SEMINARIO
ALLA RICERCA DELL'INVISIBILE
NELLE POETICHE DELLE AVANGUARDIE STORICHE
2002/2003
VINCENT VAN GOGH
Attraverso i film di Robert Altman, Vincente Minnelli, Maurice Pialat e il documentario di Alain Resnais
Di Alessandra Neri
Ciò che in primo luogo balza agli occhi dalla visione dei tre film, sono tre evidenti ordini di differenze:
La scelta del periodo della vita dell'artista presa in considerazione: gli ultimi due mesi in Van Gogh, il periodo che va dalla scelta di intraprendere una vita religiosa (1878) alla morte (1890) in Brama di vivere, il periodo che va dalla scoperta vera e propria della vocazione artistica (1880) alla morte (1890) in Vincent e Theo.
La diversa interpretazione da parte dei cineasti della figura di Van Gogh e la conseguente impostazione data al relativo personaggio: impulsivo e collerico in Vincent e Theo, particolarmente sensibile in Brama di vivere, malinconico e incompreso in Van Gogh.
La diversa visione della persona di Theo e del suo rapporto con Vincent: un'unione viscerale in Vincent e Theo, un indispensabile supporto in Brama di vivere, un aiuto esclusivamente materiale in Van Gogh.
Restano invece di fondo le caratteristiche sostanziali della personalità di Van Gogh, quelle linee generali del carattere del pittore belga che indiscutibilmente gli appartengono.
· Van Gogh, secondo le sue stesse parole è "un uomo istintivo, capace di fare cose più o meno insensate, delle quali mi accade più tardi di pentirmi."[1]
· E' una persona con cui è difficile intrattenere rapporti duraturi perchè volubile, imprevedibile, esente da regole d'ogni tipo, disordinato e talvolta arrogante.
"La vita con Vincent è quasi insopportabile" scrive Theo durante il soggiorno del fratello da lui a Parigi nel 1887, "nessuno può venire a casa mia perchè Vincent non fa che litigare con tutti. Inoltre è talmente disordinato che la nostra casa non è più degna di questo nome"[2].
· Eternamente insoddisfatto, incompleto, travagliato. Sofferente e insofferente per natura, fin troppo sensibile. Vincent avverte ogni cosa in maniera forte, dirompente, violenta. La sua percezione è già esaltata da questa sua passionalità, quando la ricerca artistica lo spinge ad approfondire le immagini che la realtà imprime in lui, a rendersi maggiormente ricettivo, ad ascoltare più profondamente le proprie sensazioni. La sua indagine artistica, così come avviene per tutte le avanguardie, si rivolge all'interno delle cose per trovarne le essenze, e quindi, talvolta inevitabilmente anche il dolore.
· Inquieto, sempre alla ricerca di qualcosa che mai raggiunge, di una serenità che gli sfugge di volta in volta dalle mani, quasi un sogno, che, divenuto solo illusione,si spegne gradualmente. Van Gogh ha una vita piena all'inverosimile di spostamenti, trasferimenti, traslochi. Un eterno viaggiatore, un uomo in cerca di una propria dimensione, di un luogo alleato alla propria creatività e alla propria ricerca artistica, ma insieme di una stabilità nella quale trovare una propria tranquillità interiore.
· Ma i segni che lasciano su di lui le esperienze della vita da una parte e la percezione sensibile di tali esperienze e della realtà dall'altra, sono spesso profondi e dolorosi. Vincent ha un carattere collerico, ardente e coraggioso, e insieme fragile e facilmente vulnerabile. Quasi un uomo senza armatura, senza protezione, esposto continuamente alle ferite che gli possono infliggere le esperienze. Facile preda del dolore, che lo attraversa senza incontrare resistenza, debole di autocontrollo e in completa balia di sentimenti ed eventi, incapace di porsi limiti e freni, deve convivere con la sofferenza, la depressione, e infine le violente crisi nervose.
