"Il travestimento" ovvero della poetica teatrale di Edoardo Sanguineti
Di Pesce Maria Dolores
Nei primi anni sessanta Edoardo Sanguineti era al culmine di una esperienza lirica innovativa che, anche sulla base delle intuizioni gozzaniane (la poetica delle piccole cose versus l'aulica e ridondante autoreferenza della poetica dannunziana), si caratterizzava per una indubbia iconoclastia, per la smania di smascherare l'alienazione e la prosaicità (sociale e sociologica, letteraria e umana) della parola e dunque dell'uomo che la pronuncia.
Era, secondo Fabio Gambaro, "un discorso di radicale contestazione e di sublimazione della tradizione lirica e del suo sistema retorico - linguistico, cui per altro rispondeva il sabotaggio sistematico della comunicazione quotidiana alienata e automatizzata".[ F. Gambaro, Invito a conoscere la neoavanguardia, Mursia; 1993, pag. 168]
Il poeta percepisce "uno stato di crisi irrimediabile" e ritiene i linguaggi "inservibili per ogni tipo di comunicazione". [F.Gambaro, ibidem, pag.169]
Ne trae peraltro una forte preoccupazione, in quanto non può non cogliere l'intima contraddizione di un'opera creativa basata su una parola in cui si è smarrita, è venuta meno la capacità di comunicare.
E' uno di quei momenti in cui la poesia riflette su se stessa, in cui il poeta affronta "decisioni radicali senza le quali, pur tra perplessità e incertezze alle origini, uno si dà in quanto poeta". [L. Anceschi, Gli specchi della poesia, Einaudi, 1989, pag. 45]
"Non a caso tutta la sua successiva attività sarà caratterizzata da una duplice preoccupazione: da un lato, egli provvederà a spiegare, difendere e motivare l'inevitabilità di tale scelta oltranzistica; dall'altro però cercherà ad ogni costo di uscire dal vicolo cieco dell'afasia cui tale scelta radicale inesorabilmente lo sospingeva". [F.Gambaro, ibidem, pag. 168]
E' a questo punto che Sanguineti, un poeta, incontra il teatro. La sua parola cambia luogo.
La prima sperimentazione teatrale di Sanguineti data il 1962 ed è una pièce , la prima e forse l'unica che conserva un impianto "tradizionale".
E' un teatro in cui la parola conserva, almeno nella sua accezione più tradizionale, una posizione centrale nel suo essere struttura di un dialogo che è (apparentemente) referente di significati e discorsi, e non solo e non prevalentemente nella sua materia.
Il titolo della pièce è K. Trattasi di un dialogo tra due personaggi non ambiguamente definiti in un interno praghese, con nome riferito dalla sola iniziale, K, appunto e J.
Tra K e J (iniziali di Franz Kafka e Gustav Janouch) si articola un dialogo con una ancora forte connotazione naturalistica che è traccia su cui si sviluppa una sorta di seduta psicoanalitica, un progressivo palesarsi, quasi un inverarsi delle strutture dell'inconscio.
L'ambiente, come detto apparentemente tradizionale, è un interno, una sala da caffè, ma proprio la scelta del tempo dell'azione, credo, sia di per sé significativa. La notte accentua la caratterizzazione di vuoto, che Sanguineti cerca e vede nella scena.
L'accavallarsi di tensioni intratestuali sembra però forzare il testo in "una messa in scena ostentatamente logorroica che designa, per paradosso, la precarietà della parola nel teatro moderno. Quel flusso ininterrotto di parole, quel continuum linguistico finisce per significare soltanto se stesso, il proprio prolificare vertiginoso su un vuoto." [Gabriella Sica, Edoardo Sanguineti, Il Castoro n. 89, La Nuova Italia, Firenze,1974, pag. 78]
Ecco che il teatro si scopre, innanzi tutto, come luogo ideale per esplicitare il vuoto attorno alla parola, il vuoto in cui precipita la parola .
Ancora con incertezza, eppure il teatro comincia ad apparire come il luogo in cui la parola può ritrovare forza significante, che pare però provenire non dal suo interno ma dall'esterno, dalla sua periferia, in cui il significato è riportato alla parola, al testo offerto alla rappresentazione, da coloro che la incontrano (pubblico, registi, attori, musicisti, critici, ecc. ecc. ..).
Si intravede una sorta di rito laico che è insieme, e qui nella prima opera ancora prevalentemente per le chiare sfumature psicoanalitiche, estrinsecazione di significati interiori sul supporto delle parole in scena, e ricerca collettiva di un senso in qualche modo unificante ( la parola che può ricominciare ad avere un valore di comunicazione ).
Il teatro, inteso come luogo fisico della scena e come luogo letterario, è sperimentato, per la prima volta, come fulcro di una ricerca, il tentativo di un recupero di senso del discorso.
E già dal secondo testo drammaturgico Sanguineti accentua questo passaggio.
In effetti "Passaggio" è un vero e proprio libretto in cui la parola è utilizzata non nel suo significato discorsivo ma di supporto, è oggetto della messa in scena e la musica ne amplifica le potenzialità.
Qui l'ambientazione, la scena tradizionale ( che definisce convenzionalmente luoghi e tempi dell'azione estrinsecamente dal testo ) è del tutto abolita. Il vuoto della scena sarà riempito e strutturato solo attraverso lo sviluppo dell'opera drammaturgica, attraverso il dispiegarsi, il recitare stesso della parola.
E' l'opera stessa che dispiega intrinsecamente un percorso, che da logico diventa fisico sul supporto delle parole che materialmente riempiono mano mano la scena.
Interessante come Sanguineti stesso riepiloghi non solo nel titolo, ma anche in una specie di mappa che apre l'edizione della pièce 6) ( il libretto ), la struttura di percorso propria di questo lavoro.
Più esplicita in "Passaggio" è, inoltre, la "presenza di più piani linguistici sovrapposti (tipica della poesia sanguinetiana) che si esprime in un canto prossimo al parlato ritmico, in una inarrestabile polifonia verbale - musicale, in un cantilenare ossessivo salmodiante, interrotto da situazioni foniche rabbiosamente traumatiche, sarcastiche fino alla frantumazione della parola nello schiamazzo e nel ghigno, all'interruzione della continuità semantica nel mistilinguismo." [Gabriella Sica, ibidem, pag. 81]
E' proprio l'introduzione e il sempre più accentuato sfruttamento del mistilinguismo, con l'inserto di espressioni, fino ad intere frasi e dialoghi, in altre lingue vive e o morte, che evidenzia il processo di recupero del teatro di parola che Sanguineti, tenta con la sua drammaturgia.
In effetti nel Novecento, il secolo del cinema, il teatro sulla spinta delle esperienze surrealiste era andato sempre più accentuando la sua natura di teatro di immagine.
" La fiducia nella parola nel teatro moderno, da Artaud alle esperienze della avanguardia moderna, si è venuta progressivamente indebolendo: il testo non è più l'elemento unificante del contesto , ma uno dei pretesti per la messa in scena teatrale" [Gabriella Sica, ibidem, pag. 82]
E Sanguineti conduce, per salvare la parola, una operazione paradossale di estremizzazione che attraverso la progressiva privazione di senso, di significanza della parola, ne recupera il valore di suono quale supporto, quasi materiale, a un rinnovato significato da ritrovare nella sua rappresentazione. Sanguineti sembra voler usare la parola come immagine sonora.
"Traumdeutung" del 1964 è uno dei passaggi più significativi di questo processo .
"In Sanguineti l'affermazione della parola teatrale avviene ormai per via esclusivamente negativa fino all'estremo limite in cui svuotata di ogni spessore gnoseologico, si riduce a pura articolazione sonora esclusivamente recuperata in funzione strumentale".[Gabriella Sica, ibidem, pag. 82]
Dice Sanguineti stesso in una nota di commento al testo, pubblicato nel 1965 sulla rivista "Il Menabò":
" Legato all'idea di un teatro di parola, e perciò nemico di ogni didascalia (e amico di un linguaggio che suscita e decide, da solo, lo spazio teatrale, e la scena, e il gesto) dovevo, prima o poi, scrivere una cosa come "Traumdeutung", che porta questa idea al limite, e per tanto, ovviamente, la rovescia. Ecco, di conseguenza, uno psicodramma, mimato da voci trattate strumentalmente, e alle quali è negata ogni possibilità di dialogo. Il germe del tutto, si capisce, era in "K"(1959), e l'indispensabile mediazione in "Passaggio"(1961-1962). E' naturale che , pubblicandolo, io voglia allora dedicare questo quartetto a Luciano Berio." [Edoardo Sanguineti, in Teatro, Feltrinelli, Milano, 1978, pag. 52]
In effetti in questo "Psjchodrama fur vier Chore", successivamente musicato da Vinko Globokar, proprio con questo titolo, l'effetto di annullamento del senso discorsivo del linguaggio è accentuato , anzi enfatizzato dall'alternanza dissociativa delle voci protagoniste, ciascuna delle quali prosegue un suo discorso all'apparenza coerente, ma in modo così frammentato e interrotto da disperderne del tutto il senso e il significato, riducendolo in sostanza a puro suono a musicalità.
In "Traumdeutung" la deflagrazione del reale consentita dalla dissociazione del discorso e dalla dispersione delle parole, dà spazio a un onirismo come dipinto da una tavolozza di suoni.
