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SEMINARIO

ALLA RICERCA DELL'INVISIBILE

NELLE POETICHE DELLE AVANGUARDIE STORICHE

2002/2003

 

DALL'AVANGUARDIA AL DOCUMENTARIO SOCIALE.

Annotazioni per un percorso: Vertov, Vigo, Storck e Ivens

Di Laura Vichi

Dziga Vertov, Jean Vigo, Henri Storck e Jors Ivens sono quattro cineasti legati dall'esperienza dell'avanguardia cinematografica e da scelte ideologiche che influenzano fortemente il loro lavoro.

La ricerca dell'invisibile nelle loro opere (in certe loro opere) corre su un doppio binario: la sperimentazione linguistica da un lato e la comunicazione sociale o politica dall'altro. Per questi cineasti lo studio del linguaggio cinematografico è strettamente funzionale all'ideologia che vogliono trasmettere.

Fatta eccezione per Vertov, che vede nel linguaggio del cinema l'espressione delle possibilità del nuovo mondo rappresentato dalla Rivoluzione di ottobre e dai cambiamenti che ne sono conseguiti, per gli altri, che vivono in paesi non comunisti, vi è un percorso che conduce a far convergere l'esperienza dell'avanguardia in un discorso sociale o politico. Dziga Vertov resta un riferimento imprescindibile per tutti loro, ed è da qui che vorrei cominciare.

È forse bene chiarire l'esclusione di Ejzenstejn da questo incontro seminariale. Evidentemente, le figure qui trattate sono strettamente legate all'ambito del documentario, più precisamente sono tra i "padri fondatori" di questo tipo di cinema. La posizione di Vertov diverge notevolmente, "ontologicamente", da quella di Ejzenstejn. Com'è noto, tra i due ebbe luogo una forte polemica[1], che aveva al suo centro il concetto stesso di arte. Per Ejzenstejn l'arte è uno "strumento" ideologico, per Vertov è un concetto borghese e per questo è da rifiutare. Nei suoi scritti si parla piuttosto di comunicazione. Vertov è, dando luogo ad una vera e propria "aporia vertoviana", contro l'arte. In questo senso è molto vicino al pensiero costruttivista.[2]

Il progetto di Vertov è proprio quello di creare una cinematografia basata su un nuovo linguaggio attraverso il quale le masse di tutta l'Unione Sovietica possano comunicare tra loro. Inizialmente (dopo la rivoluzione, dal 1918) lavora alla Kinonedelja, il servizio di cinegiornali di stato. Ma, nel tentativo di dare alla nuova realtà sociopolitica un sistema di comunicazione e di informazione più adatto, mette a punto il progetto della Kinopravda (Cineverità, 1922).

"Cineverità" intesa come restituzione del mondo visibile, con l'aiuto della tecnologia e delle tecniche. In questo caso, il discorso artistico è profondamente permeato dall'ideologia, e la realtà è evidentemente quella del mondo proletario. In sostanza Vertov considera il cinema come il mezzo di riappropriazione del mondo da parte del proletariato, in opposizione alle tecniche mistificanti della borghesia. Per questo Vertov è contrario, più di ogni altro cineasta, al cinema di fiction. Per lui il cinema è il documentario e la sua funzione è soprattutto quella di fornire un linguaggio che metta in comunicazione tra loro le masse dell'Unione Sovietica.

Per realizzare il suo progetto, il cineasta per un certo periodo invia i suoi operatori per tutto il Paese affinché riprendano le diverse realtà delle popolazioni, e promuove proiezioni ambulanti sparse nei territori dell'URSS, cosa che rivela il ruolo educativo non secondario del cinema nella concezione cinematografica vertoviana. Da un certo momento in poi, la Kinopravda si distingue nettamente dalla cinecronaca attraverso un linguaggio che crea i collegamenti tra i materiali mostrati non solo dal punto di vista tematico (i grandi temi del lavoro e della costruzione del socialismo), ma anche formale (cioè educando il pubblico ad un linguaggio che è proprio del cinema: montaggio, associazioni formali e di movimento, didascalie che sottolineano i raccordi ecc.). Subito dopo realizza (in parte) il Kinoglaz (Cineocchio, 1922), progetto che si trova alla base della poetica vertoviana e che avrebbe dovuto documentare la vita dell'Unione Sovietica contemporaneamente in tutte le sue regioni. Vertov riesce a realizzare solo la prima serie del Kinoglaz, intitolata emblematicamente "La vita colta sul fatto". Questo titolo denuncia chiaramente la volontà di riprendere la vita nel suo svolgersi, non nel senso bergsoniano del termine, ma in senso materialista, che vede le produzioni spirituali dell'uomo (arte, religione, filosofia) come prodotti dalla struttura economica.