· Nessuno poi comprende la sua arte, nessuno ha fiducia in lui in quanto pittore se non il fratello Theo, Van Gogh è assolutamente incompreso.
· Per questi motivi spesso appare schivo, solitario, per necessità è alienato, suo malgrado. Un'emarginazione non voluta, ma arrivata inesorabilmente, insieme al suo "sentirsi malinconico per non essere nella vita vera"[3] e per non essere in grado di intrattenere rapporti normali con qualcuno, come invece sarebbe suo desiderio.
Lo testimoniano anche i suoi dipinti, con la "prepotenza iconograficha di figure che simboleggiano l'uomo isolato. E del resto non v'è niente che lo tormenti tanto come la tortura della solitudine"[4].
La problematicità di un carattere complesso, quindi, ma anche di precise scelte. Van Gogh rifiuta ogni compromesso nella sua vita, odia la falsità, l'ipocrisia borghese, le maschere che nascondono le cose.
"Una delle ragioni per cui sono fuori posto, per cui per anni sono stato fuori posto, riguarda semplicemente le mie idee, diverse da quelle dei signori che danno lavoro a quelli che la pensano come loro"[5].
Le donne di cui si innamora sono schiette e naturali, non ha importanza la loro classe sociale o il fatto che il loro mestiere sia comunemente disprezzato. Clasina M. Hoornik, detta Sien, la prostituta con cui avrebbe voluto intraprendere una vita matrimoniale, è alcolizzata e sifilitica, ma per lui "somiglia un po' a una figura di Chardin o di Frère, o forse di Jan Steen"[6].
D'altronde, a queste presone si sente accomunato intimamente, le considera "sorelle per la loro situazione sociale e per la loro esperienza di vita"[7] .
Nel primo periodo del suo percorso artistico è vivo l'interesse per le classi più povere, per la loro vita nella quale guadagnano ciò che mangiano col sudore e l'onestà e per i loro volti imperfetti e segnati dalla fatica. Tenta, all'età di 23 anni, la difficile impresa dell'insegnamento biblico ad operai e a poveri minatori, e per farlo sceglie di vivere come loro e con loro, passando un periodo di forte miseria ed empatica sofferenza.
E lo stesso vale per il lavoro. Tale è il suo amore per l'arte e la sua smania di rappresentare, afferrare, creare ciò che avverte, che si dedica completamente alla pittura, non si risparmia, rischiando, e consapevolmente dopo le prime crisi, la malattia. Da quando scopre la propria passione per l'esperienza artistica Van Gogh si butta a capofitto tra le tele attraverso un lavoro febbrile, fatto di giorni e notti chiusi nello studio, senza conoscere limiti.
Afferma, ad esempio, all'ospedale di Arles dov'è rinchiuso per le frequenti crisi nervose, che il dottor Rey "dice che invece di mangiare a sufficienza io mi sono sostenuto a caffè e alcol. Io ammetto tutto questo, ma è pur vero che per raggiungere l'alta nota gialla che ho raggiunto quest'estate, è stata pur necessaria un po' d'esaltazione"[8]. In questo momento la causa della sua malattia è con evidenza la pittura.
E ancora, già nel 1882 "So già che dovrò soffrire molto, e precisamente a causa di alcuni tratti caratteristici della mia indole, che non posso proprio cambiare. Innanzitutto il mio aspetto, il mio modo di parlare e di vestire, poi l'ambiente che io frequento e che continuerò a frequentare anche quando guadagnerò di più, perchè il mio modo di vivere e i soggetti che disegno lo impongono imperiosamente"[9].
I tre film "sono stati girati utilizzando la bibliografia ufficiale, gli aneddoti e le epistole di Vincent Van Gogh"[10]. Eppure ognuno dei tre cineasti ha interpretato in maniera personale la storia del pittore, dando maggiore o minore rilevanza a quelle fra queste caratteristiche della sua persona e della sua vita che ha ritenuto opportuno, conformemente alla propria particolare visone del personaggio.
