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Essere comunicazione

(Parol on line, maggio 1999) di Augusto Ponzio

Quando consideriamo il concetto di "comunicazione", generalmente siamo portati a concepire la comunicazione come un processo di esteriorizzazione a partire da un interno che estrinseca, palesa, espone, i propri contenuti. La comunicazione sarebbe e-missione a partire da un essere, l'e-mittente, e si svolgerebbe fra tale e-mittente, quale termine a quo, e un altro essere, il ricevente quale termine ad quem del processo. La comunicazione sarebbe quanto intercorre tra l'essere che fa da emittente e l'essere che fa da ricevente. Ci sarebbe un essere che comunica, che dunque prima è e poi comunica, che può quindi essere prima e indipendentemente dalla sua comunicazione.

Questa concezione della comunicazione non solo è diffusa al livello di opinione ordinaria, ma è anche ciò che condividono posizioni teoriche per altri aspetti in reciproco contrasto tra loro, come innatismo ed empirismo, mentalismo e comportamentismo. Ci si può occupare dell'esteriorizzazione in cui consisterebbe il processo comunicativo prescindendo dall'interrogarsi sull'essere che si esteriorizza e sull'essere del ricevente di tale esteriorizzazione, oppure porre la questione di come è fatto tale essere, come è fatto l'interno che si esteriorizza nella comunicazione e quello che la riceve. Detto in altri termini: ci sarebbero due esseri i quali entrano in comunicazione, e ci si può limitare a considerare la comunicazione guardando a ciò che questi comunicanti fanno, oppure ponendosi la questione del loro essere e quindi andando a curiosare su come sono. Ma in ogni caso, resta ferma la concezione della comunicazione come e-missione di un essere che un altro essere riceve.

Evidentemente tale modo di intendere la comunicazione è collegato con una certa concezione dell'essere, con una certa ontologia. Così come la comunicazione, in generale, è intesa come processo a partire da un essere, come sua e-missione, così l'essere, in generale, è inteso come antecedente e presupposto, come fondamento, rispetto alla comunicazione. Generalmente teoria della comunicazione e ontologia sono fra di loro strettamente connesse: ogni teoria della comunicazione ha la sua ontologia, a prescindere dal fatto che questa resti implicita o venga esplicitata; e viceversa ogni ontologia ha la sua teoria della comunicazione, anche se non è resa esplicita.

Indipendentemente dalle teorie, dalle filosofie e dalle ideologie della comunicazione, si fa strada oggi una concezione diversa del rapporto comunicazione/essere che potremmo sinteticamente introdurre con l'enunciato che "la comunicazione è essere". Esso può essere rovesciato dicendo che, viceversa, anche "l'essere è comunicazione". Ma a differenza del primo enunciato che rientra in ciò che è di competenza della teoria della comunicazione, e che quindi qui direttamente ci riguarda, il secondo enunciato appartiene all'ontologia generale. Ciò non significa che ce ne possiamo disinteressare, benché qui non ce ne possiamo occupare se non per quel tanto a cui ci costringe l'inevitabile connessione che intercorre, come abbiamo accennato, fra teoria della comunicazione e ontologia. Sotto questo riguardo, cioè considerato limitatamente alla ontologia regionale relativa alla teoria della comunicazione, cioè come essere che comunica, come essere comunicante, il primo enunciato "la comunicazione è essere" è convertibile in "l'essere è comunicazione".

Che la comunicazione sia essere e, viceversa, che l'essere che comunica sia comunicazione è quanto risulta attualmente dai due principali settori della conoscenza e della prassi: quello scientifico e quello economico.

Sul piano dell'indagine scientifica, particolare importanza assume, sotto questo riguardo, quel complesso di discipline che si occupano della comunicazione in quanto interessate allo studio del mondo organico nei suoi molteplici aspetti, a livello tanto dei grandi regni quanto dei microrganismi, e che possiamo unificare sotto il nome di biosemiotica. In questa sfera dell'indagine scientifica vita e comunicazione vengono a identificarsi. Non solo la condizione della vita, ma anche il criterio della sua identificazione è la comunicazione: essere vivente significa essere comunicante. Vita=semiosi, cioè processo in cui ci sono segni ("segni di vita", appunto). Risulta che la comunicazione non è affatto esternazione dell'essere vivente, dai batteri o procarioti alle cellule dotate di membrana e di nucleo o eucarioti, dai microorganismi agli organismi che fanno parte dei tre (o quattro) grandi regni, ma è l'essere vivente stesso. Nell'ambito del mondo organico, comunicare è essere e viceversa. Comunicare è persistere nel proprio essere, conservazione dell'essere, confermarsi come essere, conatus essendi.