Il vuoto dello spazio teatrale è lo spazio deputato per questa operazione dissociativa, il precipizio ove le esperienze dei soggetti trovano nuova base e nuovo significato.
Sembra così realizzarsi la premessa iniziale di Sanguineti per la quale il linguaggio dovrebbe "suscitare e decidere, da solo lo spazio teatrale, e la scena, e il gesto." [Gabriella Sica, ibidem, pag. 83]
Lo spazio è dunque costituito, all'interno del testo, attraverso l'immagine sonora che, riempiendo il vuoto della scena, ne costruisce i confini e la struttura.
In "Protocolli" le voci recitanti da quattro, come in "Traumdeutung", diventano sei ( due femminili, due maschili e due bianche ),ma ribadiscono la stessa struttura alternata, in cui l'incastro delle sei esperienze esclude ogni dialogo e ogni dialettica.
La reiterazione dei ritmi dei linguaggi delle espressioni già proprie di "K" diventa in "Protocolli" dimensione fonica, in cui "il testo diventa esibizione di sonorità incongrue rumore e, infine, afasia. Sanguineti non poteva che, inevitabilmente, rinchiudersi in questa estrema e paradossale risorsa: un teatro di parole per incontrare il silenzio" [Gabriella Sica, ibidem, pag. 83] Ma non un silenzio muto perché l'approdo del percorso poetico di Sanguineti al teatro, ha, secondo me, una sua precisa motivazione.
E' la scelta di un luogo deputato (forse anche come il teatro tragico greco) dove la parola può riprendere un ruolo di portatrice di senso e di significati.
Il teatro è un luogo dove alla parola è riconosciuto il valore di arte, e la parola divenuta materiale diretto della messa in scena, acquista uno spessore su cui si riversano i valori, le tensioni, i segni dell'intero contesto.
Finalmente Storie Naturali, che ebbe solo posteriore e tardiva rappresentazione, che in un certo senso realizza l'estremizzazione della parabola di materializzazione, meglio di cosificazione della parola, in un ' ipotesi di letteratura essenziale che Angelo Guglielmi definisce la letteratura del risparmio. [Angelo Guglielmi, La Letteratura del risparmio, Bompiani, Milano, 1973]
E' la rinunzia ad ogni valenza aulica o mitica, utopica, del linguaggio, che si attesta a un livello organico, alla fisiologia, da cui il titolo.
Nel vuoto della scena "il linguaggio disarticolato delle storie naturali non è che un gesto, un movimento che, attraversando uno spazio vuoto, si carica di spessore fonetico, di peso " [Gabriella Sica, ibidem, pag., 86] è come detto la corporizzazione del linguaggio che il dialogo stesso attesta:
<< Quello che importa, davvero, sono le parole >>
<< E sai che cosa sono le parole ? Ma sono come delle mani >> [Edoardo Sanguineti, Storie Naturali, Da Gabriella Sica, cit., pag. 86]
E più oltre:
<< Una donna che dice: Io- per esempio- Quella sa che dice la sua pancia, prima di tutto, e le sue mammelle, i suoi polpacci, il suo palato >>.[Edoardo Sanguineti, Storie Naturali, Da Gabriella Sica, cit., pag. 86]
La povertà di senso deve dunque trovare un suo recupero nella funzione della rappresentazione, trovare una sua articolazione significativa nel teatro.
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Il rapporto di Sanguineti con il teatro, peraltro, si è andato nel frattempo arricchendo di un nuovo significativo apporto, quello delle traduzioni, ove Sanguineti può mescolare la cura dell'analisi filologica della parola allo spazio di creatività che il passaggio da una lingua, viva o morta che sia, ad un'altra gli consente.
Dice Sanguineti, e vale, mi pare, riportare intero, e con la dovuta evidenza, il suo pensiero, in una nota introduttiva alla sua traduzione delle "Troiane" di Euripide:
<< Anche questa mia prova di traduzione, come l'altro esperimento euripideo delle "Baccanti", e poi quello senechiano della "Fedra", nasce da una precisa occasione scenica: nel caso, da una proposta di Giusto Monaco, per l'Istituto Nazionale del Dramma Antico, in vista della realizzazione teatrale di Siracusa, nel giugno di quest'anno (ndr 1974), per la regia di Giuseppe Di Martino. I criteri adottati nella versione sono quelli già seguiti, essenzialmente, per gli altri classici; ma per questo "terrore e miseria nella caduta di Troia", il problema specifico era rappresentato da una più intensa necessità oggettiva di collaborazione onde evitare ogni possibile "effetto intimidatorio". Apparentemente, nulla di più facile, per questa che è forse la meno aristotelica fra le tragedie greche a noi pervenute; in realtà, nulla di più arduo della realizzazione di una testualità "epica" in questo dramma che è "epopea rovesciata" e che passa a contrappelo, con il mito stesso, ogni sua possibilità di articolazione teatrale. E allora, a proposito di Benjamin conviene ancora ricordare, per questa poesia che tende al lamento - e vi si soglie, ed è puro lamento, al limite - che in questo è da riconoscere " l'espressione più indifferenziata, impotente della lingua, che contiene quasi solo il fiato sensibile ". Nel corpo degli attori si misura così, secondo l'arco della peripezia, la transizione dalla parola al fiato: al silenzio. >> [Euripide, Le Troiane, trad. E. Sanguineti, Einaudi, Torino, 1964, nota del Traduttore]
Due punti mi preme sottolineare, il lavoro come esito di una occasione e la sottolineatura dell'impotenza della lingua, accompagnata nella sua transizione al silenzio.
In Sanguineti dunque la traduzione dei classici non sembra essere puro lavoro filologico o letterario ma conseguenza dell'esigenza di un trasferimento sulla scena, della metamorfosizzazione del discorso in fatto di spettacolo.
E' un lavoro quindi, come lui stesso me lo ha definito, di drammaturgia, che punta e ricerca la dicibilità del verso, la corporeità della parola come immagine di suono.
Se infatti la parola è stata progressivamente denudata fino a perdere intrinseca significanza, divenendo quindi materia e non risultato della creazione poetica, quale materia migliore della parola degli antichi, dei classici, per la sua messa in scena.
Comincia a emergere, dall'insieme di queste esperienze creative nell'ambito teatrale, la consapevolezza, o meglio l'esplicitazione di una consapevolezza, che le parole esistono, non sono mai nostre.
Il poeta ne è innanzitutto il demiurgo, e quale miglior demiurgo del drammaturgo che le parole rappresenta e mette in scena.
Ciò risulta ancora più significativo laddove lo stesso Sanguineti sottolinea la intenzionalità di pedissequa trasposizione dei classici che lo animerebbe. Lui stesso definisce questa modalità come "traduzione a calco".
E proprio di fronte a questa intenzionalità che emerge con più chiarezza l'impossibilità di trasferirne, anzi di rappresentarne il senso se non nella modalità del " travestimento ".
Ecco dunque apparire nella consapevolezza di Sanguineti una modalità nuova, o meglio una parola che dice in maniera più chiara l'intenzionalità creativa della rivisitazione del teatro da parte del poeta.
Travestire è l'unica forma di mantenimento del vero e sta nel modo, nella modalità, di sopportare (portare sopra) i significati.
Lo stesso Sanguineti afferma in un'intervista ad Andrea Liberovici in calce all'edizione in asSaggi Bompiani (1998) delle loro prime due collaborazioni "Rap" e "Sonetto" :
<< ..., quando traducevo in maniera molto scrupolosa dai classici greci, li " travestivo ", perché tradurre è già una forma di travestimento .>> [E. Sanguineti e A. Liberovici, Il mio amore è come una febbre e mi rovescio, Bompiani, Milano, pag. 114]
Tradurre quindi non è atto di semplice trasposizione da una lingua ad un'altra, ed anche se vi è un'intenzione nel poeta che lui stesso chiama scaramantica, di tradurre a " calco ", la stessa materia (la parola) si trasforma, cioè si traveste assumendo forma poetica nuova e libera.
Tradurre è lavorare la materia e prepararla per il contesto nuovo della rappresentazione, IL TEATRO, luogo della riapertura al significato perduto o abolito dalla banalità corrente.
La prima traduzione di Edoardo Sanguineti per il teatro data il 1968.
Trattasi de Le Baccanti di Euripide rappresentate nello stesso anno per il Teatro Stabile di Genova con la regia di Luigi Squarzina.
Per quanto ovvio lavorare con i testi classici impone un approccio assai particolare ai significati .
Il teatro moderno certamente non sarà come il teatro classico ma compito di Sanguineti traduttore è ricondurre, preservandone anzi liberandone il senso intrinseco, il verso classico al contesto drammaturgico moderno.
Lì si offrirà all'interpretazione, alla associazione, al carico di valori che il moderno spettatore apporterà.
In effetti, in rapporto alla tragedia classica vi sono rimandi, suggestioni cui probabilmente Sanguineti non ha potuto, e voluto, sottrarsi :
- il fenomeno della catarsi, come guarigione attraverso l'apprendimento del proprio sé, e dunque quello del demiurgo/drammaturgo;
- l'ipotesi nietzschiana della nascita della tragedia, e quindi del teatro in genere, come prosecuzione in scena dei riti dionisiaci, o propiziatori in generale;
- il teatro, infine, come luogo in cui, anche a prescindere dalle strutturazioni aristoteliche, questi eventi trovano ordine e dunque significato.
