Le riviste di poesia: incontro con «Téchne» (Parol
11, 1995)
a cura di Giorgio Bonacini.
Vetri - Darò qualche brevissima informazione di carattere storico sulla rivista e farò qualche osservazione di carattere generale. Considerazioni le mie che, naturalmente, potranno essere integrate o corrette, se necessario, dai redattori della rivista stessa.
La rivista è questa che vedete: cinque fascicoli, cinque oggetti multicolori, ma, bisogna subito dire, che "Tèchne" non è tutta qui, perché chi vedrà le copertine potrà leggervi "Nuova serie". Ciò significa che è esistita una serie precedente, una prima serie che, se le mie informazioni non sono sbagliate, si è svolta dal 1969 al 1976, con l'uscita di diciannove fascicoli. Ma, ancora, si può dire che la rivista non è tutta qui, perché a fianco dei fascicoli della rivista propriamente detta, nell'arco del tempo indicato, sono stati pubblicati numerosi libri, alcuni anche molto piccoli, che assommano complessivamente a cinquantaquattro. Quindi il corpo della rivista è molto più ampio di quanto non possa testimoniare, ad un primo incontro, questa seconda serie che per ora si compone soltanto di cinque fascicoli.
C'è un fascicolo "zero" di presentazione che è un fascicolo vuoto: tutte le sue pagine sono bianche. E questa non è soltanto una trovata divertente, giacché mi pare di cogliere una continuità tra queste pagine bianche e i vari editoriali che aprono gli altri numeri della rivista. Editoriali che si possono definire non-editoriali, perché l'editoriale vero e proprio è quello scritto, introduttivo, che viene steso per definire in maniera chiara e precisa gli intenti, le finalità, l'identità della rivista. Questi editoriali, invece, hanno una funzione apparentemente diversa da quella usuale, perché dicono poco di preciso, di netto, di esplicito. Anziché fermarsi a dichiarazioni chiare, direi che sono inviti a superare subito questa soglia per entrare nella conoscenza della rivista, leggendola a fondo nelle sue pagine interne.
Dicevo allora che il corpo della rivista è molto ampio, tenendo conto della prima e della seconda serie; e mi pare di poter dire, anche, che la sua stessa data di nascita (il 1969 appunto) non è nemmeno la data di inizio, non dico della rivista, ma del discorso che la rivista svolge. Vogliamo dire che ci sono delle premesse, delle sperimentazioni che hanno portato, come evento conclusivo, alla nascita della rivista, come riassunto e nello stesso tempo come rilancio della sua tematica.
Il discorso che la rivista ha fatto e che continua a fare, ha le sue origini sul finire degli Anni Cinquanta. Io credo che le sue origini siano da rintracciare nel dibattito, anche molto acceso, che si svolse sulla rivista fiorentina "Quartiere". Fu proprio in quegli anni che cominciò a delinearsi una linea di sperimentazione sul linguaggio della poesia, verbale e non verbale, avendo tra i promotori di questo discorso Lamberto Pignotti ed Eugenio Miccini. Quest'ultimo fu poi tra i fondatori di questa rivista e ne è tuttora il responsabile.
Ma di cosa si parlava in quegli anni sulla rivista "Quartiere", e che poi trovò svolgimento in due interessanti inserti della rivista "Letteratura" e poi, a partire dal 1963, nelle attività interdisciplinari del cosiddetto "Gruppo 70", all'interno di un più ampio contenitore che si può definire poesia totale?
Ecco, allora iniziava un'attenzione molto particolare al linguaggio della poesia; un'attenzione volta soprattutto a dimostrare che non esiste un linguaggio della poesia, ma che esiste il linguaggio, e che accanto a questa realtà del linguaggio (realtà ampia, composita, sfaccettata) esiste la poesia. La poesia vista, da ciò il titolo della rivista, come una tecnica; cioè come una tecnica di intervento sulla lingua nella sua complessità e varietà. Un intervento volto a vivacizzare, a lavorare con e sul linguaggio per trarne effetti inediti, smuovendo il linguaggio dal suo assetto ordinario che è quello della comunicazione.
