyrou, cit., pag. 12]
Dunque, traendo dal ragionamento una prima conclusione, Jean Vigo, al di là e ben più che per le giovanile appartenenze ed adesioni, è assimilabile al surrealismo nell'uso dell'immagine qual mezzo per traslare, far emergere, il senso intimo delle cose salvandolo dalla dispersione nel tempo e nella coscienza ordinaria, ma nel contempo lo supera dando una dimensione propositiva e consapevole al recupero di senso che, attraverso la direzione del racconto (il montaggio), si fa più ampio (dal subconscio alla storia, alla società nella sua apparenza quotidiana) e propositivo, in senso lato educativo poiché non autoreferente ma rivolto a ..
In questo contesto il di più della immagine cinematografica, e vigoliana in particolare, è il movimento del tempo, ma non nella ordinaria successione, bensì nella contiguità e contemporaneità che, arricchendone le dimensioni, ne amplia la significatività. L'immagine, per così dire, ha ora più spazio per contenere più significato.
Da un altro lato Vigo è e si identifica nel surrealismo condividendone lo spirito di ribellione contro la degenerazione e rigidità delle società borghesi, volgari ed oppressive, ma, ancora una volta, va oltre per la sua capacità di calare nel concreto, nel qui e nell'adesso, la ribellione che da una dimensione tendenzialmente solipsista o eterodiretta (almeno secondo la celebre e acerba denunzia di un figlio indubbio di quel movimento, Antonin Artaud) si apre ad un recupero dei valori soggettivi della memoria che arricchiscono e danno efficacia di significazione ai canoni di percezione della realtà storica e sociale.
Vi è in effetti la "mise en question de l'attitude surréaliste par un confrontation à tout ce qui, dans le mond dit réel n'est pas du ressort d'une seule prise de position individuelle" [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 65]
Ci appare dunque come in Vigo l'influsso surrealista abbia l'efficacia di una educazione sentimentale che si arricchisce man mano di autonomi innesti propri della cinematografia, insiti cioè nella specifica genesi dell'immagine, che ne modificano gli assetti e la aprono ad esiti innovativi propri del linguaggio cinematografico e, comunque, non altrimenti attingibili.
La poetica vigoliana è, per questo oltre il surrealismo, essenzialmente, direi autonomamente cinematografica e attraverso i canoni dell'immagine cinematografica esercita la sua sensibilità percettiva, tout court la sua visione.
"Cinématographique par excellence, l'art de Vigo ne s'exprime pas au moyen des images, il se confond avec elles. Sa vision du monde n'est pas une abstraction plus ou moins mise en forme à travers une histoire bien ou mal interprétèe : elle est la notre, celle que nous découvrons avec lui au moment meme. Il voit le monde à mesure qu'il le montre". [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 76]
I film, purtroppo pochi, di Jean Vigo ben rappresentano questa evoluzione nella progressiva scoperta e padronanza della capacità rappresentativa e di senso dell'immagine cinematografica, ed insieme, proprio attraverso quella, nella autonomizzazione critica rispetto alla primitiva più esplicita impostazione surrealista.
E' opportuno pertanto cercare, a questo punto, di fissare i discorsi e le valutazioni sin qui avanzate nel corpo della produzione vigoliana.
A' PROPOS DE NICE (1929)
Quando Jean Vigo dirige il suo primo film documentario la scelta di campo è compiuta e l'evoluzione dall'avanguardia surrealista felicemente in corso.
Anche nella vita privata questa scelta, e ciò ci appare significativo, si accompagna a quella del matrimonio, entrambe da intendere nel senso di radicarsi alla realtà e al presente, ma senza abbandonare la creatività e la ribellione bensì ancorandole a significati e ad un senso complessivo.
In effetti Vigo definisce il suo cinema come un tentativo di corrispondere alla esigenza di un cinema sociale, che per Vigo vuol dire cinema che si mette in gioco, si immerge nel contesto, non sfugge o si rifugia altrove, insomma si prende delle responsabilità.
Scrive Vigo : " Il ne s'agit pas aujourd'hui de révéler le cinéma social, pas plus que de l'etouffer en une formule, mais de s'efforcer d'éveiller en vous le besoin latent de voir plus souvent de bons films (que nos faiseurs de films me pardonnent ce pléonasme) traitant de la société et de ses rapports avec les individus et les choses". [Jean Vigo, Le point de vue documenté, estrait de la presentation de A' propos de Nice, 14/6/1931, in Perre Lherminier, cit., pag. 83]
Ma lo fa non solo per volontarismo ideologico ma, soprattutto, perché diviene consapevole di sé stesso, del suo linguaggio, delle modalità espressive proprie del cinema, che, come detto, stanno nella capacità di vedere in altro modo, di traslare.
