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SEMINARIO

ALLA RICERCA DELL'INVISIBILE

NELLE POETICHE DELLE AVANGUARDIE STORICHE

2002/2003

 

L'ARTE      D'AVANGUARDIA

 

I precursori e gli antecedenti

di Renzo Principe.

L'arte contemporanea trova la propria genesi nella nascita delle avanguardie artistiche del Novecento. Non si potrebbe capire il senso e il significato dell'arte, oggi, se non si tenesse conto dei movimenti d'avanguardia, dei loro precursori e dei loro antecedenti. Partiamo quindi dalla teoria dell'arte d'avanguardia cercando di mettere a fuoco il significato del termine avanguardia, poiché in origine è un termine usato esclusivamente in ambito politico e rivoluzionario. In primo luogo guardiamo agli antecedenti e ai precursori che hanno preparato il terreno per la nascita di nuove idee e sensibilità in ambito artistico, sociale e politico. Si tratta di una costellazione di eventi, di personaggi e condizioni storiche che, in un periodo di tempo relativamente breve, ha unito pittori, poeti e artisti, i quali si sono posti il problema di superare i canoni convenzionali della loro arte per attingere una realtà altra e  più vera al di là del visibile. Vorrei quindi partire da una considerazione di Ernest Gombrich che, nella sua storia dell'arte, dedica un capitolo al tardo Ottocento intitolato Alla ricerca di nuovi canoni[1]. Apparentemente ed esteriormente la fine dell'Ottocento sembra essere un'epoca di grande prosperità e soddisfazione generale. Consideriamo questa semplice affermazione e pensiamo al senso di spensieratezza e di benessere che evocano le immagini della Belle époche. In realtà, un vuoto e un senso di ambiguità pervade questi anni di transizione dalla vecchia borghesia ottocentesca all'apparizione, sulla scena politica e sociale, delle masse popolari. Il primo Novecento si caratterizza proprio per una crisi di valori che coinvolge tutti gli ambiti del sapere: dalle scienze esatte a quelle umane, dall'arte alla filosofia emergono nuove teorie che superano la visione ingenua dello scientismo positivista. Edmond Husserl, nella seconda fase del suo pensiero, parla di una crisi d'identità delle scienze, crisi che non riguarda le scienze in quanto tali, i suoi fondamenti epistemologici e le scoperte scientifiche, ma il significato che esse hanno per l'esistenza umana: crisi di valori etici e morali. Di questa situazione è testimone l'opera di molti scrittori e romanzieri. Ad esempio Thomas Mann, in Morte a Venezia, non solo mette in scena la fine di tutti i valori della vecchia borghesia ottocentesca, ma segna anche la fine di una certa concezione dell'arte. Il protagonista di Morte a Venezia, Gustave Ascenbach (che nel libro di Mann è uno scrittore e nel film di Visconti è un musicista), interpreta la figura di un artista rigoroso e accademico che ha perso la sua vena creativa e si trova in una situazione ambigua e di stallo. Egli vorrebbe esprimere qualcosa di nuovo, soffre, si ammala e decide di andare a Venezia a passare un periodo di convalescenza, ma in questo luogo dove sta per diffondersi il colera Ascenbach muore nella ricerca disperata di una nuova ispirazione. Ora la scelta di Venezia non è casuale, da un lato, emblematicamente sta per il luogo universale dell'arte, dall'altro il colera rappresenta questo stato di morte e di decadenza materiale, fisica e morale in cui si trova la città e quindi l'arte stessa.

La cultura europea, all'inizio del Novecento è quindi pervasa da un senso di crisi profondo, in cui cadono tutte le certezze circa la possibilità di cogliere la realtà attraverso una conoscenza piena e immediata dei suoi aspetti diversi e molteplici. Lo sviluppo industriale, legato alle invenzioni delle macchine, già dalla fine del Settecento porta con sé un cambiamento radicale del modo di vivere, che si traduce in un alto prezzo da pagare in termini d'alienazione umana e distacco dell'uomo dalla propria natura. Uno degli aspetti più importanti della cultura romantica, ripreso poi dal surrealismo, dopo l'infatuazione futurista per la macchina e la velocità, è l'avversione per la tecnica. Cade la certezza di un benessere sociale allargato alle classi proletarie che non sia dominio dell'uomo sull'uomo o dominio dell'uomo sulla natura.