Riecheggiano, in questa intrapresa, intenzionalità artaudiane laddove "il teatro non è rappresentazione o azione ma evento. Si offre come un nuovo "piano di proiezione materiale e reale" sul quale una disposizione mentale singolare incontra la "vita", le imprime una configurazione inedita e produce un effetto di senso nuovo..In tal modo si ritrova, nel cuore del teatro, la poetica della traslazione, dell'effrazione e della rottura propria della poesia" [C. Dumouliè, Antonin Artaud, pagg. 46/47, Costa & Nolan, Genova-Milano, 1998]
Tali suggestioni sono in Sanguineti sia intrinsecamente che in rapporto al committente, cioè a colui che la tragedia tradotta (travestita) mette in scena.
Vi è una volontà non di semplice riproposizione, ma di vera rivisitazione del processo e dell'effetto del teatro classico.
" Un testo, l'ho detto mille volte, e lo ripeto ancora, è un test. Ogni opera, da quel lato lì, è aperta, apertissima, spalancata. Le associazioni libere che suscita sono di piena responsabilità, e di totale godimento, del lettore associante, che se le coltiva come gli pare, come può, e come merita. "[E. Sanguineti, Scribilli, Saggi Feltrinelli, Milano, 1985, pag. 160]
Mi sembra pertanto sintomatico, alla luce del ragionamento che si sta sviluppando, che la traduzione delle Baccanti, nonché della Fedra per il Teatro Stabile di Roma con la regia proprio di Luca Ronconi, sia più o meno contestuale allo Orlando Furioso, in quanto, come ho detto, io penso che il lavoro di traduzione costituisca, ad integrazione e supporto di scrittura teatrale autonoma, un momento essenziale di passaggio a quella fase successiva che si è, poi, chiamata dei TRAVESTIMENTI.
In effetti, cito sempre Sanguineti nella nota di cui sopra, " il teatro è citazione di testi, in uno spazio concreto, in un tempo immediato, in voci e in corpi . Compito del traduttore è dunque ai miei occhi , essenzialmente, procurare parole teatralmente citabili: la fedeltà, e anche, per me, una buona dose di superstizione filologica (ndr scaramantica), devono intervenire in questa operazione, e in questa direzione, secondo questa intenzione. "[Seneca, Fedra, trad. di E. Sanguineti, Einaudi, Torino, 1968, nota del traduttore]
La destinazione di luogo, di contesto, cioè il teatro, impone dunque un lavoro di ripulitura, una ricerca del senso intrinseco ultimo della parola, in quanto in questa si ritrova la forza di rappresentazione (la agibilità) del testo.
La ricerca della nudità della parola, quale espressione della sua più estrema, ma forse irraggiungibile, significatività, che è propria, mi sembra, del Sanguineti lirico, si trasforma nella ricerca di essenzialità della struttura drammatica dei tragici greci, per renderla immediatamente rappresentabile e quindi presente nel teatro come materia della scena.
Dunque come sto cercando di esplicitare si consolida de facto l'idea che la parola (lirica, drammatica, ordinaria, artistica), nella visione di Sanguineti, sia soprattutto e comunque finalizzata ad essere detta, e di conseguenza sia naturalmente portata alla rappresentazione teatrale, ne sia la materia principe, il principale attore.
Si va sviluppando così quel percorso alla fine del quale la parola, sia nella sua accezione lirica , che in quella di testo complesso e articolato, storicamente determinato, si travestirà (nel senso di vestire direttamente i panni dell'attore) per rappresentare il suo senso compiuto, nel modo più autentico (forse addirittura l'unico) e nel luogo deputato, cioè nella rappresentazione teatrale.
Seguiranno dal 1974 altre traduzioni : Le troiane di Euripide, testo che consente un impianto dialogico mutuato da Traumdeutung e Protocolli; Le Coefore da Eschilo; un'incursione nella commedia con La festa delle donne da Aristofane; Edipo Tiranno da Sofocle , rappresentata dall'Ater per la regia di Benno Besson, ed infine la recente I sette contro Tebe da Eschilo.
Ne risulta così sperimentato e approfondito l'effetto scenico del suono, della parola cioè ridotta alla sua materialità sonora, che si fa, però, portatrice di senso, di senso artistico che rinasce dal luogo e dal contesto.
La parola, nelle traduzioni Sanguinetiane, è liberata da ogni incrostazione e ridondanza aulica, da ogni rigidità accademica e alienata, ed è proposta nuda nel contesto della rappresentazione per riassumere, ricevere, sostenere, qui e ora e insieme, senso e significato.
Al riguardo mi sia consentita una apparente digressione inerente Edipo tiranno.
Mi sembra importante sottolineare che la stessa traduzione del titolo è già una scelta, un atto di interpretazione, anzi di scavo.
Al posto del consueto re Sanguineti sceglie la parola tiranno, che è letteralmente più aderente al titolo sofocleo ed insieme, anzi quindi, per quanto detto in precedenza, fornisce la chiave di lettura che riapre a novità la intera rappresentazione.
Chiave di lettura che è ricalcata sulla impostazione mitica (il passaggio da una società matriarcale ad una patriarcale) del primo tragico greco, e contestualmente la trasferisce in un contesto di riferimenti psicoanalitici (il conflitto tra l'irrazionale femminile armonicamente legato alle forze primigenie dell'universo e razionale maschile che infrange il legame con la madre terra) che la rendono contemporanea, in una adesione, per questo immediata, da parte dello spettatore moderno.
In questa traduzione la sostanza materiale della parola, la sua autonomia rispetto a strutture referenti, si fa più accentuata poiché " è un linguaggio in cui i personaggi più che parlare, sono parlati, e sono parlati dall'oracolo ".[Rita Cirio, Diletto e castigo a teatro, Bompiani, Milano, 1983, pag. 181]
Così il dialogo " è spezzato dal ritmo di un tamburo, la costruzione della frase frantumata dalle virgole, la sintassi enfiata da colti anacoluti. "[Rita Cirio, Diletto e castigo a teatro, Bompiani, Milano, 1983, pag. 181]
E, quasi scandalosamente, la traduzione filologicamente ineccepibile apre spiragli alla trama fitta del dialogo in forma quasi parodistica, come con quel " piedone " un po' brutale con cui viene chiamato il protagonista. Spiragli e strappi che, senza allontanarsi dal testo originale, avvicinano l'ordito linguistico e l'oggetto della rappresentazione al contemporaneo spettatore.
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A questo punto del discorso si rende necessario rispetto alla trama logica del ragionamento fin qui sviluppato uno strappo temporale, un ritorno all'indietro.
Nel 1969, dunque, viene rappresentata per la prima volta a Spoleto quella che si ritiene l'opera più conosciuta di Sanguineti: l'Orlando Furioso nato dalla collaborazione con Luca Ronconi.
Come definire l'opera, fu allora difficile . Riduzione? Adattamento? Trascrizione?
Certamente, forse per la prima volta in maniera compiuta, Sanguineti applicava ad un testo classico la tecnica scombinatoria da lui stesso elaborata per la propria personale creazione lirica:
<< La struttura del testo dell'Ariosto infatti, viene frantumata e smembrata (utilizzata come pre - testo) e ricomposta non in base ad un movimento ascendente, che prevede al culmine una risoluzione o conclusione ma, piuttosto, attraverso una disposizione paritaria, non privilegiata, dei frammenti su una superficie...>> [Gabriella sica, citato, pag. 84]
Queste parole indicano, forse per la prima volta, il primo dei due aspetti, essendo il secondo il fine della rappresentazione, della tecnica che Sanguineti stesso definirà del Travestimento e che mi sembra costituisca il nucleo centrale della sua poetica teatrale .
Nei paragrafi precedenti in effetti ho cercato di seguire la parabola artistica di Sanguineti a partire dagli esordi nell'avanguardia lirica.
Ciò che mi è sembrato di scorgervi sin qui, è stata una immediata consapevolezza, direi una
presa d'atto, della perdita di senso ( "artistico" ) della parola.
Perdita che credo sia, innanzitutto e prima che culturale, un dato sociologico in quanto la parola, il discorso si sono a partire dall'Ottocento progressivamente economicizzati, nel senso che ha teso a prevalere uno sfruttamento convenzionale..
In essa appare perso ogni referente mitico e sempre più esclusivamente prevalente un suo uso strumentale, "pratico".
La reazione a questa emergente consapevolezza è la tendenza ad una estremizzazione della materialità della parola, l'accentuazione e il suo utilizzo nel suo valore di suono.
L'esito quasi inevitabile di questo processo sembrerebbe essere il silenzio (della parola poetica - del discorso - dell'arte).
Ma di fronte a questo esito emerge anche una esigenza, che Sanguineti stesso definisce legata alla volontà di non vedersi ristretto in un unico genere.
Da questa esigenza nasce anche una scoperta, la scoperta di un nuovo contesto, del cambiamento non dentro la parola, ma del luogo in cui si manifesta, agisce.
Il contesto che comincia a manifestarsi è il teatro, cioè il luogo della rappresentazione.
Al silenzio della parola corrisponde il vuoto della scena, che diventa il luogo in cui recuperare un senso al suono e riproporlo come discorso che trae il suo significato di arte dal contesto in cui viene proposto.