L'occhio della cinepresa non è un semplice prolungamento dell'occhio umano, è qualcos'altro, vede in un altro modo perché rappresenta la realtà raccontandola.
Il documentarismo di A' propos de Nice diventa dunque racconto delle cose, non in quanto invenzione (fiction come si dice adesso) ma perché, traslate nell'immagine cinematografica, le cose possono esprimere un senso che altrimenti non percepiamo.
Questo senso è nelle cose ma si rivela attraverso il modo in cui il cineasta le riprende, non emerge sua sponte ma attraverso l'atto consapevole di riprenderle da parte del cineasta.
Tale atto e tale senso si costruisce non tanto nella preparazione o nella preventiva costruzione di un soggetto o di una sceneggiatura, ma nel movimento della ripresa, nella immersione nel tempo della ripresa.
La capacità propria dell'immagine cinematografica di traslare, nel senso proprio di trasferire in un contesto datore di senso altro, è utilizzata da Vigo per far emergere il vero senso delle cose riprese, per rappresentare la realtà di Nizza quale è oltre le apparenze. Come dire che nella percezione comune ciò che ha prevalenza è l'apparenza immediata, mentre nell'immagine (quindi nell'apparenza consapevole) può prevalere il "significato reale".
In Vigo, poi, tale atto non è disgiunto da un giudizio che è etico ma non è un pre - giudizio in quanto si incarna, si invera nelle immagini stesse, in un certo senso si oggettiva, ne ha e ne da soddisfazione e motivazione.
In Vigo, dunque, il documentarismo è racconto di immagini, che attraverso le immagini scopre i significati nelle e delle cose più comuni, dispersi e disattesi nella confusione della quotidiana esperienza. E' una lezione questa che, pur senza una esplicita riconoscenza, è feconda nella molto successiva Nouvelle Vogue , e non solo nel cineasta etnologo Jean Rouch, ma anche in registi come Truffaut e Romher.
Jean Vigo pertanto, con la sua scelta, si assume la propria personale responsabilità sia verso il baraccone commercial/produttivo il cui unico scopo, secondo lo stesso Vigo, appare quello di impedire per quanto possibile che vengano prodotti film (in senso proprio), sia verso le estremizzazioni fini a se stesse delle avanguardie, accettando con il cinema il rischio ed il peso della contaminazione.
Il cinema, così concepito, ha la forza di penetrare le cose perché non si illude di registrarle fedelmente, mentre la rivolta, attraverso il cinema, può tentare di perseguire con concretezza un obiettivo che è storico (la borghesia), sociale (l'apparato produttivo cinematografico) e linguistico (l'immagine portatrice, anzi supporto, di senso), oltre che soggettivo.
TARIS OU LA NATATION (1931)
E' un intermezzo che sembra avere più l'efficacia di una esercitazione che di una vera e propria opera compiuta.
Non per niente a Vigo non piaceva, ma la necessità comunque di non essere completamente escluso dall'ambiente lo induce ad accettare questa regia.
Oggetto del film è la descrizione di un famoso nuotatore in funzione apparentemente didattica (è una lezione di nuoto), ma ciò che emerge in particolare è il rapporto tra il corpo in movimento e l'acqua.
E' prevalente il senso del movimento, in quanto il corpo è rappresentato attraverso il suo movimento. Il corpo dunque diventa immagine e concetto, movimento che racchiude ed ordina la carne.
Le soluzioni tecniche appaiono tutte indirizzate a trasferire l'immagine della carne nell'immagine del movimento che si fa corpo e viceversa.
ZERO DE CONDUITE (1933)
In Zéro de Conduite l'uso dell'immagine cinematografica come recupero del senso delle cose si fa consapevole.
La dimensione temporale di tale recupero si fa esplicita attraverso il lavoro sulla memoria, memoria che, nello specifico, è l'immagine di un tempo perduto sia dal punto di vista del suo collocamento nel passato, sia da quello dello smarrimento di valori di libertà e purezza soppressi dalla età e dalla società adulta.
Quindi la vera ribellione, raccontata nelle vicende del collegio lontano ricordo di autobiografici accadimenti, non sta invero nel contenuto del film, sta nell'atto stesso del recupero della memoria.
Recuperare la profondità temporale della percezione di sé stessi è possibile grazie alla dimensione temporale dell'immagine cinematografica che consente di contestualizzare i processi percettivi in una sorta di contemporaneità che ristabilisce il senso degli eventi, il significato di valori dispersi nella successione smemorante della vita, nel passaggio dalla potenzialità dell'infanzia alla rigidità della età adulta, e, metaforizzando, dalla produttività dello stato creativo alla rigida normazione della società borghese.
Le potenzialità del linguaggio cinematografico, quale Vigo viene elaborando, si cominciano qui a realizzare e Vigo può cominciare a raccontare il senso della vita, in primis della propria vita, non dicendo tout court le proprie personali vicende, ma raccontando storie che ne hanno il ritmo, il tempo, la partitura e, infine, il senso.
