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SEMINARIO

ALLA RICERCA DELL'INVISIBILE

NELLE POETICHE DELLE AVANGUARDIE STORICHE

2002/2003

OLTRE LA SOGLIA DEL VISIBILE

Di Laura Zardi

Nelle poetiche degli artisti che, nei primi anni del '900, hanno animato il panorama culturale europeo, troviamo un motivo ricorrente come se, al di là delle estreme differenze di stile e di intenti, tutti si muovessero sull'onda di una ricerca comune: le allusioni all'invisibile, a qualcosa che sta oltre la soglia di ciò che viene percepito dai sensi, in uno spazio vago e indefinito, qualcosa che non si può né rappresentare né descrivere, ma si può solo cogliere in un vago momento fuggevole.

La realtà non è "visibile" dice Paul Klee, occorre renderla visibile: uno dei modi per farlo può essere l'opera d'arte. Quello che normalmente vediamo infatti molto raramente rappresenta una qualche intrinseca realtà del mondo circostante. A questo proposito si possono fare alcune considerazioni abbastanza ovvie: se guardiamo il mare o qualsiasi paesaggio piatto non potremo mai vederlo in tutta la sua estensione, la linea dell'orizzonte, che non esiste ma che vediamo benissimo, porrà sempre un limite alla nostra visione. Se osserviamo una strada che in realtà è delimitata per chilometri da due linee parallele, vedremo invece due linee oblique che convergono progressivamente fino a fondersi in un punto. La realtà è sempre diversa da come noi la percepiamo: gli studi sulla percezione e le nuove scoperte in questo campo, condotti a partire dagli anni ottanta dell'Ottocento, hanno fornito agli artisti dell'avanguardia nuovi spunti di riflessione sul rapporto tra arte e realtà.

Se passiamo poi a un altro campo dell'esperienza che riguarda emozioni e sentimenti, che pure sono reali in quanto continuamente condizionano la vita, sappiamo benissimo che non potremo mai "vedere" una entità astratta come la paura, ma potremo rappresentarcela attraverso le linee contratte di un volto terrorizzato, oppure, attivando la fantasia, attraverso una creatura mostruosa,  evocando un evento come la morte, massima generatrice di paura, o ancora descrivendo una situazione cupa in cui sta avvenendo qualcosa di sinistro.

Un altro aspetto di questa impossibilità di vedere il "reale" in una sua ipotetica oggettività assoluta è quello che mette in campo il "soggettivo". Lo stesso brandello di realtà acquista connotazioni diverse, in primo luogo, a seconda del punto di vista dal quale viene osservato, quindi dalla posizione che l'osservatore ha nello spazio; in secondo luogo può apparire diverso a seconda dello stato d'animo in cui si trova l'osservatore; quindi alcuni particolari che possono risultare indizi inquietanti per un osservatore in preda all'angoscia, potrebbero invece essere interpretati come segnali positivi da chi si trova in uno stato di sereno ottimismo.

La ricerca degli artisti delle avanguardie spesso si propone di esplorare una zona di confine tra ciò che vediamo, o crediamo di vedere, e ciò che è invisibile alla vista fisiologica, che può essere sia l'intima struttura della materia ma anche il campo sterminato delle entità astratte. Tenendo presente questo elemento comune, ogni movimento ha poi indirizzato la sua ricerca in tante direzioni, esplorando sfere diverse dell'esperienza e usando strumenti e materiali differenti per realizzare le proprie opere. L'invisibile può essere dunque un aspetto della materia che ci sfugge in quanto è parte di una struttura interna di cui vediamo solo l'aspetto superficiale (cubismo). Può riferirsi al campo delle emozioni o della istintualità che a volte non solo è invisibile agli occhi ma non è presente alla coscienza, oppure a realtà sociali degradate o a fenomeni di emarginazione che vengono occultati e quindi resi "invisibili" da un assetto sociale che vuole salvare la "facciata" e continuare a tenere gli scheletri negli armadi (espressionismo). Può essere l'essenza di un oggetto o il significato che esso assume in un determinato contesto, evidenziato tramite alcuni tratti significativi piuttosto che con la riproduzione dell'oggetto "così come è" nella realtà. Può essere una zona di mistero che circonda il destino dell'uomo, la cui impenetrabilità produce un'angoscia esistenziale devastante se non è in qualche modo elaborata attraverso le forme del sacro o la ricerca di una soluzione misticheggiante che risolva l'angoscia nella trascendenza (astrattismo, suprematismo). Può essere infine l'aspetto concettuale della mente, il sapere, la conoscenza che richiedono di essere trasposti in forme poetiche, per poter essere meglio compresi (surrealismo).