La parola diventa dunque il vero attore, la materia base della rappresentazione.
Dunque Travestimento, inteso come trasferimento nell'utilizzo e nel lavoro sulla parola di una qualità specifica dell'attore e traslativamente del teatro, "giacché chi sta in scena sta comunque per un altro, è in maschera, e questo luogo finge un altro , e questo tempo simula un diverso allora." [E. Sanguineti, Commedia dell'Inferno, Costa & Nolan, Genova, 1989, pag. 86 notizia]
La parola si traveste in quanto si fa teatro ed il contesto (teatro) è datore di significato, fa arte.
Dice Sanguineti:
<< Ma travestimento è categoria che incide, e questo adesso importa soprattutto ove intervenga un materiale verbale, nella trasformazione che subisce il testo, facendosi voce e gesto corporeo, straniandosi in azione. Il teatro di parola è travestimento di parola.>> [Idem]
Quale significato può trarsi da questo procedimento?
Io credo si tratti di un consapevole progetto: sottrarre il testo alla rigidità delle consuetudini (come il poeta Novissimo liberava le parole dalle fissità abitudinarie ), ripristinando una circolazione di significati man mano perduta nel tempo.
Per farlo, in questo momento della sua evoluzione poetica, Sanguineti non produce oggetti propri ma utilizza manufatti altrui, manipolandoli.
La modalità di attuazione di questo progetto, mi sembra, però si debba accompagnare anche con l'individuazione di un nuovo datore di significati, di un contesto.
Per Sanguineti il travestimento non può che avere un fine: la rappresentazione, la messa in scena.
In effetti la rottura del tempo dell'azione, la modifica della sua scansione in una espansione orizzontale (contemporaneità degli eventi), riapre alla interpretazione il significato dell'azione stessa.
Ma ciò necessita di un luogo adeguato che a questo progetto dia status e riconoscibilità.
Dice Sanguineti nella prefazione alla edizione dell'Orlando Furioso a cura di Giuseppe Bertolucci:
" . Ma certo una delle cose che mi hanno attratto, non la sola, era di preparare un testo che non esiste se non nell'atto della rappresentazione scenica." [Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, riduzione di E. Sanguineti, Bulzoni, Roma, 1970, premessa pag. 13]
La scombinazione dell'azione, riaprendo i giochi, necessita di una ricomposizione in un luogo o in più luoghi, così come la scombinazione dei significati, la riapertura della parola ad una polisignificatività può ricomporsi in nuovi significati nello spettatore e nel lettore.
E' come una partitura musicale " del tutto prevedibile (in quanto frutto di un progetto consapevole) ma mai preconosciuta, precalcolata ma mai preascoltata." [Idem, premessa pag. 13]
Con la poetica del travestimento l'oggetto della produzione artistica è semplicemente fatto, cioè programmato, per la rappresentazione.
Lo stesso regista Luca Ronconi utilizza questi termini per definire l'approccio registico a questo Ariosto travestito.
Essenziale diventa dunque il rapporto con il pubblico, cioè il riconoscimento della specificità artistica del travestimento.
Il pubblico deve partecipare al gioco. " Lo spettacolo- dice Ronconi - va vissuto non certo visto e giudicato." [Idem, premessa pag. 15]
Il significato è dunque completato, in un certo senso apportato e definitivamente confermato dal pubblico.
Nel travestimento sanguinetiano il consapevole operare dell'artista trova la sua conferma nella attività del destinatario, del pubblico.
Nell'opera d'arte nata dal travestimento trovano, dunque, la loro esplicitazione queste due intenzioni, queste due attività ( dell'artista e del pubblico), in quanto le realizzano contestualmente nel processo della rappresentazione.
Riprendo in proposito ancora la conversazione in premessa alla citata edizione dell'Orlando Furioso :
" Il tradurre in simultaneità di tempo quel suo romper le fila e riprenderle non fa che evidenziare l'artificio tecnico su cui il poema è costruito. E d'altra parte questo corrisponde anche alla tipica lettura del lettore; benché per necessità pratiche si operi una selezione, l'effetto che l'opera produce su chi legge è questo, il gioco, la perdita, il recupero continuo dei piani della storia." [Idem, premessa pag. 17]
Dunque scomposizione, frazionamento, destrutturazione, che già Sanguineti aveva sperimentato nell'ordito delle sue liriche con le sue proprie (le nostre) parole, conducono ad una riapertura del discorso che è disvelamento di senso.
Questo disvelamento si completa nella rappresentazione attraverso l'intenzione del pubblico, ma anche ovviamente nella lettura con l'intenzione del lettore, ovvero, nella non produzione, nella intenzione del poeta.
Il lavoro è definito Azione - testo e le azioni si rincorrono rapidamente da un luogo all'altro, da un tempo all'altro, da un personaggio all'altro.
Difficile ridire, qui, la dinamica della messa in scena, mi basti citare, per mia personale preferenza alcuni passaggi della ariostesca pazzia di Orlando: [Idem, pag. 83]
Orlando ...Qui " Angelica e Medor " con cento nodi
Legati insieme, e in cento lochi vedo.
Quante lettere son, tanti son chiodi
Con che, per gli occhi, il mio cuore mi fiedo.
Vo col pensier cercando in mille modi
Non creder quel ch'al mio dispetto credo:
ma quel che vedo a credere mi sforza
che il suo nome abbia scritto in questa scorza.
Ecco perché Sanguineti, secondo me, asserisce che:
" Si potrebbe dire a questo punto che se l'Ariosto è il poeta dell'ironia il risultato teatrale dovrebbe essere un teatro dell'ironia . E il desiderio che si può avere è che lo spettatore sia capace di ironia; non di ironia nei confronti del testo ariostesco, ma di quella particolare ironia che l'Ariosto provoca ed esige. "[Idem, premessa pag. 22]
L'Orlando Furioso mi sembra dunque sia un atto di consapevole progettualità, di intenzionalità poetica e di poetica da parte di Sanguineti, certo non estraneo al suo essere poeta, ma di questo in un certo senso passaggio e mutamento.
In effetti nella già citata conversazione questa consapevolezza è da Sanguineti esposta quasi in forma di manifesto programmatico:
" Posto che la cosa funzioni potrebbe essere la prima volta in cui il mito della partecipazione dello spettatore si realizza; nel senso cioè, di concedere al pubblico non tanto una possibilità di scelta che è poi alla fin dei conti preordinata, prestabilita, quanto i motivi di una scelta assolutamente personale e responsabile; come dire, insomma, da un coinvolgimento per democrazia rappresentativa (in cui si chiama in causa un pubblico già selezionato) a una vera partecipazione assembleare di adesione dal basso e secondo ragioni che ognuno viene maturando e riconoscendo dentro di sé." [Idem, premessa, pag. 23]
Il penetrare nella poetica ariostesca è dunque, come nelle traduzioni, non esercizio filologico, ma attività progettuale, è poetica attiva: è creare aprendo a nuovi apporti e significati un'opera attraverso la sua destrutturazione.
Il progetto, l'intenzionalità poetica si invera anche nel confronto con il mondo dell'arte riconosciuta e non solo con il mondo dell'esperienza.
Di ciò pare accorgersi anche Elio Pagliarani nel suo commento a l' Orlando Furioso sanguinetiano :
" . Così anche il lavoro di riduzione e trasposizione di Sanguineti, nel più rigoroso rispetto di Ariosto (e dunque non c'è nemmeno il sospetto di una <<demistificazione >> dell'Orlando, poiché Sanguineti sa benissimo che sarebbe risultata insensata) di cui viene svolto in dialoghi, in prima persona, ove occorreva, il discorso poetico, risulta sanguinetiano e pacatamente di avanguardia, per l'aura onirica che lo pervade, come si è detto, e per la trasformazione della polifonia ariostesca in contemporaneità di piani. "[Idem, premessa, pag. 23]
Dopo l'Orlando Furioso passano quindici anni, fino al 1985, prima della uscita del secondo travestimento: Faust. Un travestimento da Goethe.
In questo caso il " travestimento ", direttamente associato nel titolo dell'opera, si dota di intenzionalità ancor più chiara, quasi esplicitamente programmatica.
Scrive infatti Sanguineti, in proposito, nella notizia a corredo della edizione Costa & Nolan:
" Per questo tipo di operazione (ndr Goethe ripassato a contrappelo), in un momento in cui mi pare accettabile, e forse desiderabile, che gli uomini di lettere aspirino a rifarsi autori, e a tentare di inventarsi una missione teatrale, credo che la categoria giusta sia quella del travestimento , eccellente parola barocca , purché depurata da ogni esclusiva inclinazione verso l'orizzonte del burlesco e del parodico, e restituita immediatamente a quella dimensione scenica dalla quale appare affatto inseparabile". [E. Sanguineti, Faust un travestimento, Costa & Nolan, Genova, 1985, pagg. 67/68]
Scopo dell'operazione offrire moduli aperti, sottrarre il testo alla cristallizzazione, spalancarlo a nuovi significati e nuove interpretazioni.
Offrirlo come occasione per una riscoperta (o scoperta?) del mondo, di una visione del mondo, di un essere nel mondo suo (del poeta) e nostro (di uomini di teatro e di spettatori).
Occasione, inoltre, per una sua risignificazione (ovvero significazione?) che è, da ultimo, lo scopo dell'attività di artista.