Innanzitutto, trattando Vincent e Theo e Brama di vivere sostanzialmente dello stesso periodo della vita dell'artista, è sponanea qualche riflessione introduttiva sull'impostazione generale dei due film:
"la loro differenza si percepisce immediatamente: sono due lavori che presentano due visioni a dir poco dicotomiche della stessa vita, due interpretazioni coerenti ma lontane l'una dall'altra.
mentre Minnelli punta l'attenzione dello spettatore sulla vita bohemienne che l'artista trascorre durante il suo periodo parigino, [...] Altmann stravolge questa atmosfera idilliaca.
Egli usa l'animo di Van Gogh, il taglio delle labbra, la strana andatura, l'abbigliamento e lo imprime, lo incide sulla pellicola [...] L'opera di Altman si rivolge con maggiore attenzione alla presentazione fedele dell'uoimo Van Gogh e solo una volta definita questa sua "faccia" la supera, la stravolge mettendola a confronto con il peso dell'ispirazione artistica.
Nessun tentativo di affascinare, dunque; la sua attenzione registica è tutta per l'umanità di Vincent, i suoi bisogni di uomo: l'amore, il sesso, l'amicizia, il rispetto, il denaro, l'aria, l'acqua, il sole, il silenzio e i rumori. Desideri e bisogni legittimi perchè naturali, umani.
Vincent, infatti, come il fratello Theo e come il pittore, amico-antagonista Gauguin non può vivere senza tutte le sensazioni che ogni elemento naturale è in grado di dargli"[11].
"Altman non costruisce un film pieno di drammaticità, di scene intensamente sofferte, dove la pietà e la commozione sono le due caratteristiche essenziali: questo lo ha già fatto Minnelli, e la commedia hollywoodiana non si addice allo spirito indipendente del regista dei Ragazzi del coro. La sua attenzione è tutta per le cose, per i colori "veri" dei quadri di Vincent e, quindi, della natura trasfigurata dalla sua mente e dal suo occhio, per gli avvenimenti che trascorrono senza colpi di scena, senza cambiamenti repentini di ritmo.[12]"
"I due film hanno un punto di contatto: l'uso del colore. Lo studio fatto sui toni dei dipinti di Van Gogh è totale, in Altmann poi quasi maniacale. Lo spettatore si sente trasportato all'interno della tela, soffocato dal peso cromatico [...]; ma questa policromia, fatta dalla mescolanza dei toni primari, è spinta a tal punto da fagocitare ogni forma nel quadro come nella realtà"[13]
Avvicinandoci più nel particolare ai personaggi, al modo in cui i cineasti li hanno rappresentati, ecco ulteriori considerazioni.
In Vincent e Theo Vincent vive continuamente in completo disordine. La scrivania, sempre piena di boccette, pennelli e colori, la camera e la casa invase da tele, lasciate ovunque in completa anarchia.
Particolare è la scena, presente curiosamente in entrambi i film, nella quale Gauguin accusa Vincent di non saper e non voler cucinare, si mette ai fornelli e stabilisce più precise regole d'ordine nell'appartamento.
Anche Vincent in questo film è spesso disordinato e trascurato, e l'invivibilità del rapporto personale emerge in particolar modo nelle esperienze di convivenza. Diverse volte Theo ospita il fratello, ma il caos e soprattutto il difficile carattere del pittore, che li porta a continui litigi, costringono Vincent a traslocare ogni volta prima del previsto.
Lo stesso vale per l'esperienza con Gauguin, conclusasi malamente, addirittura con il taglio del lobo auricolare di Vincent.