La rivoluzione scientifica ha da un lato fornito spunti agli artisti delle avanguardie per esplorare alcuni di questi mondi, dall'altro, soprattutto sulla scia del pensiero positivistico, ha posto in ombra e a volte rimosso quelli che sono gli aspetti più umani e più oscuri del vivere. Nel tentativo di riprendere in considerazione questi ambiti forse la prima domanda che si sono posti gli artisti può essere: il mistero sta nella realtà del mondo o nel modo in cui noi la percepiamo?  In altre parole è il mondo ad essere incoerente, contraddittorio e impenetrabile oppure noi lo vediamo così perché i nostri sensi sono limitati e perciò incapaci di comprenderne le intime strutture e le logiche del suo funzionamento. Da qui una ricerca per andare "oltre" la percezione fisiologica, per catturare ciò che tramite di essa non si può raggiungere: l'arte allora diventa lo strumento per cogliere quello che i sensi non colgono, per attivare una sensibilità superiore che sappia penetrare il mistero esplorando zone sconosciute che pure fanno parte dell'esistenza, una realtà che pur non essendo percepibile dai sensi, è presente e condiziona la vita dell'individuo. Questa operazione richiede la scoperta di "forme" e di "linguaggi" che rimandino alle ipotetiche strutture di questa zona inesplorata e permettano, non tanto di fissarne la fisionomia, quanto di coglierle nella loro fuggevolezza e imprendibilità.

Rendere visibile la realtà e rappresentare l'invisibile o piuttosto creare forme che ad esso rimandino, può essere sempre stato, consapevolmente o meno, uno dei principali obiettivi di ogni artista in qualsiasi epoca, se intendiamo per artista colui che riesce a uscire dai canoni rappresentativi del suo tempo e a inventarsi forme, tecniche e combinazioni nuove per rompere con gli schemi della tradizione. In questo senso l'arte è sempre stata d'avanguardia. La ricerca del nuovo e la conseguente rottura con il passato hanno sempre provocato cambiamenti epocali nella modalità della rappresentazione. A volte sono emersi in modo velatamente dichiarato nelle opere di autori che, per motivi pratici (per lavorare dovevano fare ciò che gli veniva richiesto), dovevano comunque adeguarsi ai canoni dell'epoca.

Forse quello che caratterizza il cambiamento operato dalle avanguardie del Novecento è che il momento di rottura non viene fatto passare in sordina, non solo è presente e cosciente, ma viene esibito in modo provocatorio generando reazioni feroci o indifferenti nel pubblico dell'arte. Ogni momento di crisi determina quasi sempre anche un ritorno al "passato". Il momento di incertezza e di panico inevitabilmente provocato dal rifiuto di certezze già acquisite, nelle quali ci si è "formati" e in base alle quali si è stati educati, la tensione conseguente alla volontà di creare qualcosa di nuovo e di inventare forme e linguaggi diversi che possano esprimerlo, hanno bisogno comunque di aggrapparsi a qualche certezza. Se non possono essere quelle alle quali ci si sta ribellando, saranno quelle di "ipotetiche" origini nelle quali, si suppone, le cose non si erano ancora guastate, dalle quali ripartire per costruire il nuovo. Il rifiuto della tradizione e di "tutti i passati", tratto comune evidenziato nella poetica delle avanguardie, porta a rifarsi a un passato remotissimo: quello dei primitivi del quale sono testimonianza non solo i reperti archeologici ma anche l'arte contemporanea di quelle popolazioni che, resistendo all'invasione della modernità occidentale, conservano ancora uno stato di civilizzazione molto diverso dal nostro.