Le modalità usate, e certamente ormai con molto forti radici, sono quelle della scomposizione del dialogo, della riduzione della parola ad un suo (supposto?) minimo denominatore, che ha nella intuizione gozzaniana (le piccole cose) il suo iniziale e lontano quadro di riferimento..
Nello specifico il modello mentale, il paradigma di riferimento è costituito dal teatro delle marionette tedesco (puppenspiel), come per l'Orlando era il teatro di piazza rinascimentale.
Il modello mentale è il progetto poetico intorno al quale si plasma la rivisitazione dell'opera e la sua ristrutturazione in direzione del fine della rappresentazione.
Scrive ancora Sanguineti nella citata notizia:
" Quello che mi stava a cuore, in breve, era offrire agli attori, anzi alla maschera, un copione disponibile a soluzioni interpretative mai cristallizzabili in una qualche unità, e nemmeno continuità, tonale, anzi perpetuamente variegato vario e variato e variabile, non soltanto ad ogni scena e ad ogni parola, all'interno di ogni battuta. Proprio come in Goethe , non appena si è restituito alla ribalta." [Idem, notizia pag. 68]
Dunque il compito del poeta è destrutturare (il linguaggio, le realtà cristallizzate, le pigrizie critiche e ideologiche e demagogiche), ma alla fine del percorso, mi pare, vi è un luogo di ricomposizione che è lo spettacolo, in teatro, ma anche nel porsi del prodotto dell'attività artistica (l'opera d'arte) in un contesto di fruizione.
Il teatro comunque, la scena, rimangono, in questa intenzionalità poetica, la più pregnante modalità di significazione, il luogo più immediatamente percepito per segnalare e specificare la funzionalità artistica del testo.
Tornando al Faust, in questo lavoro l'adesione al testo si accompagna, dunque, ad un'opera di ridefinizione del senso del linguaggio con le modalità di cui ho detto.
Interessante il seguente dialogo tra Faust e Greta : [Idem, pag. 61]
Faust
Mi blocca un blocco cardiaco: ci avevo perduto l'abitudine:
sarà la pietà, qua, dell'umanità, che mi assalirà.
Ci sta lei, qui, dietro questo muro umidiccio:
e il suo delittuccio è stato un desideriuccio!
E tu, sei tardo, tu, a entrarci?
E tu, ci hai la paura, a rivedertela?
Avanti, il tuo svenirci le accelera il morirci.
Greta
La mamma mia, sgualdrina,
quella mi ha assassinato.
Il papà mio, brigante,
quello mi ha masticato.
Mia sorella, piccina,
mi ha ricomposto le ossa,
dentro una fresca fossa-
e adesso, sai chi sono?
Un grazioso uccelletto
Vola su, nel boschetto!
Vola su, vola via!
L'effetto è paradossale e, forse, anche inatteso, in quanto, in questo gioco del travestimento che oscilla " fra il serio e il beffardo, fra l'antico e il moderno, la citazione chiaramente riconoscibile e il dubbio ma questo in Goethe c'è o non c'è?, si scopre che in Goethe c'erano delle cose che tradotte anche in maniera molto letterale sembravano assolutamente scritte da me (ndr Sanguineti). Se uno non era un buon conoscitore di Goethe, talvolta avrebbe detto : questo l'ha infilato Sanguineti." [E. Sanguineti e A. Liberovici, Il mio amore..., citato, pag. 114]
Quattro anni dopo, Dante ritorna nell'esperienza di Sanguineti, quando Federico Tiezzi gli propone quello che lui stesso definisce " esercizio di realizzazione drammatica della prima cantica dantesca ".[E. Sanguineti, Commedia dell'Inferno, cit. notizia pagg. 87/88]
La poetica del travestimento si scontra/incontra con l'apparecchio letterario più intimidatorio di cui disponga la nostra poesia.
Compito dall'apparenza immane, ma che, per Sanguineti, ha la sua soluzione già nel testo stesso.
Commedia, titola la sua opera Dante e dunque la sua dimensione drammatica risulta già implicitamente accettata, ed il suo svolgimento, la sua concreta praticabilità diventa per Sanguineti la esplicitazione del suo significato.
L'escamotage nasce innanzi tutto dalla trasformazione del narratore in attore, che dice la commedia verso il suo esterno, verso il pubblico in sala.
Dunque, ancora una volta, pensare il testo, non per ciò che Sanguineti chiama generi di letteratura muta, ma perché sia detto.
Il metodo operativo, inoltre, è, ancora, ottenere un effetto di spaesamento, attraverso la riduzione, la essenzializzazione delle espressioni, sottratte e denegate ad ogni aulicità, e dei dialoghi, ed, insieme, lo spezzettamento del processo della narrazione in un montaggio libero ricco di silenzi e di vuoti destinati ad essere riempiti attraverso la recitazione.
Per accentuarne l'effetto Sanguineti utilizza in maniera massiccia innesti verbali, di stili e lingue differenti che, appunto, enfatizzano lo slittamento dei significati e la loro liberazione.
Si tratta dunque di una sfida accettata proprio per la sua manifesta impossibilità e che, sia detto come annotazione aneddotica, impressiona lo stesso promotore/committente.
Quando il progetto viene spiegato interamente, Tiezzi, nella introduzione alla Commedia dell'inferno, racconta :
<< Balzai all'indietro sulla sedia. Sanguineti guardava e sorrideva un po' mefistofelico. Avevo in mente per l'Inferno di Dante una immaginazione di diavoli e dannati, fuoco e acque tormentose, nudi attori e vento: un catalogo un po' da mille e una notte (così è per me l'intera Commedia). Sapevo che tutta questa sistina di bellurie teatrali si sarebbe rappresa nella sintesi di spazio - tempo - voce che, ahimè, avrei dato allo spettacolo: ma, insomma, togliere il tutto..quasi un affronto a Dante..Sanguineti, invece, con la sua proposta mi aveva riportato nell'ambito della esperienza poetica come esperienza verbale: e, poi, in quella transverbale che spettatori di teatro avrebbero fatto di Dante .>> [Idem, introduzione pag. 7]
Il Travestimento punta dunque ad esplicitare, accentuandola fino ad estremizzarla, la divaricazione tra il poema sacro (chiuso e inaccessibile nei suoi valori predefiniti) e la sua praticabilità scenica che è definizione di significati nella rappresentazione.
E' il linguaggio stesso che deraglia da radicate e pigre ripetizioni e, mantenendo il ritmo dantesco, si sporca di termini correnti e si innerva con innesti linguistici che hanno lo scopo insieme di risvegliare e sottolineare i passaggi.
Ad esempio nel famoso episodio di Paolo e Francesca si alternano dialoghi nel più puro idioma dantesco: [Idem, pagg. 31/32]
Francesca
O animal grazioso e benigno,
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno.
con quelli in latino e francese medioevale degli altoparlanti narratori
Altoparlante 1
Digitur autem amor ab amo verbo, quod significat capere vel capi:nam qui amat,captus est cupidinis vinculis aliumque desiderat suo capere hamo..
Altoparlante 2
Quant Lanceloz voit la reine
Qui a la fenestre s' acline,
qui de grose fers estoit ferrèe,
d' un dolz salu l' a saluèe.
Come detto l'uso di lingue diverse vuole avere un effetto di sottolineatura di sensi, quasi una ancora più esplicita evidenziazione della materialità della parola, che accompagna e supporta significati diversi con tonalità diverse.
Quindi un effetto non di esibizione filologica, ma (come del resto nelle traduzioni) intrinsecamente scenico e dunque, dal punto di vista dell'intenzionalità poetica, molto significativo.
Non solo, ma contribuisce a moltiplicare l'effetto di sezionamento e rimontaggio, in termini con suggestioni anche cinematografiche, dell'opera.
Dice infatti Sanguineti, nella notizia a corredo dell'edizione Costa & Nolan:
" Dunque. una sorta di selezione naturale degli episodi, che procede sulla base della inclinazione intrinseca al dettato dell'Inferno, e costruisce, pressoché spontaneamente una sequenza di scene , di stazioni....Su questa traccia, era dunque lecito giocare di sovrapposizione e di incrocio, contraendo, e facendo reagire l'uno sopra l'altro, segmenti contigui ma distinti, sovrapponendo quanto stava in successione, in grumi e nodi d'azione...
In questo processo elaborativo, hanno potuto trovare innesto materiali diversi, che vanno dal Boccaccio espositore al Benvenuto commentatore, da Andrea Cappellano a Chretièn de Troyes, da Giacomo da Lentini alla Vita nuova, sino a Pound, impiegato ovviamente in relazione al motivo fondante dell'usura, ma proiettato, non a caso, su Gerione, per motivazioni non meno ideologiche che strutturali." [Idem, notizia pagg. 87/88]
Se, allora, nei primi due travestimenti si ricercava un modello senso univoco, un referente della finalità di rappresentazione (il teatro di piazza nel primo e il puppenspiel nel secondo), con Dante si accentuano le sovrapposizioni anche attraverso un evidente sincretismo di stili, situazioni o luoghi teatrali.
L'incontro di una matura intenzionalità poetica con un'opera geometrica come la Divina Commedia produce un oggetto teatrale a più facce.
L'esplicitazione del significato del discorso attraverso la sua rappresentazione (il racconto del racconto) con la Commedia diventa giocoforza illustrazione.