Vertov scrive di ciò in saggi e articoli che accompagnano tutta la sua carriera (già nel 1919 aveva scritto una sorta di manifesto, "Manifesto per il disarmo della cinematografia teatrale" in cui criticava il cinema che gli era contemporaneo). La sua teoria del cinema è ben delineata e trova un riscontro concreto nei film. Quasi contemporaneamente alla realizzazione della Kinopravda scrive un secondo manifesto, "Noi" (1922), in cui articola maggiormente il suo discorso a favore di un cinema che documenti in modo creativo, cioè svelando i rapporti nascosti tra le porzioni di realtà riprese attraverso modalità specificamente cinematografiche. Il cinema per Vertov non deve riprodurre, ma produrre realtà.

Con il Kinoglaz i principi di base della teoria vengono realizzati pienamente, oltre che enunciati in un saggio ("I Kinoki, un rivolgimento", 1923) successivo a "Noi" in cui annunciava anche la volontà di abolire la sceneggiatura o i piani di ripresa precostituiti e di orientare la macchina da presa verso lo svelamento, appunto, di un mondo che l'occhio umano non riesce a cogliere:

"Ecco il punto di partenza: utilizzare la cinepresa come un cineocchio molto più perfetto di quello umano, per esplorare il caos dei fenomeni visivi che riempiono lo spazio. [.] Sino ad oggi abbiamo violentato la cinepresa e l'abbiamo costretta a copiare il lavoro del nostro occhio [.]"[3]

e

"[.] Io sono il cineocchio. Io sono il costruttore. Io ti ho sistemato dopo averti creato oggi, in una camera straordinaria, inesistente, fino a questo momento anch'essa creata da me. In questa camera ci sono dodici pareti che io ho tratto dalle varie parti del mondo.

Combinando tra loro le riprese delle pareti e dei dettagli sono riuscito a disporle nell'ordine che ti piace e a costruire con precisione, basandomi sugli intervalli, una cinefrase che è, appunto, proprio questa camera. [.] Io sono il cineocchio. Io sono l'occhio meccanico. Io, macchina, vi illustro il mondo come io solo posso vederlo. Io mi libero, da oggi e per sempre, dell'immobilità umana, io sono in continuo movimento, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, striscio sotto di essi, vi monto sopra, io mi muovo a fianco a fianco col muso di un cavallo in corsa, io irrompo, a piena velocità, nella folla, io corro davanti ai soldati in corsa [.]. Ecco che, io, apparecchio, mi lancio per la risultante, manovrando in mezzo al caos dei movimenti, fissando un movimento mentre mi muovo anch'io nelle più difficili combinazioni. [.] La mi vita è diretta verso la creazione di una nuova percezione del mondo. Così io decifro in modo nuovo un mondo che vi è già conosciuto"[4].

L'idea vertoviana di un cinema a servizio delle masse in senso attivo, non è ben accolta dalle autorità, per cui i progetti del cineasta vengono spesso interrotti. Si cerca di arginarlo. Il suo è un progetto per un cinema maggioritario, in quanto propone di sostituire tutto il cinema come lo si è fatto fino a quel momento con questo nuovo linguaggio rivoluzionario. È evidente, inoltre, che il "realismo" professato da Vertov è ben lontano dal realismo socialista promosso più tardi da Stalin.

Ogni film di Vertov è un modo per riappropriarsi della realtà, anche sonora. Prestissimo infatti compie degli esperimenti sul suono, anche questa volta non in senso mimetico, benché utilizzando i suoni del mondo del lavoro, delle fabbriche, o le interviste (Sinfonia del Donbass, 1930; Tre canti su Lenin, 1934).