Il tema dell'alienazione, che è al centro del pensiero di Marx, esprime bene l'unità culturale e spirituale dell'Ottocento caratterizzata da una tendenza rivoluzionaria di fondo. Come scrive Mario De Micheli[2], quando si parla d'arte contemporanea bisogna sempre tenere ben presente lo spirito rivoluzionario che pervade tutto l'Ottocento, perché la frattura  che avviene nell'arte con le avanguardie artistiche europee, non si spiega solo sul piano estetico, prendendo semplicemente in considerazione i mutamenti del gusto, bisogna invece tenere presente le ragioni storiche che hanno portato verso la crisi dell'unità di fondo della cultura borghese.

Ma cosa s'intende per unità di fondo della cultura borghese?

Secondo De Micheli, non è altro che la vocazione rivoluzionaria della borghesia intellettuale, fondata sugli ideali di libertà, uguaglianza e progresso, che è posta in crisi dalle forze reazionarie. A tale proposito dobbiamo rimarcare che il termine avanguardia in origine rimanda a un campo semantico che è proprio della lotta politica.

Il termine avanguardia indica le nuove frontiere dell'arte e si autonomizza solo dopo gli anni "70, ma il rapporto tra arte e società, tra arte e politica rimane sempre alla base delle nuove poetiche. Nelle avanguardie storiche non si tratta semplicemente di arte, ma del fatto che proprio attraverso l'arte, attraverso la conoscenza poetica e intuitiva si possono cogliere aspetti della realtà che le sole conoscenze intellettuali e razionali non riuscirebbero a mettere in luce.

Baudelaire, critico e teorico della modernità, individua i caratteri dell'arte moderna in un rapporto circolare tra bello, moda e felicità, ed indica la direzione verso cui si volge il nuovo gusto estetico. In un saggio intitolato Il pittore della vita moderna, dice che "la modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno e l'immutabile". Questo carattere della modernità non può essere disprezzato e trascurato: sopprimerlo vorrebbe dire non cogliere il duplice senso della bellezza.

Sotto l'influsso della teoria baudeleriana nasce una nuova generazione di pittori che incarna la figura dell'artista moderno: gli Impressionisti. Essi colgono il particolare e il transitorio nell'attimo che fugge, nelle vibrazioni gioiose o dolorose, nelle sensazioni immediate, che la realtà contingente lascia appena intravedere.

Pensiamo ad Edouard Manet, considerato il padre dell'Impressionismo (anche se non ha mai partecipato alle esposizioni degli impressionisti), pensiamo alla sua opera più importante Le Déjeuner sur l'Herbe, che nel 1863 a Parigi fa nascere un vero e proprio scandalo all'esposizione dei Refuser, oppure ad Olympia che, secondo la morale dell'epoca, è un'immagine più che scandalosa e pornografica, un nudo che non ha più niente a che vedere con i nudi delle rappresentazioni mitologiche.

Partiamo quindi dall'Impressionismo per cogliere gli antecedenti delle avanguardie. È dall'esperienza di questi pittori (sempre rifiutati nelle esposizioni ufficiali, sempre criticati e derisi per i loro soggetti, per il modo di usare il colore) che nasce un nuovo modo di dipingere, un nuovo gusto estetico che si fonda sulle divisioni dei toni, sulle giustapposizioni delle macchie di colori complementari, sull'analisi della luce e sugli effetti che essa ha sulla visione e sulla retina; ma anche un nuovo modo di considerare l'artista moderno che vive intensamente il proprio tempo. Il pittore impressionista esce all'aperto, en plein air, per dipingere scene e motivi di vita borghese, nei caffè, nelle passeggiate sui boulevard, per cogliere la realtà come appare nell'attimo dell'impressione stessa.  Egli non vuole fissare sulla tela l'oggetto, ma la sensazione immediata che abbiamo di esso, così come si dà nella percezione visiva. Per questo il pittore impressionista crea un'immagine del mondo in cui le forme si compenetrano e si confondono l'una dentro l'altra. Ed è anche per questo che viene criticato, perché nella pittura impressionista non vi è più quell'armonia e quell'ordine dato dal disegno e dalle linee chiare e distinte che separano gli oggetti l'uno dall'altro. La prima esposizione dell'Impressionismo ebbe luogo a Parigi nel 1874, fece molto scandalo, ma si rivelò un grande insuccesso, nonostante vi partecipassero tutti i grandi maestri: Degas, Renoir, Monet, Pissarro, Sisley, Cézanne. In questa occasione fu coniato il termine impressionismo, proprio per indicare che questi pittori senza tecnica accademica e senza soggetto alcuno, si affidano alla vaga impressione del momento.