Lo ribadisce lo stesso Sanguineti quando nella citata notizia scrive:
" . teatralizzare Dante, occorre dirlo con assoluta tranquillità, significa entrare in gara con gli illustratori della Commedia. traspositori del racconto in termini visivi, poiché teatro e spettacolo sono come in etimo, in primissima istanza, discorso rivolto allo sguardo."[Idem, notizia pag. 88]
Discorso appunto fatto materia di rappresentazione.
" .quella politica dell'immagine che è nelle proposte esecutive per un Dante fatto visibile e praticabile, in termini che, fedeli alle radici delle sue invenzioni, le rendano immediatamente agibili agli attori, trasparenti agli spettatori attuali, mirando a una evidenza quotidiana e concreta." [Idem]
Teatro dell'immagine certo, ma, in tutta evidenza, nel modo in cui lo intende Sanguineti, cioè spazio riempito materialmente dalla parola lavorata come suono. Sanguineti parla, appunto, di materia prima verbale. [Idem]
Il progetto di poetica è, dunque, con questa opera assai esplicito, laddove il lavorare la materia arte (di parola) è il modo di costruire un oggetto di nuova fruizione, in grado di esplicitare rinnovandoli i sensi e le valenze di un progetto antico, e, insieme, di mobilitare nuove istanze e nuove ricerche di senso.
Il poeta non si rassegna ad aver perso la parola sensata e significante nel silenzio di questo tempo sordo ed economicista, e la vuole recuperare, rinnovare, lavorandola direttamente, quasi materialmente, appunto come materia prima, per creare nuovi discorsi.
Ne è consapevole Federico Tiezzi quando scrive: " Da Dante sappiamo che la scaturigine del disegno è Dio; da Sanguineti invece apprendiamo che è il poeta, con le sue parole, con la sua esperienza guerriera delle parole, l'artefice e il carnefice del corpo (dell'attore). E si fa attore a sua volta il poeta, per dire ai personaggi di Dante: lasciatemi bere il vostro sangue, perché io possa vaticinare. Che sia questo l'ultimo compito dell'esperienza verbale? Del poeta? Sanguineti si rivolge a Dante plurilinguista e pluristilista in un modo affine a quello con cui si è rivolto (in altro travestimento) a Goethe. Credo che in lui si ridefinisca quella frase di Eliot che dice: - il significato del poeta d'oggi, la sua validità è la validità del suo rapporto con i poeti morti".[Idem, introduzione pag. 14]
Dunque Sanguineti introduce, come un bisturi, il suo progetto nell'opera dell'Alighieri, scaglia la sua forma mentis, il suo paradigma nel mondo della COMMEDIA e il risultato è un oggetto d'arte, un'opera da far raccontare.
E' una visuale del mondo che trova la sua completezza nell'essere rappresentata, perché aperta al contributo dello spettatore, è la parola in scena.
Tutto ciò Sanguineti lo chiama TRAVESTIMENTO.
D'altra parte questa appare essere più una modalità, una intenzionalità compiutamente poetica, piuttosto che una tecnica, e che lo sia mi sembra dimostrato dal fatto che, comunque, debba essere attivata da una circostanza creativa, e non meccanicamente applicabile a qualsivoglia occasione. Circostanza creativa che lo stesso Sanguineti indica, nell'intervista che a fine lavoro riporto, nella finalità e destinazione alla rappresentazione, quindi, in un certo senso, in una concreta e definita, anche nei tempi e nei modi, committenza.
In effetti solo dopo otto anni dal Dante travestito, e cioè nel 1997, Sanguineti si ripropone come travestitore, questa volta di un altro grande classico non italiano : William Shakespeare.
Il ritorno sulla scena di Sanguineti è il frutto dell'incontro con il giovane musicista e regista genovese Andrea Liberovici, che in prima battuta porta alla realizzazione di RAP, opera mista parole - musica, un vero e proprio libretto musicale ovvero una partitura di parole.
Voglio qui parlare, invece del secondo lavoro comune, di "SONETTO un travestimento shakespeariano" , spettacolo commissionato dal Teatro Carlo Felice di Genova e rappresentato in prima nazionale all'Auditorium dello stesso teatro nel febbraio, appunto, del 1997.
Questa recente pièce costituisce, a mio avviso, un ulteriore passo nel cammino dei travestimenti, in quanto ha per oggetto della sua rielaborazione un prodotto tipicamente lirico, forse lirico per eccellenza, quale il Sonetto.
Rappresentare un sonetto è quindi una sfida ulteriore poiché si tratta di destrutturare un linguaggio chiuso e armonico, con uno sviluppo affettivo ed intellettuale modulato, metaforicamente assimilabile alla pittura.
In questo caso l'intervento di Sanguineti pare consistere nell'interrompere la modalità armonica del sonetto shakespeariano, ampliando ed allargando l'orizzonte con innesti di proprie liriche, in modo da ricostruire un percorso logico-sentimentale, sulla base della dissociazione del processo lirico assunto dalle opere del poeta inglese.
Interruzione che è anche dissociazione, e reiterazione quasi ossessiva[E. Sanguineti A. Liberovici, Sonetto un travestimento shakesperiano, in Il mio amore..cit., pagg. 47/48/49]:
VOCE 2:
e, avendo te io mi vanto di ogni umano pregio
infelice in questo, soltanto
che tu mi puoi togliere, tutto questo, via
e farmi, così,
il più infelice
VOCE 1:
infelice in questo, soltanto
che tu mi puoi togliere, tutto questo, via
e farmi, così,
il più infelice
CORO :
tu allora che
tu allora che
illumini le ombre, ombra, illumini le ombre
ombra..
Sogno, sogno, sogno
VOCE 1 :
quando più li chiudo, allora vedono al meglio, i
miei occhi,
poiché tutto il giorno essi vedono cose indegne;
ma quando io dormo, nei sogni essi
ti guardano
CORO :
sogno, sogno, sogno
sogno, sogno, sogno
VOCE 1 :
tu allora che con la tua ombra
CORO :
illumini le ombre, ombra
VOCE 1 :
quando i sogni ti mostrano a me
CORO :
illumini le ombre, ombra
VOCE 1 :
tu allora che con la tua ombra
CORO :
illumini le ombre, ombra
VOCE 1 :
quando i sogni ti mostrano a me
CORO :
illumini le ombre, ombra
illumini le ombre, ombra
Ciò che si fa ancora più esplicita in questa opera teatrale è la consapevolezza della libertà riconquistata al testo travestito, libertà interna che è libertà dell'utilizzatore e del fruitore a ricostruire una sua propria significatività, in rapporto con la rappresentazione.
Dice infatti Sanguineti, nel corso di un colloquio con Liberovici :
<< Però mi pareva giusta una divisione di responsabilità anche perché la realizzazione più scrupolosamente fedele alle supposte o interpretate intenzioni dell'autore è pur sempre arbitraria. Allora tanto vale che il regista faccia il lavoro suo e secondo me è brutto imporre dei limiti. Io faccio il mio lavoro, produco testi, lui fa il suo, mette in scena e mi pare che abbia diritto ad un suo spazio di libertà. >> [E. Sanguineti A. Liberovici, Il mio amore..cit., pag. 111]
Viene poi ancor più accentuato il processo di montaggio, conseguente e successivo a quello di destrutturazione, processo di montaggio che però, almeno nel suo aspetto logico concettuale, pare assumere ora una valenza quasi prevalente sul primo, soprattutto rispetto agli accenti posti nelle prime opere di Travestimento.
La finalità ribadita, comune a tutte le opere nate da questo processo, è, però, sempre la ricerca di significato, la sua riappropriazione, o definizione, in un contesto, in un luogo datore di senso.
Uso, per meglio sottolinearla, le parole di Sanguineti stesso :
<< In casi come questi dove il testo è un montaggio di testi, penso sia molto utile appunto questa che allora si chiamava sceneggiatura dedotta dal montaggio. Un testo dedotto dal montaggio che è stato fatto dai testi. E dirò per la millesima volta, come sai, che quello che è essenziale è il montaggio per cui anche parole che hanno una loro struttura semanticamente forte, una volta montate in maniera diversa sono altre parole. >> [Idem, pag. 119]
E in precedenza :
<< Io voglio fare, se ci riesco, arte realistica al massimo, e realistico è l'opposto del naturalismo, non l'imitazione della cosa ma la sua struttura. La formula che mi è più cara è realismo allegorico >>[Idem, pag. 117]
Dunque destrutturare e disincrostare (fino alla ossificazione), per rendere libero il discorso e, insieme, disponibile, attraverso la sua rappresentazione, alla riappropriazione di significati e, da ultimo, di verità (nel senso capacità di rappresentare pensieri e affetti in adesione, per quanto possibile, piena).
Questi mi sembrano i termini della poetica sanguinetiana del Travestimento, quali, nella presentazione e nei commenti a SONETTO, credo emergano con inedita chiarezza e consapevolezza teorica.
Il fare, come impariamo da Anceschi, ha determinato nel poeta una riflessione, che si è fatta man mano consapevole, fino a divenire disponibile ad una elaborazione, anche al di là del concreto risultato del suo fare.
