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Il video di Fabrizio Plessi

Come nulla a questo mondo accade casualmente, e quindi ogni avvenimento succede sotto la spinta di un'altra causa, così alcune scoperte umane influenzano in modo indelebile la società. In particolare l'immagine video apre le porte ad una nuova era e non tanto per il suo ruolo nel campo dell'informazione quanto, allo stesso modo del passaggio dalla cultura orale a quella scritta modifica l'impostazione del pensiero.

CRONOLOGIA DELLE MAGGIORI INVENZIONI ED EVENTI NEL CAMPO DELLA COMUNICAZIONE

3500 a.C. ca.I Sumeri inventano la scrittura.

VIII sec. a.C.Invenzione dell'alfabeto greco.

III sec. a.C. Vennero fondate le prime biblioteche pubbliche.

39 a.C. Fu istituita a Roma la prima biblioteca pubblica da Gaio Asinio Pollione.

1454 Invenzione della stampa ad opera di Johannes Gensfleisch detto Gutemberg.

1660 La Leipziger Zeitung che si stampava a Lipsia fu il primo giornale quotidiano.

1814 Friedrich Koening unì il principio della macchina a vapore al torchio da stampa aumentando la tiratura da 250 a 1100 fogli l'ora e diminuendo i costi del 25 %.

1827 J. N. Niepce impressiona le prime lastre.

1832 Samuel Morse inventa il telegrafo.

1866 Viene posto il primo cavo sottomarino transatlantico.

1871 Antonio Meucci inventa il telefono e ne deposita il brevetto che per cause economiche rimarrà inutilizzato.

1877 Invenzione del fonografo da parte di T. A. Edison.

1892 I fratelli Lumière inventano il cinematografo.

1895 I fratelli Lumière organizzano a Parigi il primo spettacolo cinematografico.

Giuseppe Marconi inventa il telegrafo senza fili.

1901 Prima trasmissione telegrafica senza fili transatlantica.

1920 A Pittsburgh la società Westinghouse effettua le prime trasmissioni radio.

1925 Un ricercatore scozzese, John Baird, ottiene le prime immagini televisive sperimentali.

1936 Hanno iniziato a Londra le prime trasmissioni televisive presso la BBC. Primi sondaggi Gallup in una campagna politica.

1946 Viene costruito il primo calcolatore, si tratta dell'ENIAC. Lo ha commissionato l'esercito americano.

1948 Nascono i primi dischi a 33 giri ad opera di P. C. Goldmark.

H. Land elabora il sistema polaroid di foto istantanee.

1953 Commercializzazione del primo computer costruito in serie: si tratta dell'IBM 650.

1958 Compaiono i primi circuiti integrati.

1962 Lancio del primo satellite per le telecomunicazioni.

1967 Prima trasmissione mondovisione.

1975 Vengono messi in vendita i primi personal computer.

LA LUCE.

BIBLIOGRAFIA

Vittorio Fagone, L' immagine video, Feltrinelli, Milano 1990, pp.

Bil Viola, Segreti sepolti, catalogo, Padiglione degli Stati Uniti 46esima Biennale di Venezia 11 giugno-15 ottobre 1995.

Plessi, acquabiografico, Edizioni della Galleria Vinciana, Como 1973.

Plessi Underwater, Morandini, Mastrogiacomo Editore, Padova 1983.

Plessi, catalogo mostra La Cavallerizza, Antico Foro Boario, Civici Musei Reggio Emilia, Edizioni Canova, Treviso 1990.

Plessi, Hundert Zeichnungen (1976-1992), Edizioni d'Arte Canova, Treviso 1993.

Fabrizio Plessi, La Rocca Elettronica Videoinstallazioni e Disegni, a cura di Jorg Schepers, Settore Attività Culturali della Provincia di Perugia 1995.

INTERVISTA A FABRIZIO PLESSI - VENEZIA 02/04/98

d- Cos'è il video per Fabrizio Plessi ? uno strumento comunicativo o un materiale alla stregua della materia per lo scultore e la tela per il pittore?