La poetica degli impressionisti, circa i contenuti di realtà, non provoca una vera e propria frattura delle esperienze precedenti, in ultima analisi, porta alle estreme conseguenze il naturalismo e il realismo dei pittori della generazione precedente (Courbet, Corot, Millet e Daumier). Infatti, ciò che distingue gli impressionisti da questi ultimi è l'uso del colore e la ricerca degli effetti della luce nella percezione ottica; ricerca che si accentua ancora di più con il neo-impressionismo e con il pointillisme di Seurat o di Signac. La frattura che porterà all'esperienza vera e propria delle avanguardie sarà attuata, da Van Gogh, sul versante espressionista e da Cézanne, considerato il padre della pittura contemporanea, la cui opera è intesa come  analisi fenomenologica del mondo esteriore, dell'Essere, così come si  rende percepibile e visibile  nella natura stessa delle cose. 

L'Espressionismo è il primo grande movimento d'idee che si spinge fino alla formazione delle avanguardie storiche. Vorrei quindi delineare molto brevemente gli elementi fondamentali di questa corrente di pensiero che dalla Germania si diffonde e diviene un fenomeno distinto in due grandi rami: il movimento chiamato i Fauves (denominati così per la violenza dei loro tratti e dei loro colori) e il movimento tedesco il Die Brucke (il ponte). Questi due gruppi danno vita rispettivamente al Cubismo francese  e al gruppo Der Blaue Reiter (il cavaliere azzurro fondato da Kandiskij).

L'Italia, all'inizio del secolo, è isolata rispetto il centro dell'Europa, perché l'unico movimento attivo è il Divisionismo che unisce intorno a sé pittori come Segantini, Fattori e Pellizza da Volpedo, i quali si richiamano al verismo, alle lotte contadine e al socialismo. Nel Divisionismo italiano compiono le loro prime esperienze giovani pittori come Boccioni, Russolo, Balla, Severini e Carrà che, nel febbraio del 1910, firmano il Manifesto dei pittori futuristi. Il futurismo in pittura, ai suoi esordi, adotta la tecnica divisionista per esprimere quel senso di dinamicità che lo caratterizza. D'altra parte lo stesso Marinetti, fondatore del Futurismo, a diciassette anni è a Parigi, compie i suoi studi formativi in Francia e quando torna in Italia non fa altro che innestare sulla cultura italiana l'esperienza parigina. La Francia diviene così il punto di riferimento per i pittori futuristi, influenzati soprattutto dalle idee e dalle tecniche usate dai cubisti.