Per quanto concerne l'economico, la comunicazione si identifica anche qui come essere e persistenza nell'essere. Non siamo più soltanto nell'amplissima sfera della biosemiosi, e neppure nella più ristretta ma pur sempre generica sfera della zoosemiosi, delle quali tuttavia l'uomo evidentemente fa pure parte. Siamo nella specifica sfera della antroposemiosi . Qui l'essere, come essere umano, non è soltanto essere vivente, ma essere storico-sociale. Qui entra in gioco il linguaggio (di cui il parlare, il linguaggio verbale, è solo una delle tante espressioni) che comporta che l'essere umano non sia solo essere semiosico, come ogni essere vivente in quanto comunicante, ma anche animale semiotico, cioè capace di semiotica, vale a dire di meta-semiosi, di riflessione, e dunque di coscienza, Il linguaggio è la sua caratteristica prerogativa di ominide, e ne ha reso possibile l'evoluzione fino ad oggi, evoluzione di animale semiotico, e dunque evoluzione non semplicemente biologica, ma anche storico- sociale.

L'economico nella fase attuale della produzione capitalistica, conferma l'identificazione essere-comunicazione. In questa fase, caratterizzata dalla rivoluzione industriale dell'automazione, dalla mondializzazione della comunicazione e dalla universalizzazione del mercato (la quale non consiste semplicemente nel fatto quantitativo della sua espansione, ma anche e soprattutto in quello qualitativo rappresentato sia dalla traducibilità di qualsiasi cosa in merce, sia dalla produzione di nuove cose-merci) la comunicazione da fatto intermedio nel ciclo produttivo (produzione, scambio, consumo) è diventata modalità costitutiva della produzione e del consumo. Non solo lo scambio è comunicazione, ma anche la produzione è comunicazione, così come lo è anche il consumo. Sicché l'intero ciclo produttivo è comunicazione. Si può caratterizzare questa fase della produzione capitalistica come quella della "comunicazione-produzione".

La comunicazione-produzione è la comunicazione del mondo così come oggi è. Si tratta di comunicazione mondializzata, non solo nel senso che si espande sull'intero pianeta, ma anche nel senso che è aderente, adeguata al mondo. O meglio: è la comunicazione di questo mondo. Comunicazione e realtà, comunicazione e essere coincidono. Una politica realistica (ma se non è realistica non è politica) è politica adeguata alla realtà della comunicazione mondializzata, all'essere della comunicazione-produzione. Il rapporto fra politica e ontologia (proprio della politica in quanto tale, che per questo è pre-disposta alla guerra, la più crudamente, brutalmente realistica faccia dell'essere) si specifica oggi come rapporto con l'ontologia dell'essere comunicazione, che è la comunicazione mondializzata, comunicazione-produzione.

Al di qua della connessione che si svolge nel cielo delle teorie e delle filosofie, ce n'è dunque un'altra, terrena e materialmente data, quella fra comunicazione e ontologia della forma attuale di produzione.

La comunicazione-produzione è perseverare nell'essere, insistenza ad essere, a perdurare, conatus essendi.

Certamente, in generale, la riproduzione sociale, il processo per il quale la società umana riproduce se stessa, è - l'espressione "ri-produzione" lo dice - rigenerazione, mantenimento, conservazione. Ma la riproduzione sociale, proprio come insistenza ad essere della comunità umana, assume, storicamente ha assunto, differenti forme di produzione, ed è passata da quelle che le erano d'ostacolo - a causa della discrepanza fra ordinamento dei rapporti sociali e livello di crescita delle capacità intellettive, trasformative, inventive umane - ad altre più adeguate e favorevoli. La riproduzione sociale dunque si realizza proprio attraverso la possibilità di evasione dall'essere-comunicazione fissato da una forma sociale determinata, attraverso la possibilità di reinventare e riorganizzare i rapporti sociali sulla base di una sorta di capacità di interpretare e di rispondere altrimenti rispetto all'essere-comunicazione, di distanziamento, di fuoriuscita, di eccedenza dal mondo in cui questo si è realizzato e dalla visione del mondo con cui combacia. Nella riproduzione sociale, la coincidenza di comunicazione ed essere, coincidenza che caratterizza in generale la vita, l'essere vivente, l'essere comunicazione, è superata in quanto si tratta della riproduzione dell'animale semiotico, quello cioè che non ha soltanto rapporti di comunicazione (come gli atri animali, i quali perciò propriamente, come dice Marx, non hanno rapporti ) ma è capace di rapporti di valutazione, di presa di coscienza, di responsabilità, di progettazione dei rapporti di comunicazione, cioè di fuoriuscita dall'essere comunicazione.