Le immagini trasferiscono il reale e raccontano i suoi significati.
L'unità del tempo proprio è ricostituita e resa significativa per chi la avvicina attraverso lo strumento cinematografico, sia questo chi il film lo fa o lo partecipa, o chi il film lo vede.
Il film così esiste e pretende, permette, di dire di più, di dire qualcosa e di svegliare qualcos'altro al di là dei rutti di questi Signori e Signore che al cinema ci vanno per digerire.
Il film in Vigo diventa una partitura di immagini, accostamenti significativi di luci e sfumature che nella profondità temporale prendono forma e significato.
La vicenda è traslata in immagine e diventa significato, la ribellione non è una petizione ma è raccontata con il linguaggio delle immagini.
"la révolte absolue de ses collégiens chargés de la mission supreme, il lui faut la consolider, la pérenniser, la fixer, l'empecher de se renier jamais, interdir une fois pour toutes qu'elle puisse etre jamais remise en cause, et menacée par les compromis. C'est dans le Lyrisme (le Lyrisme du cri) qu'il en trouve le moyen". [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 68]
Il tempo della memoria dà profondità alla vita perché, come in letteratura aveva fatto un altro indiretto discepolo di Bergson come Proust, ne recupera la prospettiva attraverso il movimento del soggetto in relazione agli oggetti della sua percezione.
Il recupero del tempo personale nella contemporaneità e contiguità della memoria, e quindi nella distruzione della struttura logico/sintattica del racconto tradizionale, sarà poi ripreso in letteratura da posteriori epigoni del proustismo quali i nouveaux romanciers francesi.
Nella vita tutto scorre, nella percezione attraverso il racconto per immagini tutto si contestualizza e assume significato nella contestualizzazione.
Proprio laddove il significato della ribellione supera una sterile contrapposizione facilmente assorbibile dal contesto culturale presente, per diventare recupero di valori e dimensioni dimenticate e oppresse, il film viene giudicato eversivo e quindi cancellato per anni dalla censura che, forse più avveduta di quanto sembri, coglie il carattere di trasformazione della percezione del sé e degli altri, in funzione della padronanza e della libertà, che il film di Vigo palesava.
La ribellione non è totem da venerare in sé stesso, come, almeno a detta del pentito Antonin Artaud, nei surrealisti, ma è processo di riappropriazione e quindi è veramente pericoloso ed eversivo anche perché irrobustito nella immersione nel proprio contesto personale, sociale e politico.
L'ATALANTE (1934)
Se Zéro de Conduite recupera il senso della vita riattivando il movimento nella profondità della memoria, l'Atalante recupera il senso delle cose nella profondità del tempo presente attraverso la prospettiva del movimento dello e nello spazio, inteso come rapporto (allontanamento e avvicinamento) tra la propria vita e gli altri.
L'Atalante è l'ultimo fil di Vigo, neanche completato prima della sua morte, e anche per questo, se non soprattutto per questo, è considerato il suo capolavoro ed il suo testamento spirituale.
Effettivamente è un capolavoro, il capolavoro del concetto vigoliano di cinema, proprio per le difficoltà ed i limiti esterni che affronta, perché innanzitutto parte da un soggetto precostituito, volutamente anodino, il cui scopo era quello di depotenziare la percezione eversiva della concezione vigoliana, diluendola in vicende dall'apparentemente innocuo sapore di sentimentalismo.
Non è dunque un soggetto autobiografico, non contiene elementi diretti della vita e della ideologia, presunta eversiva, di Vigo, ma meravigliosamente, come avrebbero detto i surrealisti, si trasforma in occasione per parlare non della vita di Jean Vigo, ma insieme di Jean Vigo e della vita, per traslare il senso degli eventi correnti in significanze altre, in valori altri, in un senso complessivo di riappropriazione e verità attraverso il racconto - per immagini - di ciò che in realtà non è mai successo, di qualcosa inventato ma che appare più sensato e vero di ciò che percepiamo quotidianamente.
"Il ne s'agit plus que d'un scénario, c'est-à-dire en fin de compte, comme le cinéaste en est conscient, d'un simple canevas, d'une trame lache qui ne lui permettra pas seulement de mettre en valeur des images et des acteurs mais de monstrer le monde tel qu'il le voit et tel qu'il le sent. Grace a quoi l'Atalante, portrait et confidence de son auteur, en depit de lui meme, est aussi la révélation d'un univers mille fois plus intéressant et plus chargé de sens que la réalité dont il semble procéder". [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 58]
Ecco ancora il linguaggio cinematografico, l'immagine cinematografica che, se usata con consapevolezza e sincerità fa deflagrare il reale e consente l'emergere di un suo più profondo significato, di una verità più vera.