L'oggetto dell'intervento, se all'inizio era prevalentemente il linguaggio verbale, si è poi via via allargato e ha coinvolto una varietà di altri linguaggi, con un lavoro sempre in bilico tra parola e immagine. L'attenzione verso il linguaggio si è poi ulteriormente allargata, passando dal linguaggio scritto a quello fonico-orale e a quello gestuale. Insomma, un'attenzione verso la realtà della comunicazione in tutte le sue componenti e valenze. E questo, grosso modo, è il filo conduttore della ricerca che ha trovato nella rivista "Tèchne", sia nella prima serie che in questa più recente, la sua attuazione.
Una sottolineatura particolare va fatta a una linea, che non è la prevalente, di attenzione per il linguaggio al fine di metterne in risalto non soltanto le valenze semantiche, ma anche le valenze concrete, le valenze fisiche. Un'attenzione, insomma, rivolta alla parola non soltanto come portatrice di significati, ma anche come oggetto grafico e sonoro.
C'è stato dunque, se consideriamo l'insieme delle sperimentazioni, un tentativo, che mi pare quello che ancora "Tèchne" tende a perseguire di sfruttare in tutte le sue componenti la realtà del linguaggio. Non soltanto tutte le componenti del linguaggio verbale, della parola considerata sia nella componente semantica sia in questa concreta, grafico-acustica, ma contemporaneamente tutte le componenti della comunicazione verbale e non verbale.
Questo orientamento della ricerca trova due piani di esercizio: da un lato l'attenzione alle sperimentazioni del presente di autori italiani e internazionali, dall'altro una rivisitazione del passato nel tentativo di scoprire o di fissare una sorta di tradizione pregressa di queste sperimentazioni.
Questo lavoro sul linguaggio si accentua soprattutto nel secondo dopoguerra con le neoavanguardie, ma certamente molti anticipi si devono rintracciare nelle zone più o meno conosciute dell'avanguardia primonovecentesca. Non solo, ma questa ricerca dei predecessori si è spinta anche molto più indietro, nel passato remoto, riscoprendo una serie di sperimentazioni orientate a trovare, del linguaggio, queste valenze grafiche.
Ricordo che in uno dei suoi scritti Lamberto Pignotti parlava di queste varie esperienze come di esperienze che ripercorrevano a ritroso la storia della comunicazione. Infatti la componente grafica del linguaggio aveva la sua accentuata espressione quando si era o all'inizio della stampa tipografica o addirittura quando la forma della scrittura era quella amanuense: cioè una forma di scrittura in cui l'originalità del tratto di ogni lettera aveva una rilevanza estetica, in cui la sensorialità e la percezione erano molto più accentuate.
Ma ancora si può andare più indietro, verso le origini, perché queste sperimentazioni contemplano anche un recupero della dimensione orale e gestuale, quindi teatrale, drammatica della comunicazione. Si ritorna perciò alle origini, quando la comunicazione non era scritta ma affidata all'oralità o alla gestualità.
Quindi due orientamenti di ricerca: uno attento al presente, con un intento di documentazione e di informazione di tutte le sperimentazioni che in questo campo si fanno in Italia e all'estero; e l'altro attento a riscoprire esperienze similari compiute nel passato.
Albani - Come si sarà capito dall'introduzione di Lucio Vetri, che qui ringrazio, quella che presentiamo oggi è una nuova serie di "Tèchne", iniziata a metà degli anni ottanta. Nuova serie che, a differenza della precedente, pone il suo centro d'interesse in quella letteratura cosiddetta "minore", nell'accezione borgesiana di "laterale", che riguarda il comico, il nonsenso, il bizzarro, il gioco.
Dunque rispetto alla passata "gestione" abbiamo spostato, o meglio allargato, la nostra ricerca sul versante del ludico, del giocoso, espressi attraverso i linguaggi visivi e verbali più differenziati. La prima regola che ci siamo imposti è la brevità (in sintonia con la piccola "taglia" della rivista): abbiamo perciò privilegiato l'aforisma, il racconto breve, la poesia alla maniera degli "haiku" giapponesi, l'intervento visivo senza troppi abbellimenti, pungente ed ironico. La prima serie della rivista nasce come lo specchio di un vero e proprio laboratorio di idee, come il "braccio visibile" delle teorizzazioni del Gruppo 70, una delle espressioni più significative, insieme al Gruppo 63, dell'avanguardia italiana del secondo dopoguerra. A fianco della rivista esisteva allora un centro culturale - appunto il "Centro Tèchne" - in cui si svolgevano dibattiti, proiezioni di film d'avanguardia, letture, ecc. Questo per dire che l'esperienza della prima serie della rivista coincide con una particolare atmosfera "surriscaldata" (siamo ancora sulla cresta dell'onda lunga del '68), caratterizzata in primo luogo da una battaglia contro l'industria culturale ed il "pensiero dominante" che sfocia in una "guerriglia semiologica" che è qualcosa di più di una semplice operazione artistica.