I cosiddetti primitivi, i quali necessariamente "sono rimasti indietro" ma possono aver seguito un criterio evoluzionistico diverso che non viene riconosciuto dal pensiero occidentale che si ritiene "unico", non si sono mai posti il problema di copiare dal vero; hanno invece cercato di rappresentare la realtà attraverso tratti essenziali che fossero in grado di cogliere sia il visibile che l'invisibile; e questo diviene uno degli elementi specifici che caratterizza la ricerca formale nell'arte d'avanguardia. Le figure dell'arte primitiva sono composte di segni, solchi, tagli, capaci di rimandare in modo diretto a stati d'animo, emozioni, paure reali, e di composizioni che raccontano storie nelle quali è contenuto il sapere e le conoscenze della tribù: anche questo sarà un argomento ripreso dalle avanguardie.

Per mettere a fuoco questo confine tra detto e non detto, tra realtà e immaginazione possiamo servirci di un' immagine contenuta nella poesia di Leopardi, L'infinito,  in essa troviamo un oggetto che si pone come punto di "confine" tra uno spazio delimitato in cui sta l'osservatore e uno spazio infinito che contiene il mondo.

Quello che, a mio parere, ci può far azzardare l'ipotesi che Leopardi sia più vicino alle avanguardie, che al pensiero del suo tempo in cui si sta  affermando una cultura e una sensibilità di tipo romantico, è il fatto di porre la siepe al centro della sua composizione: questa siepe che da tanta parte / dell'ultimo orizzonte il guardo esclude, occultando una parte del visibile, permette di immaginare ciò che sta oltre il visibile. Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella e sovrumani /silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo : il limite posto alla visione stimola il pensiero a cogliere questo infinito in cui si condensano passato, presente e futuro: e mi sovvien l'eterno / e le morte stagioni, e la presente / e viva e il suon di lei.  L'intuizione di questi mondi inesplorati provoca uno sgomento, ove per poco/ il cor non si spaura. Lo sgomento che sempre prova l'essere umano di fronte all'indefinito, all'imponderabile, uno sgomento che però non è solo paura ma anche fascinazione, se poi il poeta conclude che naufragar m'è dolce in questo mare.

Anche gli artisti delle avanguardie hanno spesso cercato dei segni, degli oggetti, che possono corrispondere alla siepe di Leopardi, che marcassero un limite e, oscurando la visione di ciò che è percepibile dall'occhio fisiologico, di ciò che è oggettivo, favorisse l'intuizione di altri spazi, permettesse di "fingersi" una zona che va oltre quella che in genere chiamiamo realtà, che va oltre il quotidiano, che scardina le certezze consolidate e in fondo anonime, dell'abitudine. Una zona che tuttavia è reale in quanto fa parte dell'Essere, per esplorarla non bastano gli occhi, occorre attivare il potere dell'immaginazione; non solo l'esperienza acquisita con fatica può aiutarci ma anche l'attenzione al caso, all'incidente, allo scarto, quell'imprevedibile che in certi casi ci impedisce di guardare può aprirci altri orizzonti: a volte occorre essere "ciechi" per vedere, tema presente nel mito, in cui spesso le figure che sono depositarie di saggezza sono private in tutto o in parte della vista fisiologica.