L'elemento formale che consente questa trasformazione, questa metamorfosi del significato attraverso l'immagine, è ancora una volta il movimento, questa volta applicato, dando prospettiva che contiene senso, non al tempo (memoria) ma allo spazio.
E' l'acqua l'elemento del movimento che segna le vicende nella contrapposizione dell'equipaggio del barcone al resto del mondo.
E' il movimento, che muta i punti di riferimento e trasforma lo spazio in relazione al mutare di quelli, che consente di far emergere il senso della vita per i due protagonisti.
Questo aspetto, peraltro, non è solo formale, di stile, ma è anche di contenuto, di sostanza sentimentale, in quanto il procedere dalle rive, l'allontanarsi e il riavvicinarsi alla terra segna la scoperta dei valori del rapporto coniugale, del desiderio autentico, del sogno riappropriato alla realtà.
Il movimento, nell'ordinare i rapporti e le contiguità delle cose ridisegna il senso delle azioni e dà l'autenticità a sentimenti e scelte.
Lo spazio in movimento consente il recupero del gioco, della danza, dell'esotico e dell'erotico, ma li sottrae all'irrigidimento proprio della terra ferma che nella rigidità ha il germe del decadimento fisico (il ladro alla stazione che pare un morto), morale e anche sociale.
Al contrario lo spazio in movimento, nel suo rappresentare il tempo che scorre ma è mantenuto nella contiguità (è presso), preserva il valore delle cose evitando il loro decadimento nella fissità. Lo stesso corpo è oggetto in movimento, struttura da decifrare nella proiezione al di là di sé stesso.
Il racconto delle immagini in rapporto ad orizzonti in movimento, offre prospettiva ai sentimenti, li contestualizza e li recupera dal decadimento della immobilità, li rinnova nella incessante riscoperta che è perdita apparente per una riscoperta più autentica e consapevole,.
A questo elemento formale, nell'Atalante, si abbina e si fa più consapevole un elemento linguistico che è l'insolito.
L'insolito, in Vigo, si esprime nel suo rapporto con il reale "sans que s'impose le recours au bizarre, à l'anormal, au pur irréel..l'insolite vigolien se marie presque toujours au vraisemblance ou en emprunte l'apparence".è.."une forme inattendue du vraisemblable, une sorte de quotidien douée du pouvoir de nous étonner, un aspect inusité, a nos yeux du normal". [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 62]
La novità e la sorpresa del cinema vigoliano è nel racconto che si diluisce e scompare nelle cose da cui rinasce il significato, il senso recuperato nel procedere delle immagini che si fanno racconto cinematografico, in una sintassi di atmosfere, di accostamenti e sfumature.
Jean Vigo riesce a costruire un racconto di immagini, con una sintassi autonoma, non mutuata dalla letteratura o dalla pittura.
Attraverso le immagini ricostruisce un senso, o meglio lo ricerca nella scelta dei punti di vista e nella verifica del montaggio.
E' straordinario che ciò sia rimasto nonostante i tanti tagli e interventi, censori o in buona fede, successivi, ne consegue che la forza del linguaggio vigoliano è tale e talmente insita, implicita, iscritta nelle sue immagini da risultare comunque.
Se dunque, per concludere, nel surrealismo la ricerca della forza icastica dell'immagine, nella sua valenza di forzatura del reale e scrittura automatica dell'inconscio, rischiava di declinare nella impotenza solipsistica, in Vigo resta ancorata a solide fondamenta di significanza, immersa e messa in gioco nella realtà della vita e della Società che ne enfatizza la capacità rappresentativa di senso, non mutuato altrove, ma emergente dalle cose viste e raccontate attraverso la macchina da presa,
"Certes, la vie quotidienne y affleure, et à tout moment : noce de village, bal popoulaire, chomeurs, conditions de travail, réalités de la rue, rapports conjugaux. Ces regards furtifs mais lucides, et justes, sur le mond où nous vivons, nous rappelent à propos que rien, de ce film, n'est gratuit, désincarné, et que tout ce qui est non humain lui est, au bout du compte, étranger. Cependant ce n'est là que manière de toucher terre, à intervalles réguliers, pour en repartir de plus belle chercher ailleurs de quoi alimenter notre insatiable curiosité de ce qui nous est, pour le moment, mais peut-etre pas à jamais, inconnaisable" [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 58]
Questo mi sembra il miglior insegnamento vigoliano che ci racconta il reale, in un certo senso per convincerci a seguirlo al di là "vers ces régions de merveilleux, du mystère, de la magie, dont la découverte nous est d'autant plus précieuse qu'elles nous renseignent sur cela meme dont nous avons cru nous détourner pour elles" [Pierre Lherminier, Jean Vigo, cit., pag. 59]