Invece il persistere della comunicazione-riproduzione è il persistere di una stessa forma sociale, quella capitalistica, che con i suoi aggiustamenti e metamorfosi, funzionali alla sua conservazione, malgrado il suo presentarsi (già alla nottola di Hegel) ormai al tramonto, malgrado i segni del suo finire, non cessa di tramontare, non finisce di finire. Solo l'ideologia funzionale alla conservazione di questa forma sociale può identificare l'essere di questa forma sociale particolare che in questa fase si presenta come comunicazione-produzione, con l'essere comunicazione della riproduzione sociale in generale, fino a far passare questa forma sociale come connaturale all'essere umano, dunque a presentarla come necessario e immodificabile modo d'essere dell'uomo una volta pervenuto, secondo un processo di crescita concepito come lineare, ad un livello alto di sviluppo economico, di perfezionamento culturale, di progresso scientifico-tecnologico.

A parte questa mistificazione, il punto di vista dell'ideologia attuale, l'ideologica della mondializzazione, l'ideologia cioè in linea con la logica della comunicazione-produzione, non è diverso da quello delle discipline che, come abbiamo detto sopra, possono essere considerate come settori di ricerca della "biosemiotica". Ciò che li accomuna è ciò che possiamo indicare come ontologia dell'essere comunicazione.

Proviamo a delinearla nei tratti essenziali, riprendendo quanto abbiamo detto. La comunicazione va concepita in termini di essere. Di essere che, è ormai risaputo, è anche divenire. Non tutto l'essere è comunicazione. Ma la comunicazione è essere. Comunicare è persistere nel proprio essere. È autoconservazione. La comunicazione non è l'estrinsecazione di qualcosa che per suo conto è. Ma è questo essere per suo conto. La comunicazione non è esteriorizzazione di un essere interiormente, ma è questo essere interiormente stesso. La comunicazione è un movimento di interiorizzazione, di ritorno, di autoaffermazione. Comunicazione non come estroversione, ma come introversione. Tutto ciò che è comunica? Tale questione, nel nostro ambito di ontologia regionale relativa alla comunicazione, non ci interessa. Il fatto che ci interessa per quella parte dell'essere che comunica, è che comunicare è essere. Se volessimo avventurarci nel territorio dell'ontologia generale potremmo arrischiare formule del tipo: essere = comunicare: falso; comunicare = essere: vero. Si può essere senza comunicare? Sì, ma non per quegli esseri che comunicano, che sono comunicazione. Ma limitiamo la questione del rapporto essere-comunicazione a questi ultimi: il loro essere consiste proprio nel comunicare. L'aver fame, prima ancora del comportamento del nutrirsi è comunicazione. Un organismo è comunicazione. L'organismo è un essere comunicante, per sé, in quanto organismo. Dicesi organismo una congegno di auto-comunicazione ossia di autoconservazione, capace così di perdurare nel proprio essere.

L'essere umano è anch'esso comunicazione, come ogni essere vivente compresi quelli di cui è composto, gli eucarioti, e quelli da cui è abitato e cosparso, i procarioti, ma anche come i sistemi che ne garantiscono la conservazione e riproduzione, il codice genetico, il sistema neuro-vegetativo e il sistema immunitario. Vive di comunicazione interna e di comunicazione esterna, come gli altri esseri viventi, e come gli altri animali è dotato di un congegno di modellazione specifico di specie attraverso cui costruisce il proprio "mondo", la propria Umwelt. La zona di incontro fra "realtà esterna" (esterna al "mondo" e dunque non percettibile) e organismo è fatta di segni ed è dunque rifratta e organizzata, formata, secondo il congegno di modellazione specifico della sua specie. Qui ci stiamo riferendo al macrorganismo ed è relativamente ad esso che parliamo di "realtà esterna". Ma è chiaro che potremmo parlare di "realtà esterna" anche rispetto alla cellula nell'ambito della comunicazione intercellulare e fra cellula e virus, comunicazione che dunque si svolge all'interno del macrorganismo, e potremmo dire che anche questa avviene nella zona di incontro fatta di segni fra microrganismo e "realtà esterna".