E non va meglio per le donne. In tutti e tre i film compaiono i continui fallimenti sul piano sentimentale, che lo costringono ad amori fugaci e occasionali e gli negano la possibilità di una relazione duratura. Vincent vorrebbe sposarsi, avere dei bambini e una famiglia tranquilla e gioiosa. Lo dice in Vincent e Theo a Sien, la donna lavandaia e prostituta con cui vive per un periodo. Ma, anche qui per il difficile carattere, le esigenze artistiche e la scelta di vita, ormai definitiva, della donna, Vincent viene lasciato e il suo progetto famigliare crolla.
In Van Gogh sarà invece la figlia del dottor Gachet a lasciarlo malamente, stanca del complesso e inclassificabile atteggiamento dell'artista, mentre Rachel, la prostituta a cui si era legato dal periodo di Arles, non può rappresentare per Vincent che uno svago privo di vincoli.
In Brama di vivere è presente un'ulteriore delusione, quella del rifiuto di Kate, la cugina di cui, ventottenne si era innamorato.
Un amore stabile, una famiglia. Sono questi i desideri di un Van Gogh che cerca, parallelamente alla propria vicenda artistica, in qualche modo un equilibrio personale, una tranquillità e una sicurezza che diano tregua al proprio continuo travaglio.
Vincent cerca una pace che sembra non trovare mai. Come incapace di trattenerla, di condurre un simile modo di vivere: la sua feroce personalità sembra non permetterglielo.
Brama di vivere esprime nel titolo stesso questo profondo bisogno del pittore di tranquillità, di tregua, di una vita meglio vissuta. Ma la depressione non lo lascia, i medici non sanno aiutarlo che marginalmente, il fratello, nonostante l'impegno e la dedizione, non può dargli quel sole di cui così assiduamente è alla ricerca.
In questo film il sole, simbolo nella pittura di Van Gogh della "forza vitale e dell'energia creatrice", diventa metafora della ricerca di Van Gogh di una soluzione alla propria travagliata esistenza.
Ad Arles Vincent sembra per un attimo aver trovato il calore e la luce di cui aveva bisogno, entusiasta dipinge con una rinnovata e positiva energia campi vivi e girasoli. Propone a Gauguin il progetto di costituirvi la "Scuola del sud", un'associazione di pittori d'avanguardia per potenziare e rivoluzionare le tematiche dell'impressionismo.
Ma di nuovo la caduta, il torno delle angosce, il fallimento del progetto artistico e della convivenza con Gauguin, che dà l'avvio alle crisi nervose e toglie tristemente dalla coscienza dell'artista la speranza di trovare un proprio posto nella vita e di realizzare i propri progetti di serenità.
In Vincent e Theo la ricerca di una soluzione alla tempestosa vita di Vincent sembra invece sentito più da Theo, che dal pittore stesso. Con continui sacrifici e sforzi il fratello cerca di aiutare l'artista, e continuamente si sforza di capirlo e trovare soluzioni per lui. La vita di Theo è totalmente protratta verso il sostegno e il conforto per Vincent, ora con le lettere, ora con l'ospitalità, ora con le visite e i consigli, ora con le proposte e con i numerosi tentativi di far conoscere, apprezzare e vendere i quadri di quel fratello che tanto stima come pittore.
In Van Gogh il desiderio di una vita migliore emerge fra le righe nell'intero film. La figura di Vincent è totalmente diversa, a mio avviso, da quella presentata dagli altri due. Per quanto resti una figura malinconica, e per quanto, anche nei numerosi momenti in cui ride, scherza e si diverte, compaia regolarmente l'ombra di un'intima infelicità a renderlo improvvisamente serio e oscuro, in definitiva la sua ricerca sul piano personale sembra volta a una ricerca di serenità e di soluzioni. Vincent lotta contro la propria "malattia" quasi fosse un disturbo fisico, quasi alieno dal proprio travaglio interiore, appare sostanzialmente proiettato verso la vita, interessato quasi più agli aspetti materiali che a quelli pittorici.
I suoi litigi con il fratello e la cognata sembrano nascondere fra le aperte accuse una richiesta d'aiuto, sembrano le ultime sfide di chi è ormai stanco di vivere e soffrire.