A questo punto passiamo dalla poesia alla medicina per trovare un'altra immagine che possiamo utilizzare per definire un altro tratto significativo della poetica delle avanguardie: il sintomo. Sappiamo tutti che la semiotica prima di rivolgersi allo studio della struttura dei linguaggi, è stata fin dall'antichità, una scienza medica: in particolare quel settore della medicina che studia i segni esteriori che permettono di diagnosticare una malattia. Quando in un organismo si crea uno stato patologico, c'è uno squilibrio interno, un trauma, una ferita, che ovviamente non si vedono, e qui torna il problema dell'invisibile, ma vi sono evidenti cambiamenti dell'aspetto esteriore chiamati sintomi, che rivelano la presenza di questo fattore di disagio interiore. Il sintomo è di per sé deformante: i gonfiori, il rossore della febbre, le modificazioni dei tratti somatici, rendono grottesco, brutto e a volte ridicolo l'organismo colpito da malattia.

Nel fare arte delle avanguardie ci si pone spesso l'obiettivo di segnalare un disagio, di scoprire problematiche che si tende ad occultare, di far emergere il rimosso, e lo si fa spesso usando linguaggi destabilizzanti, attraverso la provocazione, l'ironia, la deformazione. In questo senso allora si può dire che le opere degli artisti dell'avanguardia mettono in campo dei sintomi che rivelano la presenza di una malattia che mina alla base le strutture sociali.

Rappresentare uno stato di crisi e di disagio non è la stessa cosa che rappresentare ideali, passioni. I temi, i contenuti, le finalità sono profondamente diversi e richiedono quindi una profonda modifica dei linguaggi usati per esprimerli. Di qui la necessità di inventare nuovi linguaggi che siano adatti a rendere in qualche modo visibili queste problematiche, non ultimo quello della provocazione, forse uno dei pochi che può segnalare un disagio in un contesto in cui la maggioranza si rifiuta di vederlo.

Ma qual'è la crisi che viene segnalata dalle avanguardie impegnate in un totale ribaltamento dei codici tradizionali? Sappiamo che la malattia può essere provocata non solo da fattori esterni o da traumi ma anche da cambiamenti; l'organismo umano e anche quello sociale hanno una capacità di adattamento che richiede però i suoi tempi, quando i cambiamenti nell'assetto sociale sono allo stesso tempo radicali e simultanei possono mandare in tilt questo meccanismo di adattamento. Forse l'avvento della modernità, con lo sviluppo della tecnica e di un "progresso" che non conosce soste, ha portato all'affermarsi di una struttura economico-sociale in cui i mutamenti continui dei ritmi di vita, degli usi e dei costumi mettono a dura prova le capacità di adattamento dell'essere umano. Il progressivo instaurarsi di un apparato economico e finanziario che necessita di un mercato in continua espansione induce un'accelerazione dei tempi e una cancellazione di spazi che si possono tradurre in una "malattia" della quale i primi sintomi sono stati segnalati proprio dalle opere esibite provocatoriamente dagli artisti delle avanguardie.

I mutamenti che hanno costituito la base della rivoluzione epocale dovuta all'avvento dell'era moderna si possono forse riassumere in tre nuclei fondamentali:

  1) il passaggio dalla produzione prevalentemente artigianale a quella industriale ha comportato una diversa organizzazione del lavoro: mentre prima il lavoratore era consapevole delle varie fasi della produzione e a contatto con i materiali usati ora viene a poco a poco reso estraneo al ciclo di produzione; il lavoro subisce una frammentazione fino ad arrivare alla catena di montaggio in cui l'operaio, oltre a compiere un lavoro ripetitivo e alienante, viene ridotto quasi a ingranaggio della macchina.

2) la modificazione della rappresentazione dello spazio e del tempo dovuto anche all'accorciamento dei tempi richiesti per percorrere certe distanze grazie ai nuovi mezzi di trasporto

3) la diffusione dell'informazione crea un effetto di simultaneità: mentre prima le notizie riguardavano solo la comunità del villaggio o del quartiere, a poco a poco le notizie giunte da luoghi anche lontani si moltiplicano, sono sempre più precise e più documentate.