Il congegno di modellazione specifico di specie dell'uomo è il linguaggio.

Va detto subito che il linguaggio non è da confondere col parlare. Possiamo indicare tale confusione come la "fallacia del linguista", il linguista delle lingue, che dice "linguaggio" volendo dire "linguaggio verbale", cioè "parlare" (orale o scritto), e che usa l'espressione "linguistica generale" per riferirsi soltanto allo studio del linguaggio verbale e delle relative lingue.

Già nel comune parlare usiamo, in contrasto con la "fallacia del linguista", il termine linguaggio per riferirci anche a ciò che non è verbale, il "linguaggio gestuale", il "linguaggio dei sordomuti", il "linguaggio fotografico", il "linguaggio pittorico", il "linguaggio della moda", il "linguaggio delle merci", ecc. Il comune parlare, in questo caso dice come stanno le cose meglio dei linguisti.

Ogni comportamento segnico propriamente umano è linguaggio, non c'è semiosi propriamente umana che non sia linguaggio. Qui il propriamente umano è l'essere umano nella sua specificità di essere storico-sociale in quanto biologicamente dotato del congegno specifico di specie che stiamo chiamando appunto "linguaggio". Come organismo biologico l'essere umano condivide con altri organismi, compresi i microorganismi di cui è fatto o è portatore, processi comunicativi che non sono linguaggi. L'antroposemiosi non è solo fatta di linguaggi così come la semiosi umana non è solo quella semiotica cioè quella capace di metasemiosi. La sfera dei linguaggi e all'interno di essa quella della semiotica occupano uno spazio ben ristretto della complessiva antroposemiosi, che incorpora per altro parte della vitale endosemiosi (quella che si svolge nell'organismo umano permettendone lo sviluppo, il mantenimento e la riproduzione), e rientra nella zoosemiotica ed è coinvolta - coinvolgimento anche questo evidentemente vitale - nella complessiva comunicazione che si svolge al livello di intera semiobiosfera.

Con Ch. Morris potremmo dare all'espressione "linguistica generale", liberandola dalla "fallacia del linguista", il significato di disciplina che all'interno della semiotica e della antroposemiotica studia i processi segnici verbali e non verbali che sono linguaggi.

Tutti gli animali sono dotati di un congegno di modellazione specifico della specie; con esso costruiscono il loro mondo il quale fa da intercapedine fra organismo e realtà esterna ed è fatto di segni. Il congegno specifico umano, che è il linguaggio, ha la peculiarità di poter produrre un numero indeterminato di mondi, grazie alla sua caratteristica di realizzare costruzioni sintattiche, vale a dire in grado di avvalersi di un numero abbastanza finito di elementi. Questi stessi elementi possono essere reimpiegati in nuove costruzioni, sicché è indeterminato il numero di mondi che attarverso un lavoro di decostruzione e ricostruzione possono essere realizzati. Di questo congegno erano già dotati gli ominidi nella scala evolutiva fino all'homo sapiens sapiens prima ancora che, fra le diverse forme della loro comunicazione, si realizzasse e poi prevalesse il parlare, il linguaggio verbale. Quest'ultimo fa la sua comparsa per adattamento; come mezzo di comunicazione è inconcepibile se non sulla base della modellazione primaria del linguaggio e della sua procedura sintattica. Successivamente, per exattamento, il verbale subì nella storia evolutiva umana, un processo di interiorizzazione che, come materiale del pensiero, lo rese capace di agevolare e incrementare la modellazione primaria collaborando con essa come "modellazzione secondaria". La modellazione secondaria è relativa a una lingua determinata e all'ordine del discorso che è sua volta, oltre che con essa, collegato con una determinata organizzazione complessiva dei rapporti sociali.