Non penso, tuttavia, che questo film renda sufficientemente l'idea del profondo e violento conflitto che ha caratterizzato la vita di Vincent Van Gogh, ne le ragioni di questo, il suo amore per l'arte e la sua soffocante ricerca pittorica ed esistenziale.
Per meglio analizzare le differenti scelte cinematografiche dei tre film è paradigmatica la figura di Theo, particolarmente diversa in ciascuno dei tre.
In Vincent e Theo è tale l'importanza attribuita a Theo nella vita di Van Gogh, da attribuire parimenti a entrambi i personaggi la funzione di protagonisti. Le vite dei due fratelli sono singolarmente intrecciate e strettamente legate, l'affetto fra i due è fortissimo.
Theo compare nella prima scena, promettendo a Vincent, in pessime condizioni e diffidente nei suoi confronti, che lo avrebbe aiutato in ogni modo in futuro, a partire dal sostegno economico, se solo lo avesse fatto partecipe delle proprie scelte e dei propri pensieri.
Ecco così l'inizio di un'alleanza stretta e indissolubile, per la quale Vincent e Theo rimangono in continuo contatto attraverso lettere e visite, Theo cerca in ogni modo di aiutare Vincent, rappresenta per lui l'unico punto d'appoggio nel turbinare continuo degli eventi e delle passioni, e si fa complice della sua vicenda pittorica.
Diversi sono i litigi fra i due, soprattutto dovuti alle accuse di Vincent al fratello di essere troppo legato ai canoni della vita borghese, di scendere a compromessi sul lavoro e di non provare sufficientemente a vendere le sue opere. Tuttavia l'immagine che Altman ci dà di Vincent non è minimamente associabile al mondo borghese nella sua ricerca di interessi economici, quanto piuttosto a quella di un sostenitore della causa dei "ribelli" artisti d'avanguardia che, sebbene in maniera diversa, combatte per la diffusione del nuovo tipo d'arte.
Il legame affettivo, poi, particolarmente toccante, raggiunge l'apice con la scena finale, nella quale Theo piange la morte del fratello con fortissima angoscia, nudo e solo, così fuori come dentro, torturato probabilmente dalla mancanza di un caro amico che aveva sempre stimato e amato, e insieme dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza per assicurargli quella felicità che cercava.
In Brama di vivere Theo è più assente, compare meno volte nel procedere degli eventi ed è meno delineato come personaggio. Di conseguenza è meno complice di Vincent, sebbene costante sostegno e punto di riferimento per lui indispensabile.
Il film inizia prima rispetto agli altri due, dal 1878, quando Vincent chiede al Consiglio Ecclesiastico di Bruxelles di poter insegnare l'evangelo alle classi più povere.
Dopo la dolorosa (la scena è molto simile a quella di Vincent e Theo) propone al fratello di poterlo aiutare, in futuro, a diventare pittore come desidera: "siamo fratelli" dice a un Vincent che sente, ormai distante, aver imboccato una strada faticosa, "non sei, solo, hai un alleato"[14].
In un primo momento del film, quindi, il fratello minore prende parte alle vicende e alle esperienze di Vincent, e sostiene, sebbene con le spalle ben protette, con entusiasmo la causa dei pittori d'avanguardia. Figura talvolta ambigua, non è tuttavia quella di un borghese nel senso più stretto del termine, condivide intimamente molte visioni di Vincent ma è, a differenza sua, realista e vincolato dall'effettiva realizzazione delle idee. E' questa la distanza che separa i due, il loro diverso modo di affrontare le medesime situazioni. Tuttavia forte è ancora il legame che li lega, anche se, nella seconda parte del film, in maniera prevalentemente sottintesa.
In Van Gogh Theo è un personaggio quasi marginale.
Il film inizia con l'arrivo di Vincent ad Anvers-sur-Oise, dove, dopo il periodo trascorso a Saint-Rémy, si trasferisce e viene preso in cura dal dottor Gachet.