Inutile dire che il clima in cui nasce la seconda serie della rivista ("gli stupidi anni ottanta" come li ha definiti Sebastiano Vassalli) è completamente diverso. L'idea di riprendere "Tèchne" parte da una semplice constatazione: la mancanza in Italia di una rivista capace di farsi interprete di quell'area culturale rivolta alla letteratura per gioco. Da questo punto di vista i nostri modelli sono rappresentati, da un lato, dalla rivista francese "Bizarre" (il titolo stesso è già un programma!), fondata nel 1953 da Jean-Jacques Pauvert, di cui ricordo solo tre bellissimi numeri monografici sui "pazzi letterari" (n. 4), curato da Raymond Queneau, sulla "littérature illettrée" (n. 32-33) e su Raymond Roussel (n. 34-35). Dall'altro, ci siamo ispirati a "il Caffé", rivista di letteratura satirica fondata anch'essa nel 1953 da Giambattista Vicàri, che annovera fra i suoi collaboratori personaggi come Aldo Palazzeschi, Carlo Emilio Gadda, Giorgio Manganelli, Italo Calvino, ecc., e che, fra le altre cose, pubblica già negli anni sessanta alcuni testi dell'Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle), gruppo nato a Parigi nel novembre 1960 per iniziativa di Raymond Queneau e François Le Lionnais, fautori di una letteratura come "attività soggetta a regole".
Ecco, questi sono i nostri punti di riferimento ideali. In questo senso, registriamo con piacere che Giuliano Manacorda nel suo intervento Le riviste italiane degli ultimi decenni, introduzione al catalogo della mostra storico-documentaria sulle riviste italiane del '900 tenutasi a Roma dal 21 ottobre al 20 novembre 1991, cita tra "le riviste particolarmente sensibili ai motivi del comico o del ludico", oltre a "Cacao" di Jacopo Fo, "Il Cavallo di Troia" e "Tèchne", riconducendo l'esperienza di quest'ultime a quella de "il Caffé". In sintesi, la nuova serie di "Tèchne" è caratterizzata da una spiccata propensione al ludico, ovvero da un amore per la letteratura dei paradossi, per la letteratura "immaginifica" o "immaginaria" che dir si voglia.
Nanni - Infatti anche il numero zero presentava un paradosso. C'è un indice, per cui uno sospetta un elenco di titoli e di autori, invece troviamo: puntini (..........), pagina 1; puntini (..........) pagina 8, ecc. Quindi non c'è nulla e il lettore deve costruire la propria poesia o il proprio articolo.
Albani - Già, il numero zero (luglio 1985) si profilava come una "boutade", come una piccola provocazione. C'era un finto editoriale, intitolato Sic et simpliciter, in cui si spiegava che avevamo la possibilità di annunciare in diversi modi la nuova uscita di "Tèchne", e qui seguiva un elenco lunghissimo di figure in prevalenza retoriche (da acrostico, aforisma, allegoria, allitterazione, ecc. fino a tropo, variazione, zeugma). Ma "siccome correvamo il rischio di apparire un po' retorici", l'editoriale si concludeva affermando: "abbiamo scelto la forma più semplice: "TECHNE" riprende le pubblicazioni". Il resto del numero zero era composto di pagine bianche. Entriamo così nello spirito della rivista. L'editoriale del primo numero (settembre 1986), intitolato Lettera a Tèchne (un'editoriale vero, questa volta), scritto da Eugenio Battisti, l'abbiamo assunto un po' come il nostro portabandiera. In esso, Battisti scrive che nella situazione attuale le grandi operazioni culturali possono essere fatte solo più a due livelli: da una parte quello del massimo prestigio, che non significa però "accademia"; dall'altra, quello della ribellione da minoranza, rabbiosa e combattiva, costretta prima a difendersi dall'annientamento, poi a riconquistare qualche piccolo spazio, proclamando i propri diritti in tutte le occasioni. Naturalmente Battisti ci invitava a comportarci da minoranza, proprio perché alla minoranza è permesso parlare dell'inaccettabile, "far pettegolezzi, ironie, sarcasmi, sempre ad alta voce". E concludeva in modo esplicito: "Bisogna rifare il Burchiello".