Il discorso e la riflessione di Vertov sul cinema è in parte sintetizzata in L'uomo con la macchina da presa (1929), incentrato sulla giornata di un operatore cinematografico e sulla realizzazione del suo film, dalle riprese "colte sul fatto" al montaggio, che in Vertov ha una funzione assolutamente fondamentale per la costruzione del discorso che veicola l'ideologia, ma anche per la fruizione del film in sala. L'uomo con la macchina da presa è una sorta di "summa" del cinema di Vertov, anche - specialmente - dal punto di vista linguistico. Idealmente il film si colloca alla fine di un percorso lungo il quale il pubblico è stato educato al nuovo linguaggio del cinema e ora è in grado di decodificare la realtà attraverso questo strumento di cui è perfettamente consapevole. Mostrare il meccanismo del cinema è per Vertov un modo di professare un cinema non mimetico, un cinema che può produrre una nuova realtà attraverso un linguaggio proprio.

In questo quadro, ad avere il primato è il montaggio. In "Istruzioni provvisorie ai circoli del Kinoglaz" (1926) dedicato ai diversi aspetti della realizzazione di un film, si legge:

"[.] I kinoki [.] lo [il montaggio] intendono come l'organizzazione del mondo visibile.

I kinoki distinguono:

il montaggio durante l'atto dell'osservazione: orientamento ad occhio nudo [.]

il montaggio dopo l'osservazione: organizzazione mentale [.]

il montaggio durante le riprese: orientamento dell'occhio armato di cinepresa [.]

il montaggio dopo le riprese: prima elementare organizzazione dei materiali [.]

il colpo d'occhio (individuazione dei pezzi di montaggio) [.]

il montaggio definitivo: evidenziazione dei temi minori e nascosti [.][5].

Risiede in gran parte in questo ruolo fondamentale del montaggio, la lezione di Vertov per gli altri cineasti presi qui in considerazione.

Si è visto, con Vertov, che in URSS il cinema d'avanguardia nasce dopo la Rivoluzione sovietica. Ma anche nel resto d'Europa è così. Il cinema presenta in questo senso una sorta di ritardo confronto alle altre arti, si deve però tenere conto che è anche un linguaggio più nuovo, il cinema nasce, si può dire, con il XX secolo.

Vorrei ora porre l'attenzione sull'incontro, che avviene negli anni Venti, tra l'avanguardia e la ricerca espressiva che questa rappresenta (di qualsiasi avanguardia si tratti) e il cinema documentario. È da notare che il termine stesso "cinema documentario" viene coniato proprio negli anni Venti, per cui questi due percorsi della storia del cinema si sviluppano parallelamente, ma ad un certo punto in alcuni casi vengono a convergere. Da questo momento in poi, queste due "istanze" non saranno più così disgiunte, si pensi alla neoavanguardia (anni Sessanta) o al cinema underground (anni Sessanta-Settanta, ma anche a quello contemporaneo, ad autori come Herzog, Marker, Ricci-Lucchi, Reggio o Forgacs e altri ancora).

Le avanguardie cinematografiche si sviluppano dunque per lo più negli anni Venti (da fine anni Dieci) e fino all'avvento del sonoro (1930 in Europa).

I film dei cineasti presentati in questa sede[6] sono della fine degli anni Venti, del momento cioè del cosiddetto "tramonto" delle avanguardie. Si deve comunque tenere presente che se i movimenti si sciolgono, l'avanguardia lascia segni indelebili nel cinema a venire e per tutti gli anni Trenta i segni sono visibilissimi.

Uno degli "eredi" occidentali più diretti di Vertov è senz'altro Jean Vigo, noto nel mondo della cinefilia soprattutto per L'Atalante (1934).

Vigo, che è più giovane di Vertov, riprende l'idea della "vita colta sul fatto" e nello scritto "Verso un cinema sociale" (1930), che è anche la presentazione del suo film A' propos de Nice si rifà a Vertov rielaborandone la lezione. Uno dei maggiori elementi di questa rivisitazione, è l'apporto dell'avanguardia surrealista, che emerge ad esempio nell'attenzione rivolta al corpo, nella dimensione del gioco (i giochi di parole surrealisti diventano qui ironici giochi di immagini), nella penetrazione della realtà che rivela una "surrealtà", ecc. In "Verso un cinema sociale" Vigo accenna non casualmente a Un chien andalou di Buñuel, in particolare all'incipit del film: l'occhio tagliato viene interpretato come la dichiarazione di voler vedere il mondo con occhi diversi da quelli abituali. Questo ci riporta quindi alla ricerca dell'invisibile, che nel film di Vigo è legato alla dimensione sociale (e politica) e in particolare alle differenze di classe.