Il periodo complessivo di cui il film tratta sono quindi gli ultimi due mesi della vita di Van Gogh (fine Maggio 1890-27 Luglio 1890). Questa scelta rende ovviamente difficile il compito di dare la giusta luce ai personaggi e un'adeguata idea della storia precedente.
Tuttavia, proprio la figura di Theo, che potrebbe illustrare in maniera significativa il travaglio dell'esistenza del pittore in quanto partecipe del suo svolgersi nel tempo, è molto assente e, a mio avviso totalmente deformata. Theo è completamente estraneo dalla vita del fratello, condivide ben poco dei suoi progetti e della sua sofferenza, vive con la moglie e il figlio in una sorta di egoismo, stanco della situazione di Vincent.
Theo appare come figura emblematica della classe borghese, proiettato verso se stesso e tutto preso dai problemi della vita materiale. Preferisce sottostare alle regole del mercato e vendere i quadri "tradizionali" piuttosto che esporre e cercare acquirenti per l'arte del fratello, che pure stima personalmente e in qualche occasione tenta di pubblicizzare.
E' un uomo in difficoltà, preso da problemi reali quali l'avanzare della propria malattia, la sifilide, della cura del figlio e dell'incapacità di avere la tranquillità famigliare che desidera. Del resto, a questo punto della vita del fratello Theo non sa più come aiutarlo. Tuttavia, dai bruschi dialoghi e litigi fra i due, Vincent appare incompreso, inascoltato nella sua disperazione o e nelle sue accuse d'egoismo.
Anche Vincent è visto in maniera diverse in ognuno dei tre film.
In Vincent e Theo viene messa particolarmente in risalto la sua istintività.
E' disordinato e selvaggio, compare più volte sporco e con la barba incolta, l'aspetto è meno curato, tutto è caos intorno a lui.
Penso ad esempio alle scene nelle quali dipinge tenendo i pennelli in bocca e sporcandosi così di colore labbra e lingua. O ancora alle diverse scene dei suoi ritorni alla casa dei genitori e dei contatti con il mondo borghese, dove appare come un ribelle quanto ad aspetto e ad atteggiamenti, fortemente provocatorio ed aggressivo.
Inoltre è un uomo trascinato dai propri sensi, immediato, autentico nelle azioni come un bambino.
Vi sono scene in cui dipinge tutto ciò che gli sta intorno, il volto di Rachel, il tavolino di un bar, le pareti della camera, o nelle quali sperimenta i colori, attratto dalla loro purezza e consistenza, intingendo le dita nella polvere di varie tinte o contemplandone il colore, immerso nella materia di quelle sostanze che, quasi come un miracolo, danno forma alla profonda esperienza dell'arte.
E ancora è messa in risalto la sua violenza interiore, l'impulsività e il carattere collerico.
Vincent ha frequenti scatti d'ira: scaraventa gli oggetti dalla scrivania, rompe le tele, lo specchio, beve la trementina nel momento masochistico della prima crisi nervosa.
E' un personaggio che riflette poco ed agisce molto, spesso senza dare spiegazioni, travolto dall'istinto e dalla forza dei propri sensi.
In Brama di vivere al contrario è più riflessivo, più pacato, più controllato.
Sembra avere in mente un preciso progetto prima di agire, usare la ragione sopra all'ispirazione, fornire precise spiegazioni delle proprie scelte.
Nella prima parte, quando tenta la strada religiosa, il suo modo di fare richiama quello di un uomo di chiesa, rivoluzionario, autentico e incompreso. Spiega le proprie posizioni di fronte ai membri del Consiglio Ecclesiastico, porta avanti la propria fede, parla con tono disteso e sincero.
E' un uomo dai forti ideali, estremamente ligio a ciò in cui crede, capace di grandi rinunce pur di restare fedele alla verità e all'autenticità delle proprie convinzioni.