Ricordo quanto appunto Anceschi ha scritto:
<< ..anche se acquista (ndr la consapevolezza dell'arte) una particolare acutezza nell'avanguardia dove talora il progetto si identifica con l'opera e talora la sopravvanza>>.[Luciano Anceschi, citato, pag. 42]
Ultimo, in ordine di tempo, travestimento è MACBETH REMIX, nato ancora dalla collaborazione con Liberovici e che, dopo l'esordio a Spoleto lo scorso anno, quest'anno è stato rappresentato a Brescia nell'aprile scorso, essendo poi replicato al Teatro della Corte di Genova alla fine dello stesso mese.
Ancora Shakespeare, dunque, ma stavolta l'intenzionalità pare avere di fronte a sé un compito insieme più facile e più difficile, perché stavolta l'opera da travestire non è un romanzo, oppure un poema o, come quello immediatamente precedente, un testo lirico, stavolta è un testo drammatico, quindi già nato per il teatro.
Con quest'ultimo lavoro la poetica del travestimento assume, dunque, una, se si vuole, ancora maggiore autonomia rispetto all'oggetto della sua applicazione, risultando non solo, come del resto non era implicitamente neppure nei casi precedenti, riscrittura per la rappresentazione ma, e qui non c'è spazio per equivoci, riapertura di senso e significato attraverso la destrutturazione in funzione (non solo per) della rappresentazione, che ancor più assume il ruolo di modalità di significazione (il luogo della).
In questo travestimento, inoltre, appaiono emergere interamente i rapporti con i fattori e le funzioni che, come ho cercato di evidenziare nel corso di questo mio lavoro, hanno man mano costruito la relativa omonima poetica : il fare poesia, il tradurre, il rapportarsi alla musicalità della parola ridotta ai minimi termini e quindi alla musica tout-court.
In particolare, qui lo Shakespeare tradotto è mescolato con estratti del libretto dell'opera verdiana, scritto da Francesco Maria Piave, e questa contaminazione, accompagnata da ovvi e diretti richiami a transfert musicali opportunamente rielaborati dal regista, è la chiave dello spaesamento, della destrutturazione del testo, da offrire alla libera, ma contestuale e collettivamente convenzionale, attività di significazione.
E' chiaro al riguardo il commento dello stesso Sanguineti, nella presentazione dell'opera :
<< Anche in questo caso, si procede ad una traduzione, piuttosto rigorosa, direi, della tragedia archetipica, o meglio di una serie di episodi e di lacerti, selezionati in progetto da Andrea (ndr Liberovici), della quale ho deliberatamente rispettato, fatta eccezione per minime addizioni o minimi tagli, le scelte e, all'occasione, il piacere di conservare frammenti del testo originale.>> [E. Sanguineti, nota in pieghevole a Macbeth Remix]
Inoltre Sanguineti cita la "provocatoria congiunzione tra quell'ingegnoso barbaro e quel melodrammatico adattatore" da cui Liberovici "ha cavato quel profitto musicale che me ne attendevo". [Idem]
In effetti, per restare od entrare un po' nella attualità, quest'ultimo spettacolo ha una sonorità fortemente visiva, immaginifica, al cui interno gli inserti drammatici shakespeariani, lavorati e montati con casualità solo apparente, appaiono come scogli in un mare ribollente su cui aggrappare brandelli di significati dispersi, quasi naufraghi, ed ancorare così un processo ricostruttivo di senso, ove il coinvolgimento dello spettatore è richiamato, quasi aspirato, da un vortice, dal precipizio della scena che si apre alla nostra attività, finalmente al nostro pensiero.
Ma soprattutto, e voglio concludere non con le parole mie ma con quelle di Sanguineti, MACBETH REMIX diventa l'occasione per una dichiarazione, sintetica ma infine esplicita, di poetica :
<< Allargare al massimo l'orizzonte dei linguaggi, puntare sopra frizioni e choc, speculare sopra accoppiamenti di forme e di toni assolutamente non giudiziosi, è per me esercizio antico e preciso progetto di poetica. Il teatro, che è appunto, per eccellenza "travestimento", mi pare che invochi siffatte manipolazioni, in vista di una piena sregolatezza inventiva. E questo vale per la parola, per il suono, per l'immagine, per il gesto,>> [Idem]
Abbiamo visto nei paragrafi precedenti la modalità con cui Sanguineti scompone i testi da destinare alla rappresentazione mediante I Travestimenti.
Abbiamo inoltre visto come la scenografia tenda ad accentuare il
vuoto intorno al testo recitato e all'azione scenica.
E' un processo che vede, a partire da "K", la scena
tradizionale progressivamente abolita.
E' il recitare stesso della parola, il suo dispiegarsi, che dà struttura
alla scena.
E' in sostanza il correlato scenografico della parola intesa e manipolata
come materia.
Il percorso dell'opera, il suo evolversi, da logico diventa fisico
sul supporto delle parole che materialmente riempiono man mano la
scena.
Ricordiamo qui come, al riguardo si è definito Sanguineti stesso : " Legato all'idea di un teatro di parola e perciò nemico di ogni didascalia (e amico di un linguaggio che suscita e decide, da solo, lo spazio teatrale, e la scena, e il gesto).". [E. Sanguineti, in Teatro, cit., pag. 52]
Talora, in questo vuoto, è predisposta una struttura formale, che è soprattutto un aiuto per lo spettatore, un indicatore di ruolo, come i quattro leggii posti di fronte a loro, sul proscenio in "Traumdeutung ".
Addirittura in " Protocolli" dove le voci recitanti diventano sei, la scena diventa talmente intrinseca al testo, da essere del tutto presupposta: il luogo è lo spazio costruito attraverso il tempo della parola.
Pertanto in un teatro ove la materialità della parola, la sua fonesi, la sua natura di suono, assume una così rilevante importanza nel percorso drammaturgico, nel recupero di senso che Sanguineti ricerca attraverso i travestimenti, era naturale l'incontro ed il profondo mescolarsi con la musica.
Sanguineti, certamente, ha un rapporto personale profondo con la musica, una specie di filo rosso, che va dall'esperienza familiare dell'infanzia fino a quella di letterato e uomo di teatro.
Però Sanguineti non è un musicista, bensì offre i suoi testi, eventualmente anche alla musica.
Se il rapporto dei suoi testi con il teatro è cogente, quello con la musica è estrinseco alla sua elaborazione, gli può appartenere solo come confronto sul campo.
In effetti, a mio avviso, la musica ha la funzione di quei reagenti chimici che devono, attraverso il contatto, evidenziare la presenza in un composto di questa o di quella determinata sostanza. Più di una cartina tornasole, un elemento che deve far emergere, che deve rendere più facilmente esplicabile, che deve supportare, come una eco o come l'ala di un uccello, il processo di significazione realizzato attraverso la rappresentazione.
La musica dunque, io credo, vissuta come elemento della scena, vero rafforzamento della parola materializzata nella rappresentazione, più che come elemento diretto della creazione poetica di Sanguineti.
Il rapporto con la musica è dunque più un rapporto con un utilizzatore della sua opera, con un elemento del processo di significazione cui, in libertà, Sanguineti affida il prodotto della propria attività creativa .
Dice in proposito Sanguineti:
<<Nella maggior parte degli altri casi si tratta invece di utilizzazione di testi preesistenti, qui allora il discorso è un po' analogo, io scrivo le mie cose e va bene, dopodiché mi pare giusto che chi la mette in musica ne faccia un uso libero, anche perché i modi di mettere in musica sono molti. >>[E. Sanguineti A. Liberovici, Il mio amore..., cit., pag. 111]
E più oltre citando Globokar:
<< Se il pubblico non capisce una certa frase, non importa, questa ha agito sul musicista e il musicista se ne fa mediatore, se non del contenuto logico, del contenuto emotivo che naturalmente è vissuto. >>[Idem, pag. 112]
Prendiamo ad esempio Passaggio, nato dalla collaborazione con Luciano Berio, musicista anch'esso di frontiera.
Qui il rapporto con la musica è eminentemente di contrappunto. Il dialogo, in questa opera ha una sua rotta intrinseca, ma è come se navigasse nel mare della musica che, nelle onde che suscita al suo passaggio, ne amplifica i movimenti le risonanze, le corrispondenze.
" I tre agenti dello spazio teatrale, la donna e i due cori, si costruiscono delle zone vuote, all'interno delle quali la parola percorre avventure autonome, ma strutturalmente identiche: avventure nel caos linguistico per profanare un caos ideologico ." [Gabriella Sica, cit., pag. 80]
Proprio nell'ambito di un contrappunto sonoro, mi pare che qui, il plurilinguismo cominci ad assumere, oltre ed insieme alla funzione di spaesamento e destrutturazione, un ruolo di variazione tonale che quasi suggerisce alla musica.
Ne è esempio il preludio, coro B, della stazione 1 (introitus): [E. Sanguineti, Passaggio, in Teatro, cit., pag. 28]
ma adesso; ( ma come resistendo
widerstehend );
ma in silenzio
still
stillence ( adesso ); e poi; ssst!
Cest-à-dire
Adesso: zitti!