L'origine comune a tutte le avanguardie è l'anti-impressionismo che rifiuta il carattere sensorio che si affida esclusivamente alle sensazioni immediate e al senso della vista. Mentre l'impressione (come dinamys, come forza) è un'azione che va dall'esterno all'interno (a cui corrisponde necessariamente un atteggiamento passivo poiché l'unica realtà è quella esterna che s'imprime come uno stampo nella coscienza del soggetto), l'espressione è invece un'azione che va dall'interno all'esterno: è il soggetto che imprime di sé l'oggetto. Non si può distinguere in maniera netta le diverse posizioni che i movimenti d'avanguardia assumono di fronte alla fenomenologia del reale, in tutti i casi il problema è quello della relazione tra il soggetto e il mondo. Ad esempio, il surrealismo, quando valorizza l'inconscio, il sogno, l'immaginazione e tutti egli stati secondi (come il delirio che non appartiene alla coscienza e alla vita vigile) è alla ricerca di una realtà, di una struttura del reale che si colloca oltre la comune percezione che noi abbiamo dell'oggetto e, in tal senso, riprende alcune istanze simboliste che lo portano su un terreno mistico-profano. Con l'espressionismo siamo di fronte ad un nuovo realismo, non un realismo ingenuo (come quello  del primo positivismo, che risolve tutta la realtà nella ragione e nella razionalità), non un realismo magico, romantico che tende all'ineffabile per mezzo dell'intuizione, ma un realismo (fenomenologico) in cui la realtà non è più un'entità autonoma ed esterna al soggetto. Nella poetica espressionista è quindi implicito il tema dell'esistenza, ed è proprio sullo sfondo delle tematiche esistenziali che troviamo i due maggiori filosofi di questo periodo, Nietzsche e Bergson. Nietzsche non ha elaborato un pensiero estetico compiuto, l'estetica nietzscheana la si deve ricavare, come ha fatto Heidegger, dai frammenti postumi e dai pochi scritti sull'arte pubblicati da Nietzsche stesso. Infatti Heidegger,  a partire da Nietzsche, ha messo in luce il legame intrinseco tra arte e volontà di potenza. Gli stati artistici che portano alla creatività e al nuovo, non sono altro che volontà di potenza, volontà di volontà, un tendere al-di-là-di-sé, oltre se stessi. Una cosa analoga a questa fenomenologia è lo slancio vitale di Bergson che re-interpreta il finalismo meccanicistico dell'evoluzionismo della specie di Darwin. L'evoluzione della specie non è un fatto automatico e istintivo, ma è una volontà biologica che coinvolge anche la vita del semplice organismo. L'arte in quanto espressione di questa volontà universale, è testimonianza viva e diretta di questo porsi al-di-là-di-sé e superarsi in un divenire mai compiuto. Bergson ha scritto un saggio intitolato Matière e mémoire, che è uno studio sul tempo, sullo spazio e sul movimento da cui hanno attinto a piene mani i Futuristi. Il tempo inteso come durata, in Bergson, è costituito dall'attimo presente in cui, simultaneamente, ritroviamo tutto il passato e l'apertura sul futuro. Per questo la memoria, più che essere costituita dai ricordi, è oblio e non è un fatto di coscienza come il ricordo volontario. La concezione del tempo in Bergson è fondamentale per capire il senso dell'immagine cinematografica, che necessariamente si dà nel tempo e nel movimento. Anche per gli espressionisti il tempo e  lo spazio non sono uniformi, ma deformati dal desiderio e dal sentire, dai sensi.

Gli espressionisti caricano il colore, marcano i tratti e deformano la realtà perché vogliono mettere in luce, attraverso la deformazione del visibile la struttura autonoma del quadro.

 Ad esempio, ognuno di noi sa che la struttura di un romanzo, o di un qualsiasi testo è una struttura autonoma che non rimanda né alla verosimiglianza della storia narrata, né alla coerenza psicologica dei personaggi. Chi fa analisi strutturale del testo sa bene che le leggi che regolano l'intreccio non hanno niente a che vedere con la storia narrata; il tempo della coscienza, trasposta in una opera d'arte, non corrisponde mai al tempo astratto e cronologico, ma sempre a quello del vissuto.

In questo senso, con l'apertura del Novecento ai nuovi "canoni"  si parla di struttura funzionale dell'opera d'arte, che ci permette di cogliere una diversa temporalizzazione e spazializzazione della realtà. L'arte d'avanguardia diviene il luogo dove si mostra una nuova struttura del reale, costituita sempre  da un doppio movimento che va dal positivo al negativo, dalla pura presenza all'assenza, dall'essere in sé e l'essere per sé. La realtà non è solo in sé, ma è qualcosa che si origina nell'atto stesso della percezione: l'arte è il luogo, per eccellenza, dove questa genesi è in atto.

Le avanguardie tutte rientrano nell'epoca del funzionalismo che va dal 1910 fino alla seconda guerra mondiale. Con i movimenti d'avanguardia e di sperimentazione artistica cambiano le finalità dell'arte e il ruolo dell'artista. Le esigenze sociali richiedono trasformazioni funzionali, la città è un organismo produttivo, un congegno che deve sviluppare una certa forza-lavoro per liberarsi di tutto ciò che intralcia o ritarda il suo funzionamento.