La rivista pubblica solo testi creativi e inediti, almeno per il lettore italiano (niente saggistica seria, recensioni od altre amenità simili). "Tèchne" è divisa, anche se non rigidamente, in sezioni. Vi è una prima parte in cui riproponiamo testi delle avanguardie storiche. Ad esempio sul numero 3 (dicembre 1989) abbiamo pubblicato i Manifesti del Surrealismo in Cecoslovacchia di V. Nezval, presentati da Arturo Schwarz all'Istituto Francese di Firenze. Quindi abbiamo un angolo dedicato più specificatamente al gioco linguistico-letterario. Sempre sul numero 3 abbiamo pubblicato l'"avant-propos" del romanzo di George Perec La disparition, scritto senza usare mai la lettera "e". Quando il romanzo uscì (1969), la critica lo accolse con una serie di giudizi non positivi, scambiandolo per un insignificante romanzo giallo, senza accorgersi che la "sparizione" di cui parlava Perec era appunto quella della lettera "e". Un'altra sezione è dedicata a curiosità e bizzarrie di vario genere (sonetti monosillabici, "attestati di miserabilità", vocabolari palindromi, false etimologie, ecc.). Avendo un particolare debole per il non senso, non potevano mancare alcuni "limericks" inediti di Edward Lear, apparsi sul numero 4 (dicembre 1992). Abbiamo poi una sezione centrale generalmente dedicata ad un tema monografico: al momento sono uscite una "Piccola antologia di poesie politiche", una "Piccola antologia dei linguaggi immaginari" ed una "Piccola antologia della stupidità". Sulla rivista compaiono poi una serie di interventi, diciamo così, "estemporanei": ad esempio sul numero 1 (settembre 1986) la pagina 63, intitolata "La stoffa dell'artista", contiene un pezzo di stoffa autentica, incollata sul foglio; oppure sul numero 2 (settembre 1988) la pagina 107 presenta nell'angolo in alto a destra un taglio essendo dedicata all'orecchio di Van Gogh. Per concludere vorrei accennare ad un progetto futuro di "Tèchne".
Fra le cose a cui stiamo lavorando vi è un numero bibliografico interamente dedicato al tema delle "Bibliografie", in cui ci occuperemo in particolare delle cosiddette "pseudobibliografie" o "bibliografie immaginarie", ed ancora di bibliografie sui giochi di parole, su come scrivere i libri, sulle lingue inventate, sui "pazzi letterari", sui non-libri, sui libri "eccentrici", ecc.
A questo punto, poiché la rivista si occupa anche di "poesia sonora", ovvero degli aspetti sonori del linguaggio, vorrei farvi ascoltare qualcosa. Questi sono alcuni "Elementi per uno studio sulla sonorità delle parole" (con l'aiuto di gesti Albani "visualizza" il suono delle parole evocate):
Gocce di parole melanconiche che cadono dal rubinetto aperto della fantasia di un poeta romantico:
SPLEEN SPLEEN SPLEEN SPLEEN
Spostamento d'aria dovuto al passaggio improvviso di una sorpresa contenuta in un testo comico:
WITZ WITZ WITZ WITZ
Verso di una gallina che si riconosce nella propria comunità linguistica:
COINÈ COINÈ COINÈ COINÈ
Sibilo causato dalla frustrata e frustrante lettura di un libro di buone intenzioni, ma di cattivo gusto:
KITSCH KITSCH KITSCH KITSCH
Impatto violento del corpo di una frase con la superficie liscia di un mare di banalità:
CLICHÉ CLICHÉ CLICHÉ CLICHÉ
Suono prodotto dai colpi di parole sconvenienti che rimbalzano sul piano interno di un'opera letteraria:
TABÙ TABÙ TABÙ TABÙ
Effetto musicale della risacca dei ricordi che s'infrangono sulle sponde della memoria:
FLASHBACK FLASHBACK FLASHBACK FLASHBACK
Fuochi d'artificio di errori involontari in una notte d'agosto costellata di prose scadenti:
LAPSUS LAPSUS LAPSUS LAPSUS
Concerto di parole cinguettanti al levar della prima pagina di un romanzo naturalista:
INCIPIT INCIPIT INCIPIT INCIPIT
Rumore di passi di parole che inseguono l'ombra di una chiave di lettura nel vicolo cieco di un racconto poliziesco:
PLOT PLOT PLOT PLOT
Riproduzione autentica del modo di dare una voce al vocabolario:
LEMMA LEMMA LEMMA LEMMA
Di Lallo - E come un piccolo lemming (leggi: mammifero dei Roditori) la rivista compie delle migrazioni periodiche, alla ricerca di colori che non compaiono come lemma in nessun vocabolario. ""I colori"", scrive Wittgenstein, "non sono cose che abbiano proprietà ben definite, cosicché si possano senz'altro cercare colori, si possano immaginare colori che non conosciamo ancora, o così che possiamo immaginare qualcuno che conosce colori diversi da quelli che conosciamo noi". Aiutandoci con delle matite color ematite abbiamo trovato, solo per fare qualche esempio, questi colori: "color tacco visto di sotto" (Carlo Emilio Gadda); "color lunedì" (Delio Tessa); "colore... caca roi de Rome" (Carlo Dossi); "color carlomagno" (Luigi Malerba); "un colore tra quello della foca e del capitone" (Francesco Cangiullo); "blu-lampionaio" (Francesco Cangiullo); "color delle lavagne scolastiche imbrattate di gesso" (Max Jacob); "color d'ostia da siggillo" (Giorgio Vigolo); "colore da '89" (Carlo Emilio Gadda); "tinta primaverile del foglio, tra passero e canarino" (Carlo Emilio Gadda); "rosa come la gengiva del leopardo" (Jorge Luis Borges); "rosei come... le gengive coralline di un asino bigio" (Francesco Cangiullo). Insomma si può ben dire con Eduardo: "Quant'è bello 'o culore d''e pparole"; o, usciolando Porta, sentire: "I paroll d'on lenguagg, car sur Gorell, / hin ona tayolozza de color". Nell'ambito di questa tavolozza, un autore come Camillo Sbarbaro scrive: "occhi colore d'aria"; e Giorgio Manganelli, ne La Palude definitiva, aggiunge qualcosa in più: "... color d'aria mossa...". Da queste mie insistenti e folte citazioni, avrete capito che sono un tipo che si dà molte arie; e proprio per questo, voglio fare tre interventi molto ariosi e molto colorati. (Di Lallo gonfia, uno alla volta, tre palloncini di diversi colori, su cui c'è scritto la parola INTERVENTO. Dopo averli gonfiati li fa scoppiare). A questo punto posso darvi solo un consiglio: ogniqualvolta leggete "Tèchne", mangiate una mela di Vermeer.
Albani - Sul tema dei colori, e più in generale delle arti visive, gli interventi sulla rivista sono numerosi. A questo riguardo vorrei leggervi una poesia intitolata "Ricordo di un'avventura colorata":
Quella fantastica Seurat
nello Chagall di montagna
tu, Kandinskij come una nuvola Matta,
disegnata a Matisse,
prendesti il mio Picasso Grosz
sotto le Braque
decisa a farmi Gauguin fra le tue Kokoschka
Io alle Otto Dix: - Monet!
Morisot di gioia, mia Carrà!
-
e Dalí a qualche secondo ci
ritrovammo Boccioni
a Mirò il Klee della Nolde
che Léger avvolgeva il Mondrian
e mi sembrò di sentire il Corot di un
Arp,
pizzicata con dolci Dubuffet sulle corde
Nell'attimo sublime
gridasti nella tua lingua russa: - Da da! Da da! -
Di Lallo - Se ancora non fosse chiaro il tipo di poetica che anima la rivista, farò ora una dichiarazione di poetica leggendo una poesia sull'elastico. (Di Lallo tira fuori da un foglio piegato un elastico. Lo prende alle due estremità con le mani e, tirandolo fino a stenderlo tutto, grida: "Laaa poooeeeeesiiiiiaaa èèèè elaaastiiicaaaa").