P- Per me è basico, io non ho mai considerato la televisione uno strumento informativo, narrativo, come in genere viene considerata. Io considero la televisione esattamente una materia, una materia come il marmo, la pietra, il carbone, la paglia, una materia con la quale l'artista può con delle manipolazioni creare un proprio mondo. Oggi abbiamo la fortuna di usufruire di nuovi materiali, uno di questi è il video, e io lo uso come un materiale, perciò niente di descrittivo, aneddotico, narrativo. Mi chiedevano come mai il mio video non racconta mai delle cose, ma fermo un momento storico in cui è l'emozione a giocare il ruolo principale; se io riesco a catturare un emozione nello spettatore con delle cose che voglio dire ho veramente captato, con un materiale cangiante e tecnologico, un momento storico.

d- Si nota subito, guardando i suoi lavori, che il video viene usato senza pregiudizi, non viene fatta pesare la tecnologia come tale, viene a formare un tutt'uno, senza differenziarsi particolarmente dagli altri componenti delle installazioni.

P- Direi che il mio rapporto con la tecnologia è sempre un rapporto naturale, un rapporto sereno, un rapporto quasi rinascimentale, non c'è mai l'angoscia o il trionfalismo di usare un mezzo nuovo, io dico sempre di essere un barbaro dell'elettronica, un cavernicolo della tecnologia, proprio perché la uso con molta moderazione. La tecnologia va usata come una medicina, con discrezione, con cautela, sennò la tecnologia è talmente forte oggi che ti si rivolta contro e rimani schiavo, schiacciato dalla sua forza.

d- Come nasce all'inizio della sua carriera di videoartista l'interesse per l'elemento acqua?

P- Da emiliano sono capitato per motivi di studio a Venezia, una città che è tutta acquatica, mobile, che non ha niente di caratterialmente forte come ha l'Emilia, tutto è come un merletto acquatico, anche l'architettura. Per cui mi sono trovato immerso in questa città in cui niente sta fermo, tutto è in una certa movimentazione estetica in questo pulviscolo luminoso, che è anche un po la televisione. Credo che Venezia mi abbia influenzato moltissimo, anche se apparentemente nessuno lo nota mai, nell'avvicinamento al video.

d- Lei spesso, infatti, parla dello schermo video come d'acqua elettronica.

P- Sai, per dire, qui a Venezia è pieno di canali, il canale è un canale su cui passano le barche, ma può essere inteso anche come un canale televisivo. L'acqua è un grande trasportatore di materiali ma la televisione è un grande trasportatore di idee. Per cui io credo che veramente Venezia inconsciamente mi abbia fatto avvicinare profondamente al video, proprio a questo elemento impalpabile, mobile, fluido, che è proprio lo schermo televisivo fatto da punti luminosi in cui è come una specie di acqua instabile nella nebbia. In fondo io vedo molte analogie proprio in questo senso, proprio dal punto di vista estetico. Potrei dire che lo schermo acceso è un elemento molto acquatico, instabile, fluido, e questa instabilità, questa fluidità ha giocato sempre un ruolo molto importante nel mio lavoro in cui tutto in fondo è un fiume elettronico, un fiume che si muove, atemporale, perché si muove sempre, come un loop, le mie immagini durano sempre al massimo cinque, sei, dieci secondi, non voglio raccontare mai niente, creo delle sensazioni come con un materiale. Il vento si muove, l'aria, il fuoco, sono tutti elementi che io utilizzo in una maniera molto discreta, naturale, non c'è mai questa aggressività, questa violenza di modificare l'aspetto estetico delle cose, cerco sempre di fare entrare arte e natura in un gioco ambiguo di rimandi che in fondo, dal Romanticismo in poi è stata una chiave di lettura dell'arte e della natura.

d- E l'acqua, nel suo lavoro, può essere vista come opposizione alla materia strutturata; quindi movimento, vibrazione, qualcosa di sfuggente, contro la staticità, la certezza monolitica della struttura?

