Comunicato stampa
L'arte del '900 ha praticato il ready-made in vario modo: il ready-made puro e semplice, il ready-made modificato, il ready-made collassato e così via.Le opere di Nanni Menetti esposte in questa mostra sono tutte frutto di un ready-made provocato. Il gelo, con le avvertenze acconce e le dovute strategie, è stato costretto dall'artista a rifare, su faesite, gli arabeschi che tanto lo avevano incantato, spontanei, sulle finestre fredde nei lunghi inverni della sua infanzia. Bicorgnola di Monzuno è la borgata dell'Appennino emiliano dove il miracolo di allora da alcuni anni è costretto a ripetersi e 761,184 è la quota che lo rende possibile. Appena arriva il freddo l'artista lascia Bologna, dove vive, e torna nel luogo natio a lavorare con il gelo i suoi quadri. "Nel lavoro di Nanni Menetti nascono continuamente nuove invenzioni: un'ultima, straordinaria, invenzione - scriveva Renato Barilli in occasione della grande mostra che l'artista ha tenuto nel 1999 nell'Aula Magna dell'Università di Bologna - è quella delle crio-grafie. "Crio", dal greco, significa freddo, da qui crio-grafie come grafie tracciate dal gelo. Alcuni fondi di questi quadri sono così percorsi da venature stupefacenti e magnifiche". "Non c'è separazione tra paesaggio e finestra su cui esso appare - annota acutamente Leonardo Conti nel catalogo della mostra - così come il pensiero è unito indissolubilmente a ciò che pensa. E' questo il lavoro dell'artista, che così inventa continuamente il mondo".
Primo a concepire e realizzare un simile progetto, "con diavolerie tecniche - continuava Barilli - che al momento non saprei descrivere ", Nanni Menetti è venuto sviluppando in questi anni un grandioso disegno di codifica dei colori dell'inverno. In questa mostra è la volta del nero e del giallo-arancio, colori di una leggenda tipicamente invernale. Create nei (ma meglio sarebbe dire dai) "giorni della merla", per tradizione i giorni più freddi dell'anno, le opere hanno i naturali (rituali) colori dei merli, secondo una circolarità di senso che, cancellando ogni distinzione tra significante e significato, realizza sì, senza fatica, uno dei traguardi mai dismessi dall'arte, ma soprattutto ci mostra in figura, a emblema, la strada per il recupero della nostra primigenia armonia tra sensibilità e ragione, tra mente e corpo, al fine di una nostra interiore, insieme individuale e collettiva (il racconto, la leggenda è ovviamente di tutti), riconciliazione. E qui la significazione può aprirsi all'infinito: centrale, qui, può essere, per alcuni, la parziale sottomissione del lavoro del gelo ai desideri dell'artista (della natura al volere dell'uomo), oppure, a rovescio, le indicazioni illuminanti che il gelo suggerisce all'artista nei suoi coevi interventi chiro-grafici, che pur ci sono; o, anche, il dispiegarsi del fenotipo nascosto nel suo genotipo-infanzia o ancora, per altri, la dimostrazione che il tempo, volendo, è reversibile. Per l'artista è l'epifania riuscita dell'immobile, la miracolosa materializzazione dell'incanto inconcusso e senza tempo: una specie di ritorno all'artico e dall'artico, sorprendentemente pieno di luce e di calore.