Ma c'è di più. In Vigo, per la prima volta (i tempi lo permettono), c'è da un lato la consapevolezza che l'avanguardia è giunta al tramonto, per lo meno l'avanguardia intesa come ricerca di un linguaggio, e c'è la volontà di fare un discorso critico su di essa, dichiarando che è giunto il momento che il cinema rielabori questa esperienza attraverso l'impegno civile. Il film su Nizza non a caso sceglie come oggetto una città che è da un lato periferica (quindi A' propos de Nice si allontana dal gruppo dei film sulle metropoli il cui emblema è Berlin di Ruttmann, 1927), ma dall'altro lato una città dove si avverte la "decandenza morale" delle classi dominanti, viste nel luogo della loro villeggiatura.

E il linguaggio cinematografico è funzionale proprio ad estrapolare questa decadenza mettendola in ridicolo, a "svelare lo spirito di una collettività partendo dalle sue manifestazioni puramente fisiche". Il "punto di vista documentato", è l'atteggiamento del cineasta chiamato a prendere ed esprimere una posizione di fronte a "degli insulsi divertimenti, messi sotto l'insegna del grottesco, della carne e della morte, ultimi bruschi sussulti di una società che si abbandona, fino a darvi la nausea e a farvi complici di una soluzione rivoluzionaria"[7].

Molto vicino a Vigo è Henri Storck, che a differenza del primo resterà legato al documentario per tutta la sua lunghissima vita.

Storck è la figura che unisce idealmente Vigo a Ivens, uno dei padri della cinematografia documentaria e del cinema militante.

I tre si incontrano al Secondo Congresso del Cinema Indipendente di Bruxelles (1930) e Storck, che è il più giovane di tutti, collaborerà qualche anno dopo con entrambi. Tra i film proiettati al congresso vengono presentati A' propos de Nice di Vigo, Images d'Ostende e Trains de plaisir di Storck. Anche questi ultimi hanno al centro una città balneare, Ostenda, la "Nizza del nord", che è anche la città natale del cineasta. Mentre Images d'Ostende è una sorta di "sinfonia" di immagini, che applica alle riprese del mondo naturale e atmosferico il linguaggio dell'avanguardia, Trains de plaisir mostra le folle di bagnanti in modo caricaturale, stipate nelle spiagge, quindi in una prospettiva critica rispetto al proprio oggetto. Questa somiglianza di atteggiamenti, è indice più di una sintonia tra le due poetiche che di una mutuazione. In Storck è la pittura di James Ensor a fornire un forte riferimento iconografico. D'altra parte il cineasta ha trascorso l'adolescenza accanto al grande artista fiammingo. Più precisamente, si è formato frequentando i pittori della sua città (oltre a Ensor, Spilliaert e Permeke) giovanissimo e da questi ha mutuato tanto una certa iconografia del mare (Images d'Ostende) che l'occhio satirico di Ensor sulle orde estive dei bagnanti (si pensi al quadro La plage devant l'ancien Kursaal). L'esperienza con gli artisti ostendesi sarà forse uno degli stimoli che negli anni Cinquanta porteranno Storck a realizzare alcuni film sull'arte.

Ad ogni modo, tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta, il cineasta è ancora in una fase di formazione, di sperimentazione e appropriazione del nuovo linguaggio.

Al congresso Joris Ivens non ha portato nessun film, ma ha già realizzato alcuni lavori sperimentali negli anni precedenti, tra cui De Brug (1928) e Regen (1929), brevi "sinfonie" di immagini dedicate rispettivamente al ponte di Rotterdam e ad un momento di pioggia ad Amsterdam. Nel primo film è possibile cogliere, nei movimenti del ponte, una vicinanza al movimento De Stijl (1917) di P. Mondrian e C. van Doesburg, nel tentativo di estrapolare l'essenza del movimento verticale e orizzontale, dirigendosi verso una purezza dell'arte liberata, negli equilibri esatti delle linee, da ogni accidentalità.