P- Facciamo una metafora, il televisore è la terra, l'interno, la trasmissione delle mie immagini che sono sempre l'acqua, tutta questa trasmissione avviene tramite l'elettricità che è il fuoco, e il messaggio avviene attraverso lettere che sono l'aria, per cui stranamente troviamo i quattro elementi basici tutti nella televisione. Per cui in fondo nessuno ha mai approfondito, tutti parlano sempre della tecnologia, l'aspetto filosofico. Io credo che questo aspetto sia molto importante, nel mio lavoro e nessuno ha mai fatto una riflessione di tipo filosofico, Tutti si sono sempre occupati del rapporto arte-natura, della tecnologia, dell'acqua. Perché Plessi da italiano innamorato del Manierismo, innamorato dell'arte italiana, della misura, dell'architettura, si è interessato a questo bruttissimo oggetto che è la televisione? Perché io la vedo in maniera diversa; tante volte adopero la televisione togliendola da questa brutta scatola, però alla fine mi sembra nuda, lo schermo senza scatola, perché in fondo è un abitacolo e devo prenderlo per quello che è, con la zavorra del pensiero che è la scatola in cui tutto è racchiuso per cui anche con le scorie e la pesantezza fisica. Ho fatto un pezzo per il teatro, un balletto che si chiama "Icaro", con le musiche di M. Nyman. Ai piedi di un ballerino nudo, con due grandi ali di piume Barocche, che rappresentava Icaro, e che desiderava volare, erano attaccati due televisori. Al cui interno c'erano le immagini dei piedi che volavano. I televisori erano talmente pesanti che gli impedivano di ballare. Era proprio il suo sogno di leggerezza rappresentato dai piedi che volavano nel video contrapposto all'impossibilità data dalla pesantezza dell'involucro televisivo che rappresentava il peso stesso della materia. E questo mi interessa, mi interessa sempre, anche queste mie installazioni che sono cosi monumentali, pesanti, grandiose, forti, poi dentro invece c'è la leggerezza della tecnologia; e io credo che proprio che i miei lavori siano una sorta di vasi comunicanti in cui la leggerezza del pensiero e il peso della materia possano convivere. Questo giro di boa del millennio in cui tutto c'è dentro, tutto convive, materie, suoni, immagini, visione globale dello spazio, contaminazione spaziale con il suono, contaminazione spaziale con l'immagine, spazialità degli elementi plastici, per cui tutto diviene una specie di teatro totale dell'arte.

d- Oltre le numerose installazioni, performance, videotapes, ha fatto anche tre film. Quali sono le specificità, le problematiche di linguaggio, passando dal piccolo schermo a quello grande?

P- Io sono uno sperimentatore di natura, quando ho la possibilità di mettermi a confronto con un mezzo intraprendo questa specie di lotta con un grande entusiasmo, senza voglia di vincere rispetto ad alcuno, ma per il piacere stesso di combattere con una cosa di cui non conosco le regole, tanto da diventare per me una specie di sfida. Il cinema per esempio, io ho sempre pensato che il cinema fosse fantastico, perché sono nato con il cinema, da ragazzino andavo al cinema anche due, tre volte al giorno, per me il cinema era tutto, era la cultura dell'immaginario. Con l'arrivo della televisione ho capito che questa era un mezzo più fluido, più semplice, agevole, pratico, la vedi subito, non hai bisogno di filtri, non hai bisogno di sviluppi chimici, è veramente una delle più grandi invenzioni della nostra epoca. Allora intorno agli anni Ottanta ho immaginato, perché non fare un video e tradurlo in film, e ho fatto questa operazione chiamata "splash", un operazione che molti anni dopo ha fatto Greenaway con un grande successo, solo che io l'avevo fatto in tempi in cui ciò non poteva avvenire, perché la tecnologia non era così avanzata, avevamo delle telecamerine che erano a mezzo pollice, un quarto di pollice. Ho avuto l'intuizione, uno tra i primi in Europa, di tradurre su pellicola un'opera video, per cui ho pensato di girare in video e poi trasformarla in film. Certamente un'operazione che nessuno aveva fatto in quegli anni (1979/80), e che io ho fatto proprio per il mio senso sperimentale, è stato poi un grosso fallimento perché naturalmente la materia prima, il video, era talmente impreciso che quando noi l'abbiamo "gonfiata" a trentacinque mm si è "spappolato" tutto.