Albani - Un altro studio sulla sonorità verbale, o meglio sulla "ticologia delle parole", è quello che vi leggerò ora, intitolato "Symptomatique tic d'une ecriture automatique (Eléments pour une étude sur la ticologie des mots)" (ad ogni "tic" fonetico Albani riproduce un tic corporale):
sémantique
esthétique
stylistique
ermenéutique
critique
linguistique
phonétique
glossématique
pragmatique
sémiotique
systématique
acoustique
poétique
poétique
poétique
poétique
Di Lallo - Per la nuova serie della rivista abbiamo pubblicato il numero zero con pagine bianche. Dalla vecchia "fuoriserie" ci differenziamo soprattutto per la pubblicazione di libri con pagine rigorosamente bianche. Ho portato un esemplare in ottavo (Di Lallo mostra il volume), affinché possiamo leggerne insieme qualche pagina. Se lo sfogliamo cosa troviamo? (Di Lallo apre il libro e lo "illustra"). Pagina 1: c'era una volta... ora non c'è più. A pagina 2 intravediamo Mondrian, mentre pascola una mandria di quadrati bianchi. A pagina 3 troviamo un ritratto di Sebastiano del Piombo in bianco di piombo. A pagina 4 una copia del ritratto, ma in bianco di zinco. A pagina 5 parmi di vedere Parma; mentre a pagina 6 parmi di vedere la Basilica di Parenzo. Nella pagina successiva: San Paolo fuori le mura e... fuori le pagine. A pagina 8, guardate, una pagina bianca travestita da lenzuolo bianco (Di Lallo tira fuori dal libro un pezzo di stoffa bianca). E a pagina 9 c'è un bicchiere di latte travestito da yogurt. A pagina 10: stelle visibili a occhio nudo per una vista fantastica. Emisfero del borotalco. Verso la fine del libro, solo per farvi qualche altro esempio, troviamo delle rare pagine inedite non scritte di Samuel Beckett.
Albani - Sulla rivista ci occupiamo anche di biografie. Questa che vi leggerò è "La breve nota biografica di un punto":
- Nasce a Puntala, in un puntofranco
vicino al mare.
- I genitori sono due punti fissi della piccola punteggiatura locale.
- Da puntino frequenta con scarso profitto le "i".
- Fugge di casa, ma ritorna sempre Punto e a capo.
- Entra in seminario aiutato da uno zio Punto Cardinale.
- Viene sospeso insieme ad altri due puntolini, dopo una furibonda puntaglia
scoppiata in refettorio per spuntati motivi.
- S'iscrive alla Facoltà di Puntina. Sogna di fare il puntore,
ma puntualmente abbandona gli studi.
- Conosce alcuni punteruoli che lo iniziano agli ideali dell'Impuntatura
sociale.
- Riprende gli studi e si laurea con una tesi su: L'uomo al punto
di Daniello Bartoli.
- Diventato Puntone, incontra il punto debole della sua vita che in
seguito gli darà tre puntini.
- Breve parentesi puntinista. S'interessa
alle vetrate del pittore olandese Arnould
de la Pointe.
- Durante la seconda guerra mondiale è Sottopunto in Punteria.
- Viene trapunto e fatto prigioniero sul
fronte occidentale del Puntamento.
- Tornato in patria, partecipa ai moti Contrappuntistici
distinguendosi per la sua generosa puntigliosità.
- È decorato al Punto d'Onore per una puntata vincente nelle retrovie
nemiche.
- Finita la guerra, fa domanda per entrare nei "Punti Interrogativi",
ma non supera l'esame del punto di vista ufficiale.
- È costretto a lavori umilianti. Fa il punto della situazione in
un restaurant cinese, il puntapiedi in
una discoteca ed il punto fermo in una stazione di posta.
- Comincia a scrivere, incoraggiato da un famoso punto critico.
- S'impone al grande pubblico con una scrittura
sobria, antipoetica. È un "punto controverso".
- Con il romanzo L'appuntato
arriva secondo al premio Strapunto.
- Diventa un punto di riferimento per le nuove generazioni di punti
letterari. Conosce Pontus Hulten.
- Vince il Puntello ed il Punteggio per la narrativa.
- Viene eletto punto esclamativo nelle
liste del "Movimento per il Punto Vita".
- Al culmine del successo, cade in un periodo di disappunto esistenziale.
- In cerca di nuove esperienze, dopo vari tentativi di puntualizzarsi
andati a vuoto, raggiunge il punto limite della sua interpunzione,
ma ben presto ne rimane deluso.