Ne vediamo un esempio sia all'inizio, nella sua decisione estrema di vivere in assoluta miseria per solidarietà cristiana con i minatori del villaggio belga, ma nelle continue scelte di vita in cerca della piena espressione artistica.
Viene dato risalto anche alla particolare sensibilità di Vincent, causa delle sue forti lacerazioni interne e delle sue scelte di vita così incomprensibili agli occhi degli altri.
Ne è un esempio la scena in cui il padre di sua cugina di Kate, di cui era innamorato, lo accusa di avere un comportamento femmineo, in quanto incapace di sopportare silenziosamente il rifiuto della figlia, e quindi il relativo dispiacere. Allora Vincent, per dare dimostrazione di quanto il proprio dolore fosse forte più d'ogni umana sopportazione, tiene a lungo una mano sulla fiamma di una candela, procurandosi una brutta ferita senza accennare alla minima smorfia di sofferenza.
Sono la viva sensibilità del pittore, la sua dedizione all'arte e la sua fragilità gli elementi che lo caratterizzano maggiormente e determinano la sua tormentata esistenza.
Trovo particolarmente espressiva ed esplicativa a questo proposito la confidenza fatta al fratello: "Sono prigioniero della vergogna e del dubbio, sono un fallito, qualcuno mi creda, sono prigioniero in una gabbia, sono solo e ho paura"[15], e ancora la scena in cui l'artista, prima di togliersi la vita, scrive su un pezzetto di carta la frase "Sono disperato! Il futuro mi fa paura. Non vedo vie d'uscita[16].
In Van Gogh Vincent è visto più in relazione al mondo che lo circonda e a una possibile soluzione per la propria vicenda artistica e personale.
In diverse occasioni tenta di spiegare che il proprio atteggiamento schivo non è frutto d'egoismo, ma il silenzio e la pittura sono in realtà la sua maniera d'amare gli altri, non venendo però compreso.
E' proprio l'incomprensione ciò che caratterizza di più i rapporti sociali di Vincent in questo film, insieme all'incapacità degli altri di aiutarlo, nonostante cerchi in diversi modi di comunicare il proprio timore per uno stato emotivo che lo spinge al suicidio.
Il dottor Gachet, ad esempio, lo definisce "malato immaginario", risolvendo in tal modo la propria assistenza medica.
Durante un pomeriggio al lago in compagnia della famiglia del dottor Gauchet, del fratello e di sua moglie Johanna, Vincent tenta di annegarsi gettandosi in acqua. Aveva appena avuto una discussione con Johanna riguardo al bisogno di tranquillità di Theo, malato e provato interiormente, nella quale aveva deciso che avrebbe smesso di pesare sul fratello e avrebbe cercato un lavoro "vero", abbandonando l'attività pittorica.
E' ormai evidente, in questa scene come nelle successive, l'impossibilità per Vincent di continuare ostinatamente un'attività e uno stile di vita che lo mantengono nella situazione di malato, rendono impossibile una sua realizzazione personale e infastidiscono chiunque lo circondi.
Il dramma del pittore risulta alla fine dramma personale, di un individuo che fallisce sul piano sociale e affettivo, assistendo allo sfaldamento graduale di tutti quei legami che aveva instaurato con amici e conoscenti (viene lasciato dalla figlia del dottor Gachet e da lui insultato, rende insofferenti i proprietari dell'albergo presso il quale alloggia, conclude con ira e arroganza l'ultima discussione con Theo e sua moglie), così come sul piano artistico (ribadisce più volte, di avere la convinzione di essere un pittore autentico, addirittura il "miglior pittore del secolo", ma sottovalutato, incompreso, considerato addirittura incapace di dipingere).
Ma insieme il fallimento è collettivo, di una società che non ha saputo capirlo fino in fondo (sebbene abbia cercato di stargli vicino e sviarlo per qualche momento dai pensieri angosciosi che lo tormentavano), dal fratello ai vari personaggi che lo circondano in questo ultimo periodo della sua vita.