Nell'essere umano l'essere comunicazione si realizza, come per gli altri animali, sulla base della costruzione del mondo del modello di modellazione specifico della specie. Però negli altri animali, finché la specie resta quella, salvo variazioni (non significative per il nostro discorso) di sottospecie e modificazioni per exattamento, si stabilisce fra modellazione e essere della comunicazione un rapporto di reciproca corrispondenza, di simmetria e saturazione. Invece per l'essere comunicazione umano il congegno di modellazione che l'ha prodotto, il linguaggio, con il suo funzionamento sintattico e con la sua capacità di decostruzione e ricostruzione e quindi di produzione di più mondi possibili, non si esaurisce in esso, non combacia con esso. Qui il particolare congegno di modellazione permette interpretazioni, valutazioni e risposte sull'essere della comunicazione che come tali richiedono un punto di vista esterno ad esso, un suo travalicamento.

Abbiamo chiamato "semiotica" questa capacità specificamente umana di meta-semiosi. Adesso possiamo aggiungere che essa dipende dallo specifico congegno di modellazione umano che abbiamo indicato come linguaggio. La sintassi, la decostruzione e ricostruzione, la produzione di più mondi possibili, la semiotica, con le conseguenti capacità di valutazione, responsabilizzazione, inventiva, progettazione, sono tutte prerogative del linguaggio. Nel linguaggio l'essere della comunicazione trova il proprio altrimenti. In quanto l'uomo è dotato di linguaggio, in quanto animale semiotico, il comportamento umano non è circoscrivibile nella comunicazione, nell'essere, nell'ontologia. In questo senso si manifesta capace di alterità. Al di la delle alternative previste nell'essere del mondo della comunicazione esso può presentarsi come altro è contrapporre possibilità altre. Non si tratta semplicemente della capacità di reperimento, rispetto all'essere, di possibilità di essere altrimenti, ma della capacità, propria dell'uomo, di altrimenti che essere, che è altrimenti dell'essere comunicazione, da cui dipendono le stesse possibilità di essere altrimenti. Questa capacità di animale semiotico di portarsi al di là dell'essere e del mondo della comunicazione lo rende assolutamente responsabile non solo della riproduzione sociale, ma anche, inscindibilmente da essa, della vita dell'intero pianeta. Essa gli toglie tutti gli alibi che avrebbe se le sue possibilità di interpretazione, di risposta, di azione fossero unicamente quelle previste dall'essere della comunicazione del mondo che ha costruito, se le sue scelte dovessero restare confinate fra le alternative di questo mondo e non fossero invece capaci, come sono, di alterità.

Torniamo adesso a considerare il rapporto comunicazione-ontologia nella forma attuale della comunicazione-produzione mondializzata. Mondializzata, abbiamo detto, non solo nel senso che si espande sull'intero pianeta, ma anche nel senso che è aderente, adeguata al mondo, a questo mondo, sicché comunicazione e realtà, comunicazione ed essere coincidono. È l'ontologia a cui deve attenersi il realismo della politica, fino all'accettazione dell' exstrema ratio della guerra secondo la ferrea legge della forza delle cose. Al perdurare dell'essere della comucazione-produzione è rivolta la progettazione dell'incremento della comunicazione e del suo controllo non solo sulla base della raggiunta consapevolezza del carattere produttivo della comunicazione e dunque dell'identificazione fra la comunicazione e l' essere stesso di questa fase della forma sociale di produzione capitalistica, ma anche della chiara individuazione del comando del capitale nel controllo della comunicazione. Questa progettazione è l'ideologia della comunicazione-produzione. Essa è talmente realistica, talmente aderente all'essere delle cose da presentarsi, sbandierando la lieta notizia della fine delle ideologie, più come la sua logica, che come la sua ideologia. Noi la indicheremo come l' "ideologia" della comunicazione-produzione mondializzata. Anzi l'ideologia funzionale alla conservazione di questa forma sociale particolare finisce, in buona e in cattiva fede, a far passare tale conservazione per quella della riproduzione sociale in generale, la quale al contrario, richiede, proprio per liberarsi di forme di organizzazione sociale che, come quella attuale, la ostacolano o la mettono in pericolo, la possibilità di evasione dall'essere-comunicazione prefissato e la reinvenzione e riorganizzazione dei rapporti sociali.