Ma anche sul piano filosofico una nuova concezione del tempo, formulata da Bergson, porta alla presa di coscienza di una realtà umana che forse prima era data per scontata: il tempo non si dipana solo in senso cronologico e lineare rispecchiando una certa idea della storia per cui un evento succede a un altro e in cui ogni evento è l'effetto di un altro precedente che ne sarebbe la causa; non c'è solo un tempo in cui nascita, maturità e morte avvengono in sequenza, ma vi è un altro tempo in cui si condensa il senso di eventi passati, presenti e futuri ed è la risultanza di questa compenetrazione che determina l'essere di un individuo in un determinato momento della vita. Così io, in questo preciso momento, agisco in un certo modo perché tutte le esperienze passate, non solo mie ma anche dell'ambiente in cui vivo, la situazione attuale e le aspettative per il  futuro si mescolano per produrre il mio modo di agire. Nello stesso tempo non vi è più un solo spazio, che è quello ad esempio di questa camera in cui mi trovo, definito da pareti e da oggetti che vi sono inclusi, ma ve ne sono altri, tutti gli spazi del mondo, presenti nello stesso momento in cui è presente il mio, e vi può essere anche uno spazio diverso, interiore, dove le cose non seguono la stessa logica che domina all'esterno, oppure uno spazio immaginativo, in cui può succedere ciò che solitamente viene ritenuto impossibile: il tempo e lo spazio della fantasia dove i ritmi e le direzioni di senso sono diversi da quelli del razionale e del reale, ma che non per questo sono meno presenti e funzionali all'esistere.

Tutto questo si può tradurre in una moltiplicazione dei punti di vista dai quali si può guardare il mondo, in uno scombinamento delle prospettive, nella percezione di una simultaneità dell'accadere degli eventi in cui scorre la vita.

Il progresso della scienza viene recepito in modo ambiguo nei campi dell'arte e del pensiero: da un lato le scoperte scientifiche stimolano negli artisti nuove ricerche, in certi ambiti vengono esaltate le nuove possibilità, quasi magiche, che il progresso procura all'uomo,  dall'altro vi sono correnti di pensiero che ironizzano o denunciano i possibili danni di una scorretto impiego della tecnica o le conseguenze negative di una concezione meccanicistica del mondo e della struttura dell'essere.

Abbiamo anche detto che la ricerca di ciò che sta "oltre", in un'area dell'esperienza che mette in campo l'indicibile ha sempre caratterizzato l'opera di artisti di epoche diverse e che l'arte è sempre stata "in divenire"; il suo sviluppo è caratterizzato da momenti in cui prevale l'innovazione e momenti in cui prevalgono canoni accademici istituzionalizzati. Il momento di passaggio che prelude alla comparsa dei movimenti d'avanguardia occupa più o meno la seconda metà del XIX secolo e comporta la presenza, sulla scena culturale di movimenti, di artisti e di letterati che con le loro opere prepareranno il terreno per la rivoluzione futura. I primi a ribellarsi al gusto accademico del momento sono  i pittori impressionisti: essi trasformano le tecniche pittoriche al fine di cogliere, del visibile, non tanto la sua forma compiuta e definita, quanto l'impressione che se ne ricava e per metterne in evidenza effetti particolari  studiando, ad esempio, il ruolo che ha la luce nella visione.