Nelle due scene finali, che seguono la sua morte, assistiamo al trattenuto dispiacere di queste persone per un suicidio avvenuto, in parte, per propria colpa, e dai dialoghi sulla sistemazione delle tele a loro regalate in vita dal pittore, s'intuisce il senso di colpa e la comprensione postuma del valore affettivo di queste opere regalate loro dal pittore.
La reazione di Teo è in piena antitesi con quella che conclude Vincent eTheo, fredda, consapevole, automatica, distante.
I tre film testimoniano, oltre alla vicenda di Van Gogh, anche della situazione dell'arte d'avanguardia di fine '800.
Vengono toccati argomenti come la volontà dei nuovi artisti di dipingere il mondo non com'è ma come lo avvertono, lottando contro la comune visione dell'arte e svolgendo estenuanti ricerche di nuovi linguaggi e metodi espressivi.
Ne sono testimoni le continue discussioni teoriche fra Vincent e Paul Gauguin, durante il periodo di Arles, presenti in Vincent e Theo e in Brama di vivere, oltre ai tentativi di Vincent (sempre negli stessi film) di dipingere sotto il forte impeto del vento per trarne forza ed energia.
Questi dialoghi e discussioni introducono anche la problematicità di un periodo in cui questa nuova arte, così diversa da quella precedente, non può ancora trovare il proprio posto: la società, ancora fortemente legata alla tradizione e alla mentalità borghese, non è pronta a riceverla.
Gli artisti sono uniti nell'estenuante difficoltà di ottenere un posto nei saloni d'arte, di essere riconosciuti e di continuare a dipingere in povertà nonostante tutto.
L'aggregazione artistica avrebbe svolto l'importante funzione in questo periodo, di consentire ai pittori un confronto di idee, una ricerca e un'unione in quanto movimento.
Ma l'ambiente parigino, viene più volte ribadito nei film, è ormai cambiato: dall'unione del movimento impressionista si sta passando ad un graduale sfaldamento, un tramonto che lascia il posto a nuove tendenze. La ricerca di Van Gogh, deluso dall'esperienza parigina, è infatti condotta in maniera sostanzialmente autonoma e indipendente, così come quella di Gauguin e di Emile Bernard in Vincent e Theo.
Il documentario Van Gogh espone brevemente i tratti essenziali della vita dell'artista.
Trovo ottima e originale l'idea di seguire la storia di Vincent attraverso i suoi quadri: su un sottofondo musicale, che cambia di volta in volta accompagnando le diverse fasi del racconto, una voce spiega le diverse fasi della vita, i cambiamenti, le vicende umane e gli incontri che causano le svolte artistiche e le evoluzioni della pittura dell'artista.
Mentre sullo schermo si susseguono le opere che, realizzate in quel particolare momento, esprimono esattamente ciò di cui la voce sta trattando.
Le opere parlano degli artisti, le opere sono il mezzo migliore per raccontare in modo autentico, attraverso i suoi stessi occhi, la loro vita, la loro visione del mondo e dell'arte.
Unico neo, il filmato è in bianco e nero: i colori avrebbero senz'altro reso al meglio la narrazione.
Suggestiva è la parte finale, nella quale i dipinti divengono più contorti e violenti accompagnando lo stato emotivo che tormenta Van Gogh fino alla morte: "La nature l'éfrappe au visage, le monde tourne si vite, arrivé au sommet de son art Van Gogh, vainqueur, s'arrète. Le feux brule désormais en lui."[17]
FILM:
Vincent e Theo di Robert Altman (1990) Francia / Gb 190 min
Brama di vivere di Vincente Minnelli (1956) USA 122 min
Van Gogh di Maurice Pialat (1991) Francia 158 min
DOCUMENTARIO:
Van Gogh di A. Resnais (1948) Francia 15 min