Il percorso di Ivens, che si svolge per lo più all'interno del gruppo della Filmliga[8], il cineclub di cui fa parte, è quindi fino all'inizio degli anni Trenta soprattutto un percorso sperimentale orientato all'esplorazione del linguaggio filmico, anche se intorno al 1930 il cineasta è coinvolto nella realizzazione di film sul lavoro, alla Philips (Philips radio) o nei luoghi della bonifica di alcune zone dei Paesi Bassi (Wij bouwen, Zuiderzee), ma si tratta di film in cui non si esprime il punto di vista del lavoratore, né il "punto di vista documentato" del regista. Nel 1932 Ivens compie un viaggio in Unione Sovietica e al suo ritorno viene contattato da Storck perché collabori ad un film sugli scioperi dei minatori del Borinage, in Belgio, che erano stati repressi nella violenza. Il film Borinage (1933-34)[9] segnerà una vera e propria "conversione" di Ivens al cinema militante.

Quanto a Storck, dopo i film su Ostenda, nel 1932 ha l'occasione di realizzare due film di montaggio, Sur les bords de la caméra e Histoire du soldat inconnu che segnano un'adesione al documento di Vigo, cioè l'intenzione di rivolgere il linguaggio del cinema verso un'asprissima critica sociale. I due film presentano un discorso anticapitalista e antimilitarista molto esplicito. Ancora una volta emergono riferimenti all'arte, in particolare al collage dadaista berlinese[10] per l'assemblaggio di materiali eterogenei in un discorso satirico sul mondo sociale e politico[11].

Quanto a Borinage, si tratta sicuramente uno dei film fondatori del cinema militante per la netta presa di posizione dei cineasti e del film stesso di fronte alla situazione dei minatori belgi. Tuttavia, la sua posizione nella storia del cinema non è dovuta solo a questo. Infatti, si può dire, molto sinteticamente, che in esso è presente da un lato la lezione di Vertov (via Sur les bords de la caméra e Histoire du soldat inconnu), rinvenibile nell'importanza data al montaggio e nella riutilizzazione delle immagini di repertorio riorientate ideologicamente. Borinage infatti è costituito di parti composte di materiali preesistenti o riprese "sul fatto" e parti girate insieme ai minatori in cui vengono ricostruite scene realmente accadute.

La ricostruzione, esclusa categoricamente da Vertov, è invece il metodo impiegato dall'altra grande figura fondante del cinema documentario, Robert Flaherty, il cui metodo era basato sull'osservazione di popolazioni esotiche con cui il cineasta trascorreva lunghi periodi e con cui ricostruiva i gesti della vita quotidiana sullo schermo.

Con Borinage le due posizioni antitetiche situate alla base del documentario, si conciliano in un discorso ideologico che rielabora l'esperienza dell'avanguardia, la quale si fonde con l'istanza del documentario etnografico e con l'iconografia propria della regione, già ritratta da Van Gogh e da pittori locali, descritta da Zola (Germinal) e da altri scrittori, per originare un nuovo modo di fare cinema, che segna anche il "passaggio" dalle ricerche dell'avanguardia a quelle del documentario e del realismo cinematografico, come già aveva sottolineato Sadoul nella sua Storia del cinema mondiale.[12]

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Aubenas, J., a cura di, Hommage à Henri Storck. Films 1928-1985. Catalogue analytique, Bruxelles, CGRI, 1995, 2a ed.

Bianco e Nero, nn. 3-4, 1972.

Bianco e Nero, nn. 1-2, 1973.

Bono, F., Boschi, A., Reiter, E., a cura di, Filmliga, Università di Bologna, 1991, catalogo.

Brunetta, G.P., Costa, A., a cura di, La città che sale. Cinema, avanguardia, immaginario urbano, Rovereto, Manfrini, 1990.

Canosa, M., a cura di, Henri Storck. Il litorale belga, Udine, Campanotto, 1994.

Cavatorta, S., Maggioni, D., Joris Ivens, Firenze, La Nuova Italia, 1979.

Grande, M., Jean Vigo, Firenze, La Nuova Italia, 1979.