Anche dalla loro ricerca nascono, tra la fine del secolo e l'inizio del 900, i movimenti d'avanguardia veri e propri che si caratterizzano per quell'enfatizzazione del momento di rottura con il passato cui abbiamo già accennato. Ma le ricerche dell'avanguardia hanno le loro radici e sono ispirate anche a un vasto movimento che in tutta l'Europa ha dato origine a gruppi di artisti uniti dall'interesse per alcuni temi ricorrenti e per la condivisione di determinati stili rappresentativi: il simbolismo. Gli artisti appartenenti a quest'area si pongono il problema di riprendere in considerazione gli aspetti umani e trascendenti dell'essere contro le concezioni meccanicistiche che si vanno affermando e di esplorare, con i soli mezzi dell'arte, il mistero che circonda l'uomo ed eventuali altre dimensioni parallele che coinvolgono in modo indiretto la sua esistenza. Questa ricerca, piuttosto che accumulare certezze, preferisce tentare di esorcizzare le paure attraverso la rappresentazione dei demoni che in qualche modo le evocano rendendole più presenti e quindi più affrontabili oppure attraverso l'esplorazione di un mondo spirituale, nella definizione del quale si mescolano, a volte anche in modo ambiguo, religione e occultismo.

Tre grandi autori hanno segnato l'inizio dell'innovazione nella poesia, nel teatro e nella narrativa: Stéphan Mallarmé, Edgar Allan Poe e Luigi Pirandello.

Mallarmé compie una prima rivoluzione nella poesia studiando forme nuove di combinazione delle parole che non siano solo vincolate al senso di ciò che descrivono o alle regole della metrica ma piuttosto a una esigenza musicale. Le parole sono libere di combinarsi anche in base al loro suono. Il poeta si propone di rappresentare, come dice lui stesso "non tanto la cosa ma l'effetto che essa produce". La sensazione diventa protagonista. La poesia di Mallarmé non descrive ma suggerisce.

Nella narrativa di Edgar Allan Poe troviamo sempre più spesso una minuziosa descrizione delle sensazioni. Il racconto non si snoda più attraverso una concatenazione di eventi, quanto in una concatenazione delle sensazioni prodotte da questi eventi. In Il pozzo e il pendolo non troviamo la storia del protagonista condannato dal tribunale dell'inquisizione, ma la sequenza delle sensazioni da lui provate dal momento in cui ascolta la sentenza e per tutto il tempo della pena a cui viene sottoposto. Il tempo cronologico viene ridotto a una sola giornata, ma viene dilatata una dimensione temporale che è quella dell'esperienza che lui fa delle torture subite.

Pirandello scrive un lavoro teatrale in cui i protagonisti sono i personaggi, il che può sembrare una cosa ovvia, in realtà non lo è perché i personaggi  non esistono: il personaggio è qualcosa che sta tra l'essere umano reale, che è vissuto non si sa quando o il caso sociale che ha ispirato l'autore, e l'essere umano reale che è l'attore che deve, recitando, rappresentare il dramma vissuto dall'originario ispiratore dell'opera. Pirandello mette in scena questa entità che non è reale, che non sta né da una parte né dall'altra, ma sta "tra" e quindi è un elemento di confine.

In Sei personaggi in cerca d'autore sul palcoscenico in cui si stanno facendo le prove di una commedia, appaiono sei personaggi che dicono di essere rimasti senza autore e, avendo l'urgenza di mostrare il loro dramma, chiedono al capocomico di essere lui il loro autore. Dopo uno smarrimento iniziale, trovando interessante la loro storia, egli accetta ponendo come condizione che essi la raccontino per poi farla interpretare ai suoi attori. Ma il capocomico non ha capito che essi, essendo personaggi, non possono raccontarla ma solo viverla; questo si scontra con le esigenze "reali" della messa in scena teatrale, per cui la cosa si rivelerà impossibile, dimostrando allo stesso tempo l'impossibilità del teatro. Il dramma si può raccontare ma l'essenza del dramma si può solo "cogliere" in uno spazio collocato in una dimensione che sta tra il reale e l'immaginario e quindi non si può rappresentare con oggetti o persone tangibili oppure con le parole e le figure che copiano dal vero, ma si può solo suggerire o alludere ad essa attraverso segni che possano evocarla.

 

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