 L'arte è considerata l'unica forma di espressione capace di porsi direttamente di fronte alla vita e denunciare la distanza che sempre più cresce tra l'esistenza concreta (il vivere quotidiano, l'uomo con i suoi problemi) e la società civile.

Tutto il periodo storico che stiamo prendendo in considerazione si confronta con il concetto di realtà come struttura funzionale, che sostituisce la vecchia concezione meccanicistica della realtà. Se l'arte è creatività, allora  proprio perché si pone il problema di indagare la struttura sociale, è anche un modo per denunciare il modello capitalistico di produzione industriale: l'artista, a differenza dell'operaio, che è un semplice ingranaggio del sistema produttivo, si presenta come l'ultimo modello del lavoro artigianale che partecipa direttamente a tutti i processi di trasformazione e di produzione della realtà rinnovandola, ricreandola e trasformandola. Così l'artista denuncia l'esistenza alienata e le possibili forme del suo superamento.

L'arte si fa dunque strumento, azione e non più rappresentazione, interviene nei procedimenti di trasformazione della realtà, da rappresentativa diviene creazione del mondo ed espressione della sua funzionalità. 

"La prima ricerca analitica sulla struttura funzionale dell'opera d'arte è il Cubismo".

Les demoiselles d'Avignon è considerata l'opera manifesto del cubismo. Con questa opera Picasso supera le fasi precedenti della sua poetica ispirate all'espressionismo classicheggiante e mitico di Matisse. In La joie de vivre, Matisse, richiamandosi a Donne al bagno di Cézanne, crea un' immagine in cui ogni essere femminile è in completa comunicazione mistica con il mondo della natura, espressione di una armonia universale. Picasso nel periodo azzurro, aderisce ai Fauves e al Simbolismo di Matisse; dipinge soggetti come Poveri in riva al mare, esseri di confine, reietti, diseredati e immobili che denunciano, nella loro immobilità, quella che si potrebbe definire la fissità del mito che pietrifica, al di là della vita e della storia. Il Cubismo è la prima ricerca di gruppo nella storia dell'arte moderna, per questo la pittura  di Picasso e quella di Braque, nelle loro prime esperienze cubiste, si distinguono appena. La prima fase della loro ricerca è definita cubismo analitico perché il quadro è una forma oggetto a cui non bisogna chiedere cosa rappresenti, ma come funziona: ciò a cui rimanda, nella sua automa oggettività e ogettualità, non rappresenta più neanche il mondo interiore dell'artista, che scompare definitivamente a partire da Duchamp.

Sezionare e scomporre l'oggetto all'interno di uno spazio pluriprospettico (per coglierne la struttura interna) e la non distinzione tra figura e sfondo (per togliere ogni illusione di profondità) sono gli elementi che distinguono il primo cubismo analitico.

L'oggetto cubista nella sua staticità, ci propone così una spazialità non naturale, ma reale nel senso che crea un'entità a sé che ha una propria struttura e una propria funzionalità. Per questo gli oggetti scelti da Braque e Picasso sono quasi sempre oggetti noti, un materiale iconografico e mentale che è già stato acquisito (bicchieri, strumenti musicali ecc, per cui la visione elabora la struttura dell'oggetto sulla base di una esperienza abituale), dall'altra, i diversi piani prospettici che s'intersecano l'uno dentro l'altro, inducono il fruitore a considerarne la forma più in profondità. Anche il colore ha una sua autonoma funzione e  viene posto come se si applicasse un intonaco, mescolato a vari materiali come la sabbia, per darne l'effetto di maggiore concretezza. In seguito le tecniche del collage, del frottage (Max Ernst) e del bricolage (l'oggetto surrealista), servono per distruggere definitivamente il pregiudizio della rappresentazione e della mimesis, per far sì che l'arte non rimandi altro che a se stessa e alla sua unità strutturale. 

[1] La storia dell'arte raccontata da Ernest H. Gombrich, Leonardo Arte s.r.l.

[2] Cfr. Mario De Micheli,  Avanguardie Artistiche del Novecento, Milano Feltrinelli, 1966.

 

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