Ivens, J., Io-cinema. Autobiografia di un cineasta, Milano, Longanesi, 1979.

Montani, P., Dziga Vertov, Firenze, La Nuova Italia, 1975.

Nichols, B., "Documentary Film and the Modernist Avant-Garde", Critical Inquiry, n. 4, vol. 27, Summer 2001, pp. 580-610.

Vertov, D., L'occhio della rivoluzione. Scritti dal 1922 al 1942, a cura di P. Montani, Milano, Mazzotta, 1975.

Vichi, L., "Dal cinegiornale all'opera d'arte. I film di montaggio di Henri Storck", in A. Antonini, a cura di, Il film e i suoi multipli / Film and Its Multiples, Udine, Forum, Venti03, in corso di stampa.

Vichi, L., Henri Storck. De l'avant-garde au documentaire social, Crisnée, Yellow Now, Venti02.

Vigo, J. Ouvres de cinéma, a cura di P. Lherminier, Paris, Lherminier/Cinémathèque Française, 1985.

FILMOGRAFIA ESSENZIALE

Dziga Vertov

Kinopravda, 1922

Kinoglaz, 1924

La sesta parte del mondo, 1926

L'uomo con la macchina da presa, 1929

Tre canti su Lenin, 1934

Jean Vigo

A' propos de Nice, 1930

Zero de conduite, 1932

L'Atalante, 1934

Joris Ivens

Etudes des mouvements, 1928

De Brug, 1929

Regen, 1929

Zuiderzee, 1931-33

Philips Radio, 1931

Creosoot, 1931

Borinage, 1933

Henri Storck

Images d'Ostende, 1929

Trains de plaisir, 1930

Une idylle à la plage, 1931

Sur les bords de la caméra, 1932

Histoire du soldat inconnu, 1932

Borinage, 1933

[1] Si veda in particolare A. Grasso, "L'irrealismo socialista", in Bianco e Nero, nn. 1-2, 1973, p. 59 e tutto il numero della rivista. Si veda anche S.M. Ejzenstejn, "L'atteggiamento materialistico verso la forma", 1925, in G. Grignaffini, a cura di, Sapere e teorie del cinema, Bologna, Clueb, 1989, pp. 237-242.

[2] Il termine "Costruttivismo" viene usato per la 1a volta intorno al 1913 circa i "rilievi" di Tatlin. Si sviluppa però dopo la rivoluzione del 1917. I costruttivisti affermano di rifiutare l'arte borghese e propongono un nuovo linguaggio basato sulla proposta della tecnologia e della meccanica industriali. Con la rivoluzione i costruttivisti vedono la possibilità di rompere l'isolamento dell'arte dalle masse. L'artista diventa un tecnico del proprio lavoro.

[3] "I kinoki, un rivolgimento", in D. Vertov, L'occhio della rivoluzione. Scritti dal 1922 al 1942, a cura di P. Montani, Milano, Mazzotta, 1975, pp. 37-38.

[4] Ivi, pp. 40-41.

[5] D. Vertov, "Istruzioni provvisorie ai circoli del kinoglaz", paragrafo "I kinoki e il montaggio", in Ivi, p. 121.

[6] Cfr. filmografia.

[7] J. Vigo, "Vers un cinéma social", 1930, in Ouvres de cinéma, a cura di P. Lherminier, Paris, Lherminier/Cinémathèque Française, 1985, mia la trad.

[8] Si veda il cataologo Filmliga, Università di Bologna, 1991.

[9] Si vedano B. Hogenkamp, H. Storck, Borinage, n° speciale di La Revue Belge du Cinéma, nn. 6/7, 1983-84 e L. Vichi, Henri Storck. De l'avant-garde au documentaire social, Crisnée, Yellow Now, Venti02.

[10] Cfr. L. Vichi, Henri Storck, cit., pp. 23-36 e "Dal cinegiornale all'opera d'arte. I film di montaggio di Henri Storck", in A. Antonini, a cura di, Il film e i suoi multipli / Film and Its Multiples, Udine, Forum, Venti03, in corso di stampa.

[11] I due film di Storck si presentano, in sostanza, come due piccoli "Blob" ante litteram.

[12] Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 280-81.

 

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