Il mantenimento dell'essere della comunicazione produzione ha un carattere distruttivo. La riproduzione dello stesso ciclo della produzione è distruttiva:

- di macchine che sostituisce con nuove macchine, non a causa dell'usura ma per le esigenze della competitività;

- di posti di lavoro per fare spazio all'automazione con il conseguente incremento della disoccupazione; di prodotti sul mercato sollecitando forme di consumismo completamente asservite alla riproduzione del ciclo produttivo;

- di prodotti precedenti che una volta già acquistati, esaurirebbero la domanda, tramite l'immissione di nuovi prodotti similari che li rendono immediatamente desueti;

- di merci e di mercati che non resistono nella competitività della comunicazione-produzione mondializzata

Il conatus essendi della comunicazione-produzione è distruttivo nei confronti di ambienti e forme di vita naturali, di economie diverse, di differenze culturali che l'omologazione del mercato azzera fino a rendere identici non solo i bisogni (senza però le stesse la possibilità di soddisfazione), le abitudini, ma anche i desideri e gli immaginari; nei confronti di tradizioni e saperi contrastanti o di impaccio o inutili rispetto alla logica dello sviluppo, della produttività e della competizione.

È distruttivo di forze produttive che non possono essere contenute entro i limiti dell'attuale forma di produzione, che mortifica soprattutto l'intelligenza, l'inventiva, la creatività con l'asservirle e renderle subalterne alla "ragion di mercato".

Il carattere distruttivo dell'attuale forma di produzione risulta anche dal fatto che essa produce aree sempre più ampie e sempre più diffuse di sottosviluppo come condizione dello sviluppo, zone di sfruttamento umano e di miseria fino all'impossibilità della sopravvivenza, con il conseguente fenomeno dilagante della migrazione che i paesi dello "sviluppo" non riescono a contenere per oggettivi limiti interni di accoglienza senz'altro superiori a quelli di altre forme e fasi di organizzazione sociale.

La comunicazione-produzione mondializzata è distruttiva anche perché è comunicazione-produzione di guerra. La guerra ha bisogno di sempre nuovi mercati di armi convenzionali e non, e di un consenso sempre più ampio e diffuso che la riconosca come giusta e necessaria, quale mezzo di difesa nei confronti del pericolo sempre maggiore rappresentato dall'"altro" e come mezzo per far valere i diritti della "propria identità", della "propria differenza". Identità e differenza che in effetti non è l' "altro" a minacciare o a distruggere ma questa forma sociale stessa che le incoraggia e promuove - benché le abbia rese ormai del tutto fittizie e fantasmatiche, ma proprio per questo ad esse ci si aggrappa parossisticamente; e ciò per la comunicazione-produzione della guerra va senz'altro bene.

Carattere distruttivo ha l'universalizzazione del mercato, cioè l'estensione a qualsiasi cosa o rapporto del carattere di merce, tanto più cara quanto più illecita e proibita: droga, organi umani, bambini, uteri, ecc. Carattere distruttivo ha già il principio dello sfruttamento del lavoro altrui, il quale quando è pagato a ore è tanto più capace di profitto quanto meno costoso: sempre più diffuso è il ricorso - facilitato dalla comunicazione mondializzata -, da parte dei paesi sviluppati, al lavoro a basso costo delle zone del sottosviluppo ("state dove siete, preferiamo venire noi a darvi lavoro"); e cosa che ancora di più mostra le vergogne del mondo della comunicazione-produzione è l'ampio impiego di bambini anche per lavori pesanti e pericolosi (ma tanto ci sarebbe da dire di ciò di cui oggi i bambini sono vittime nel sottosviluppo, nella miseria, nella guerra, nella strada, nella malattia, nel lavoro, nel mercato).

L'essere della comunicazione-produzione, la sua persistenza nel conservarsi e riprodursi mette in serio pericolo la riproduzione sociale e la ostacola impedendo il riorganizzarsi della comunicazione dell'essere storico-sociale umano in nuove forme:

- comunicazione-produzione versus riproduzione sociale.

La comunicazione-riproduzione esalta la comunicazione, la propria, a scapito dell'inventiva, dell'innovazione della ri-progettazione e ri-costuzione che il congegno di modellazione del linguaggio comporta come modalità specifiche dell'essere umano:

-comunicazione-produzione versus linguaggio (versus semiotica).

Inoltre la nuda esistenza dell'uomo, non solo quella di essere intelligente, la conservazione ed espansione delle sue facoltà intellettive, la sua capacità semiotica, ma anche quella di essere vivente, la semiosi vitale, la salute, la sopravvivenza, sono messe a repentaglio dalla riproduzione della comunicazione-produzione:

-comunicazione-produzione versus vita (semiosi) umana

La conservazione, rafforzamento ed espansione, ad ogni costo, della forma sociale della comunicazione produzione costituisce una letale minaccia per l'intera vita sul pianeta: buco dell'ozono, disastri ecologici dovuti al normale ciclo di riproduzione, e disastri eccezionali (fra i normali vanno inclusi quelli connessi con la comunicazione-produzione della guerra); distruzione nucleare e relativi esperimenti, ecc.:

-comunicazione-produzione versus l'essere comunicazione (semiosi) della intera vita sul pianeta.