Mentre quattordici anni dopo, Greenaway ha girato tutto in elettronica, come molti altri film d'oggi che sono girati in elettronica, in digitale e poi sono "gonfiati" in trentacinque mm. Rispetto al cinema voglio dire che io sono stato il primo artista italiano a fare entrare l'elettronica, quindi la tecnologia, in un festival importante come il Festival del Cinema di Venezia. La mia opera che era "Underwater" del'1981-82, era un opera tutta in video e io l'ho fatta proiettare su grande schermo come fosse un film. Questa è stata la prima volta che un video d'artista veniva proiettato al festival di Venezia. Ecco questo è stato il mio rapporto con il cinema, che poi ho abbandonato perché ho creduto che il cinema perdesse la sua caratteristica. Devo dire che filosoficamente il cinema è fallito ,l'idea del grande cinema è finita, perché tutti gli effetti speciali che si sono inseriti dentro da un po' di tempo, la facilità con cui si può attirare il pubblico con gli effetti speciali, ha fatto morire la caratteristica poetica del cinema. Però d'altro canto la televisione non è diventata la regina della comunicazione, perché noi vediamo che polpettoni elettronici, non dico Beautiful, ma dico il telegiornale, perciò diciamo che in questa lotta impari ha perduto il cinema con il suo potere di fare sognare le persone, ed ha perso la televisione perché poteva benissimo prendere il posto del cinema mentre è diventata veramente una televisione da cortile.

d- Ho letto un suo articolo, preso da Internet, intitolato Plessi su Plessi, nel quale scrive dell'importanza del disegno nel suo lavoro. Da questo sembra quasi affermare che preferisce l'aspetto preliminare, grafico, a quello esecutivo della realizzazione dell'opera. E' vero?

P- Vedi io sono un artista atipico, tra gli artisti che trattano il mio genere, perché ho una grande manualità, io disegno tutto, progetto tutto, ogni immagine ogni cosa la disegno, ogni struttura la disegno sempre prima, per cui per me è molto importante la metodologia nel lavoro, è importante la visionarità che ho dell'opera, siccome io sono un visionario, io prima mi disegno l'opera, poi quando va bene la eseguo. Talvolta sono così preciso nel disegno che l'esecuzione diventa superflua. Di solito, mi viene un'idea, e quando mi viene un'idea vuol dire che già per l'ottanta per cento il lavoro è eseguito, poi la disegno, con le proporzioni, con la logica, con le luci, in funzione ad uno spazio, perché io faccio sempre delle opere in funzione di un luogo, poi cerco i materiali, e le immagini che voglio dentro ai video. Quindi è tutto un insieme di cose ed è come si trattasse di un'opera Barocca, di Tardo Manierismo, in cui tanti elementi giocano la loro funzione.

d- Cosa ne pensa della scena internazionale e nazionale contemporanea della videoart?

P- Io penso che gli artisti veramente importanti che lavorano con il video si possano contare sulle dita di una mano. Credo che sia stato molto importante Nam June Paik, che in fondo è stato il fratello maggiore di tutti noi, grande amico, gran mio sostenitore. Poi credo sia molto importante il lavoro che ha fatto Bill Viola, che in questo momento può essere considerato l'equivalente americano di quello che io sono in Europa, io forse più legato al mondo dell'arte lui più legato a quellodel cinema, lui è molto multimediale, il suo lavoro è più cinematografico. E poi abbiamo pochissimi altri, Gary Hill. Insomma si contano sulle dita gli artisti veri. Ed è molto strano che in un'epoca in cui c'è accesso con tanta facilità alle tecnologie, non vi siano migliaia gli artisti che lavorano con il video, invece per una ragione o per l'altra, non ultima la scuola, che non c'è, soprattutto in Italia, pochissimi artisti si avvicinano al video. Guarda proprio in Italia il disastro, c'è il gruppo di Studio Azzurro che copia tutto il mio lavoro, esattamente le stesse cose fatte sei, sette anni dopo, ma in fondo è giusto che sia così. In Giappone ho trovato anche di peggio. Per cui non si avvicinano le persone perché è un mezzo difficile da dominare, se uno non ha veramente una grande forza morale, culturale, estetica. Il mio lavoro io penso sia molto vicino, stranamente, a quello di Jannis Kounnelis, senza tecnologia, al lavoro di Merz, di Zorio, a certi lavori dell'Arte Povera che in fondo è stata un momento storico in cui mi sono formato, perciò è una specie d'Arte Povera contaminata dalla tecnologia.