- Cominciano le puntature negative dei
critici.
- Annota nel diario: "Mi sento abbandonato da tutti, anche dagli
spunti più cari".
- Non scrive più, di punto in bianco.
- È ormai ridotto ad un punto dolente.
- Colto da un punctus improvviso, viene
trovato punto morto al rigo 27 di una pagina d'albergo.
Di Lallo - Come potete vedere i nostri interventi (soprattutto da quando abbiamo vinto una medaglia giallo limone, alle ultime limoniadi) sono tutti molto sensati. Sotto questo profilo ci occupiamo anche del rapporto tra linguaggio e matematica. In attesa che qualcuno scriva I Promèzzi Sposi, cercherò di chiarire questo tipo di rapporto. (Di Lallo prende due cartoncini; sul primo c'è la scritta SENSO, sul secondo NONSENSO. Avvicina o allontana dagli occhi i due cartoncini, in funzione del testo). Leggere la parola SENSO da una distanza insufficiente, è un NONSENSO. Leggere la parola NONSENSO da una distanza insufficiente, ha un SENSO. Leggere contemporaneamente la parola SENSO da una distanza sufficiente, e la parola NONSENSO da una distanza insufficiente; o, viceversa, leggere la parola NONSENSO da una distanza sufficiente, e la parola SENSO da una distanza insufficiente, è un ASSURDO. Da ciò si deduce che il linguaggio, come la matematica, ha bisogno di DIMOSTRAZIONI PER ASSURDO.
Dibattito
Studente - Considerando il vostro modo di intendere la letteratura, che diventa anche gesto teatrale, volevo chiedere la vostra opinione sulla satira e anche su un modo di fare, come il vostro, giocato non su una dimensione esterna, ma su una dimensione interna al linguaggio capace di scatenare la fantasia, come ad esempio Bergonzoni.
Albani - Per quanto riguarda Bergonzoni, lui è un bravo autore-attore che ha saputo costruirsi un proprio linguaggio. Le "cose" che facciamo noi, tuttavia, sono un po' diverse, anche se spesso i generi si sovrappongono e s'intrecciano. Il nostro modo di porgere le "poesie" è più vicino allo spirito delle serate futuriste e dadaiste, ad un tipo di declamazione spontanea, irriverente, quasi circense. Oggi, nell'ambito del comico, credo ci sia un qualche abuso dei "giochi di parola", che non di rado risultano gratuiti e più consoni ad un modello di fruizione pubblicitaria. La nostra comicità (ammesso che esista) affonda le sue radici nella "demenzialità" nonsensica delle avanguardie storiche. Sulla satira, o meglio su un certo tipo di satira "di consumo o d'intrattenimento", devo confessare che non la sento molto vicina, perchè troppo prigioniera dell'attualità, del contingente.
Di Lallo - Devo dire che nel nostro ambito è molto ambìta la stupidità, soprattutto se si tratta di una stupidità ambidestra. Musil ha scritto un bellissimo saggio sulla stupidità (mentre non ha scritto né un brutto né un bel saggio sul cavallo come agente di ambio). Del resto Flaiano, appuntito flàmine, scrive: "La stupidità degli altri mi affascina ma preferisco la mia".
Studente - Io volevo chiedere come mai nel vostro lavoro artistico c'è una così forte attenzione al gioco.
Albani - Per dirla con due parole, il gioco (nozione complessa) è un fenomeno che aiuta a riflettere, a pensare criticamente. Dunque è un formidabile strumento conoscitivo e terapeutico allo stesso tempo, nel senso che serve a non prenderci troppo sul serio.
Nanni - Ma è anche vero che il gioco ci rinvia all'infanzia, e l'infanzia è, tutto sommato, il paradiso. Almeno nella memoria, perché quando si è piccoli si è tartassati da tutte le parti, ma crescendo diventa il luogo, forse, freudianamente incantato del paradiso. Ora è chiaro che se si riesce ad entrare in questo meccanismo, si entra in una zona paradisiaca. Dopo, il vuoto, non è tanto ciò che tu provi, è forse la pienezza che si configura come vuoto rispetto alla necessità di tornare raziocinanti, adulti, pesanti. Ecco, io credo effettivamente che l'unico senso, del non senso, qui sensatamente agito, sia quello di salutarci, oppure di continuare il gioco in proprio, se qualcuno se la sente.