La comunicazione-produzione data la sua pervasività finisce quasi con il combaciare con la comunicazione storico-sociale umana, o perlomeno a contenerla. Ci sono piccole isole di comunicazione che non sono sommerse dalla comunicazione-produzione, ma esse sono relegate nel "privato", fanno parte dell'ideologia non ufficiale e pertanto, come marginali rispetto all'ordine del discorso e all'ideologia della comunicazione dominante, non "fanno testo". Se continuano a sussistere è perché questa forma sociale, a differenza del sistema immaginato da Orwell in Millenovecentottantaquattro in cui sono proibite con la pena di morte, non ha portato alle estreme conseguenze le premesse su cui si basa. Procedendo in maniera flessibile e cercando quanto più è possibile di smussare, attutire e ottundere, la comunicazione-produzione e la sua ideologia prendono dentro, inglobano, le modalità marginali e non ufficiali della comunicazione, "il privato"; e se non le funzionalizzano del tutto alla propria riproduzione certamente le neutralizzano e le riducono al silenzio. Una forma di neutralizzazione è quella di sottoporre alla capacità di fare silenzio dei massmedia il "privato" rendendolo di dominio pubblico, "condominiale": ciò può essere osservato in molti programmi televisivi, ma è l'essenza stessa della televisionanizzazione dei rapporti ad andare in questa direzione. Orwell aveva immaginato, nel suo esperimento di Millenovecentottantaquattro, che la televisione non servisse solo per vedere ma per essere visti. In qualche maniera la comunicazione-produzione va in questa direzione, ma non facendo in modo che il privato possa essere spiato, ma incoraggiandolo a manifestarsi pubblicamente, senza pudore né oscenità, e a immetersi nel circuito della comunicazione ufficiale.

Questa quasi totale coincidenza nel mondo umano di comunicazione e comunicazione-produzione, per lo meno a livello di ideologia, di progettazione, comporta che il conatus essendi del soggetto, individuale e collettivo, l'affermazione e conferma dell'identità, individuale e collettiva, vengano a coincidere con il conatus essendi e con la conservazione e riproduzione di questa forma sociale. Si tratta infatti dei soggetti e delle identità prodotti da questa forma sociale. Abbiamo visto invece come questa forma sociale sia in contrasto fino a rivelarsi come esiziale nei confronti dell'essere, e dunque della comunicazione, non solo della vita umana ma della vita in generale.

Solo un comportamento dis-interessato verso l'alterità permette la fuoriuscita dall'essere della comunicazione produzione, di cui invece l'inter-esse dell'identità, fa parte. Alla responsabilità circoscritta e salvaguardata da alibi funzionali all'identità e ai suoi ruoli, l'apertura verso l'alterità sostituisce una responsabilità fuori ruolo, senza scappatoie, senza possibilità di delega, che coinvolge ed espone in maniera totale. Abbiamo detto che la comunicazione è un movimento di interiorizzazione, di ritorno, di autoaffermazione, che la comunicazione va intesa non come estroversione, ma come introversione. L'alterità è il fuori della comunicazione, l'altrimenti dell' essere. Il movimento senza ritorno, anche nel senso di senza guadagno, verso l'alterità è meta-semiosico, è semiotico. Ed è il propriamente umano. Il linguaggio che rende il comportamento umano non circoscrivibile nella comunicazione, nell'essere, nell'ontologia, non chiuso nel contesto delle alternative previste nell'essere del mondo della comunicazione, implica la responsabilità come dover rispondere, all'altro, non solo di sé in quanto io, ma anche dell'altro. Che nel linguaggio l'essere della comunicazione trovi il proprio altrimenti significa che il linguaggio è per altro: Sicché il disperatamente non voler perdere l'essere se stesso della comunicazione (conatus essendi ; la fedeltà alla comunicazione che è infedeltà essenziale nei confronti dell'altro) risulta soppiantabile nel disperatamente non voler perdere l'altrimenti dell'essere se stesso della comunicazione, nel disperatamente non voler perdere l'altro, l'altro di sé e da sé.

 

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