Das heisst:
come conservando (that is: saving, of course, saving:
cioè,
prestando ):
(achtung ) ma
( achtung ) ordine ( cioè )
( voilà: chacun à sa place )
( natur lich )
silenzio ( ssst ):
si capisce:
si capisce:
In quest'opera emerge infine anche una capacità, sul modello della tragedia classica, di catarsi nel senso che, nel vuoto della scena, musica e parole hanno come un effetto pneumatico in cui si riversano sensi e significati, in un procedimento che, da ultimo, " mira al recupero di una consapevolezza civile, ideologica "[Gabriella Sica, cit., pag. 81]
Ha così ben sintetizzato Gabriella Sica : "Sanguineti parte dunque dal trattamento della parola come strumento sonoro, musicale al quale è stata negata ogni possibilità di significazione semantica: le quattro voci si sviluppano sulla base di singoli spartiti che non presentano tra loro punti di contatto né contaminazioni." [Gabriella Sica, cit., pag. 81]
In sostanza il testo assorbe al suo interno tonalità e sonorità musicali, da libretto per musica come ancora era Passaggio, diventa vera e propria partitura di parole, uno spartito.
Possono così verificarsi, e in effetti si verificano, continui passaggi e contaminazioni, tra opere destinate al teatro e poi musicate, come Traumdeutung, o rivisitazioni da parte di Sanguineti stesso di sue opere letterarie da destinare alla esplorazione musicale, come Laborintus II o Carrousel, o il più recente Rap.
Vi è , sempre urgente, in queste sperimentazioni, l'esigenza di rappresentare, di mostrare, di portare in scena la materialità dei suoni. Scrive infatti in anni successivi, Sanguineti su Carrousel allestito a Zagabria:
" Musica per gli occhi ...Se c'è una ragione primaria, negli interessi ultimi dei compositori ultimi, che sposano l'esplicita spettacolarità preromantica della musica alle più vulgate esperienze folcloriche, è precisamente questa attenzione estrema alla teatralità intrinseca di ogni prestazione musicale possibile. "[E. Sanguineti, Giornalino Secondo 1973/75, Einaudi, Torino, 1979, pagg. 223-224]
Ed alla fine, il significato rinasce, si costruisce nel contesto:
" Musica per gli occhi, sì. Ma tutto dipende dal punto di vista, che si può assumere qui in palestra, passeggiando variamente. Come dal punto d'ascolto dipende la percezione fatalmente selettiva del Carrousel, globalmente inassimilabile per ragioni strutturali di base. Fatevelo da soli, il vostro Carrousel, visivamente come acusticamente, aleatoriamente. Anche mediante gli aeroplanini lirici, volendo, in collaborazione spettacolare, i quali continuano a planare, instancabili, bianco pencolanti. "[Idem, pag. 225]
Anche in questo campo, comunque l'esperienza creativa dei travestimenti, produce delle novità opera dei cambiamenti che sono l'evoluzione dell'approccio e del rapporto con la musica.
Ne scrive Sanguineti nella prefazione all'edizione di Rap in fuoriTHEMA:
" Nella tipologia dei rapporti di collaborazione fra poesia e musica ci sono due polarità fondamentali: da un lato c'è il caso di uno scrittore che, senza pensare assolutamente alla musica, scrive un testo, che un musicista utilizza, perché lo giudica adoperabile ai suoi fini espressivi, stimolato altre che dall'aspetto tematico, dall'aspetto della organizzazione linguistica; dall'altro lato esiste invece il caso di una collaborazione che nasce perché il musicista chiede ad un autore un testo che sia appositamente scritto; poi ci sono i casi intermedi, in cui l'autore propone dei materiali che ha già elaborato e che il musicista sceglie liberamente. Il mio lavoro sul rap con Andrea Liberovici appartiene a questa sorta di terza via. "[E. Sanguineti, Rap, FuoriThema, Bologna, 1996, prefazione pag. 51]
Vi è in questo lavoro una forte consapevolezza, anche perché giunge al termine di una complessa elaborazione, che ha visto Sanguineti, a partire dai suoi scritti originali, confrontarsi insieme con le traduzioni, la musica, fino ai travestimenti.
E' una consapevolezza anzi tutto di procedura espressiva, ma anche di riferimenti contenutistici e di finalità ,sia significativa che ideologica: una specie dunque di glossario.
Mi sembra dunque utile, a riguardo, utilizzare le stesse considerazioni di Sanguineti sempre dalla citata premessa:
" .che il rap fosse prima di tutto una tecnica evidentemente ritmica e musicale, ma anche una tecnica del discorso verbale un modo paradossale per recitar cantando, in cui l'importanza del testo è molto forte e permette di utilizzare anche dei comportamenti che non abbiano una preordinata struttura ritmica, ma che si costruiscono attraverso giochi verbali. Io ho fatto uso, almeno in molti dei miei testi, dell'allitterazione, della rima ribattuta e questo si prestava bene ad essere trasformato in rap, con poche modifiche di replica, di iterazione, di variazione. "[Idem, prefazione pag. 6]
Dunque per Sanguineti " anche la scrittura letteraria e il lavoro sulla parola potrebbero trovare in questa sorta di ibridazione una spinta ulteriore per rompere con il poetese in senso negativo, cioè il gergo lirico, la selezione verbale verso realtà superiori dotate di aura, e stimolare maggiormente ad un impiego poetico del linguaggio quotidiano di tutto quello che è il mondo della prosa moderna, della tecnologia, delle feconde mescolanze di lingue diverse. "[Idem, prefazione pag. 7]
Interessante a questo proposito riferire delle riflessioni che ho raccolto durante un colloquio con Andrea Liberovici, il musicista che ha collaborato con Sanguineti in Rap, e nei successivi Sonetto e Machbeth remix.
Per prima cosa Liberovici ha confermato che la base della sua collaborazione con Sanguineti nasce da un comune approccio al suono, che l'uno ha in quanto musicista, l'altro in quanto poeta.
In effetti, dalla seconda metà degli anni sessanta, Sanguineti lavora con la parola nel suo aspetto di suono per la sua, ricercata e accettata, progressiva perdita di senso.
Dice Liberovici che a suo modo di vedere, la poesia di Sanguineti suona, va messa in bocca, come in altro luogo ho scritto, va detta. La parola cosificata rivela giochi e rimandi ritmici e di sonorità, ridotta a suono diventa enorme.
La scelta di Macbeth come ulteriore collaborazione nasce appunto, secondo Liberovici, dalla considerazione che lo stesso Shakespeare ha enfatizzato, attraverso le didascalie, la funzione drammatica dei suoni, a integrazione del senso delle parole.
In secondo luogo è emersa la considerazione, come sopra esplicitata da Sanguineti stesso, che il teatro deve essere sintesi di diverse discipline e che la musica, a questo riguardo offre una inesauribile capacità di unificazione.
Interessante notare, da ultimo, che il lavoro di collaborazione ha avuto due momenti distinti, il primo svolto separatamente, ciascuno nel proprio campo, da Sanguineti e Liberovici, e il secondo di confronto, durante il quale il poeta ha offerto al musicista e al regista il materiale da rappresentare, con interventi molto ridotti sulla struttura definitiva dell'opera.
E' dunque confermata che mentre il testo, la parola, è, nei travestimenti, la materia su cui interviene direttamente l'attività creatrice di Sanguineti, musica e scena sono elementi di contesto, seppur diversamente importanti, che amplificano, sostengono, danno spazio, sottolineano la capacità di portare su di sé, di supportare senso da parte della parola detta, rappresentata, travestita, nel teatro.
Abbiamo dunque portato a termine un cammino che da un'iniziale presa d'atto della perdita di senso e significato della parola e del discorso, attraverso la ricerca di una uscita dal silenzio e dalla afasia, ci ha condotto alla scoperta, cosciente o solo intuita non importa, della scena, della rappresentazione come luogo di riappropriazione di senso.
Il vero come, e nella, e attraverso, la rappresentazione è certamente modulo che sembra modernissimo ma affonda le sue radici nel più lontano passato, da quando cioè l'opera di parola doveva essere, ed era, innanzitutto letta, quindi rappresentata.
La rappresentazione è la modalità, il luogo, ove si realizza un processo collettivo, e convenzionale, di riconoscimento di significati che è processo anche di creazione di significati, quindi può essere la chiave di volta della fondazione, del riconoscimento e della funzione dell'opera d'arte.
La poetica del Travestimento è la consapevole realizzazione
di questa intuizione.
Se dunque cronologicamente è l'esito di un processo, logicamente è
il centro di un complessiva definizione dell'opera.
Questo perché la tensione iconoclasta, fortemente destrutturante della
lirica di Sanguineti ha in sé una funzione fortemente liberatoria.
La poesia libera la parola, ma la libera con fatica, con dolore, fino
quasi a distruggerla, a distruggere la sua stessa capacità di significare.
Nella scena, invece, con sorpresa, la parola trova un limite, anzi
un luogo comune ordinatore, quindi apportatore di senso.
Sulla scena la parola si traveste in quanto si fa attore di sé stessa,
quindi si libera.
Ma questa libertà non è fine a se stessa.
La creazione artistica, la parola, si offre alla significazione che,
sulla scena, precipita dal pubblico, dai fruitori.
La rappresentazione, quindi, come funzione per ottenere il recupero
di senso attraverso l'apporto dei fruitori, perché, credo, sulla scena
si esercita la scelta che è atto di consapevolezza che fonda il significato.
E' dunque, un momento, un atto di libertà in una doppia accezione
:
libertà come liberazione della parola dai suoi pesi; libertà come
liberazione e apertura al senso che si costruisce in una dialettica
aperta tra soggetti consapevoli.