d- Una curiosità, spesso nei suoi lavori usa un numero molto preciso di monitors, è casuale?

P- Non è cabalistico, è che io uso delle forme geometriche, le forme geometriche hanno delle misure, una specie di forma spaziale nella quale se è un quadrato avrà un tot di televisori, se è un cerchio dovrà averne altrettanti, se è un cerchio più piccolo avrà un rapporto sia numerico che formale che è un multiplo di un altro numero, per cui 12, 24, 48, sono tutti numeri molto precisi, anche perché le installazioni alcune volte vengono ideate per degli spazi espositivi precisi. Ma io lavoro molto con degli spazi molto segnati, cioè mi interessa lavorare su degli spazi che hanno dei connotati molto forti, perché credo che più uno spazio ha una sua connotazione architettonica ben definita, più l'inserimento dell'elemento tecnologico possa essere segno di riscatto, per questo i miei lavori vivono meglio in chiese, abbazie, in luoghi come Perugia, in luoghi molto forti, che abbiano una loro storia piuttosto che in luoghi esteticamente asettici come un museo d'arte contemporanea.

d- Quando ho scoperto le sue opere sono rimasto colpito, sia per l'interesse che mi hanno suscitato, ma soprattutto mi sono chiesto perché non le avevo notate prima. Perché in campo nazionale, nei media, compresi quelli specializzati, si sente parlare poco di Lei? E quanta responsabilità hanno i critici italiani in questo?

P- Dicevo proprio ieri a degli studenti, ai quali stavo tenendo una conferenza, diffidate dei critici, state lontani dai critici. Il peso che anno in Italia è veramente eccessivo rispetto a tutti i paesi del mondo, io lavoro da molti anni in Germania e lì non esistono i critici, esistono i direttori dei musei che pagano sulla loro pelle le proprie scelte. Un direttore di un museo sceglie cinque, quattro mostre all'anno, si fa finanziare dal governo queste opere e ne risponde agli altri; il critico italiano, per vigliaccheria, non paga mai di persona. Diciamo che abbiamo i due storici, Achille Bonito Oliva e Germano Celant. Sono i due campioni, forse anche le due persone più intelligenti, ma intendiamoci, intelligenti, anche Hitler e Mussolini lo erano, entrambi hanno veramente spinto soltanto i loro cinque, sei artisti per farne un business di tipo economico. Gli altri, ci sono una serie di critici che lavorano sul giovanilismo, poi esiste questa marea di critici, tipo Flash Art o altri, che sono veramente l'accattonaggio della critica, perciò io non spedisco mai un catalogo a nessuno di loro, ho cancellato tutti gli indirizzari, e ho cancellato l'indirizzario dell'Italia dalle mie mostre, io per dire, sono esattamente quattordici anni che non appaio sulle pagine di Flash Art. Allora, ti sembra giusto che un editore che deve dare delle informazioni al pubblico, per problemi privati, individuali, escluda delle mostre. Su tutti i libri, tutti i cataloghi, su tutto ciò che è avvenuto in Italia negli ultimi trent'anni, io non appaio, non appaio più, allora, è possibile che fino agli anni Settanta ero su tutti i cataloghi, tutti i critici parlavano di me come il grande Plessi, la grande promessa, uno che come me ha fatto undici Biennali di Venezia, ha partecipato "Kassel", ha fatto altre svariate Biennali; sia snobbato dalla critica italiana? Il problema è che in questa situazione l'Italia è come un paese che ha perduto l'Europa e che si avvicina all'Africa, sta andando alla deriva

 

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