55ma Mostra del Cinema di Venezia
Introduzione a Venezia '98
di Tommaso Bartalesi
Secondo festival della direzione Laudadio: drastica riduzione dei titoli da parte del curatore che, se non ha sostanzialmente modificato l'organizzazione delle sezioni, si è espresso favorevolmente per un'abolizione del concorso, ormai ritenuto superfluo da alcuni tra i maggiori festival internazionali.
Vediamo in dettaglio le proposte di questa edizione.
Spazi e volumi
E' il secondo anno anche per l'esperimento Palalido, ovvero il ghetto della stampa. Per fortuna i giornalisti non vanno tutti insieme a vedere gli stessi film: l'unica volta che è successo (per Woody Allen) è scoppiato il caos e metà degli accreditati (fra cui io) non sono riusciti a entrare. Una volta dentro però le sofferenze non finiscono: o l'immagine è sfocata o il volume è assordante. Un patimento. Poi c'è stata la simpatica gag in cui Laudadio si è lamentato che i giornalisti parlano solo tra loro e non riportano negli articoli il parere del pubblico. OK, facci entrare in Sala Grande, però... Risultato: d'accordo, ma solo a cinque minuti dalla fine. Troppo buono.
Concorso
Degli italiani parleremo meglio in seguito. Per adesso citiamo quelli selezionati per la sezione più prestigiosa (si fa per dire): Così ridevano (di Amelio, che fra l'altro ha vinto il Leone d'oro), L'albero delle pere (Archibugi: non male il titolo per un film sulla droga, vero?), I giardini dell'Eden (D'Alatri) e, dulcis in fundo, I piccoli maestri (Lucchetti). Non sono molti quattro film italiani per un concorso che conta più di venti titoli: solo che quattro film così sono un po' troppi. Passi Amelio (il Leone ci poteva anche stare, più per il passato che per questo film di aurea mediocrità, quindi brutto), ma gli altri ve li raccomando. Rimandiamo a dopo.
Quello USA non è un pattuglione: fuori concorso personaggi del calibro di Spielberg, Allen e Spike Lee, rimangono a rappresentare le stelle e le strisce Abel Ferrara (New Rose Hotel), John Dahl (Rounders), Anthony Drazan (Hurlyburly) e Warren Beatty (Bulworth). Quattro, come gli italiani. Pensa te. Di cui due insignificanti (ma quello di Beatty non l'ho visto) e uno, quello di Ferrara, attesissimo (scene da assalto alla diligenza nella proiezione serale al Palalido), che ha diviso la critica e un po' deluso il pubblico.
L'Europa vede schierati: Francia (Rohmer, Nicole Garcia e Yves Angelo, più la solita presenza massiccia di co-produzioni), Germania (Lola corre del giovane Tom Tykwer, che si porta dietro la pericolosa aurea di "quello che ha fatto resuscitare il cinema tedesco": chissà com'erano messi prima...), Portogallo (Botelho con Tràfico: il vincitore morale, non c'è storia!), Romania (Terminus Paradis di Lucian Pintilie: niente male), Gran Bretagna (Pat O'Connor e Anand Tucker), Spagna (Los amantes del circulo polar di Julio Medem) e Jugoslavia (il presenzialista Kusturica, che si becca il Leone d' argento).
Infine il Resto del mondo: Makhmalbaf (Il silenzio) e Solanas (La nube: bella sòla!). Un po' pochini: niente Africa, né Estremo Oriente, che negli ultimi anni l'ha fatta da padrone (il Leone a Kitano dell'anno scorso è il più meritato che si sia visto al Lido ultimamente).
Notti & Stelle
La sezione tradizionalmente più spettacolare, film di grosso richiamo e grandi divi in passerella: non per niente qui gli americani la fanno da padroni. He Got Game di Spike Lee, The Truman Show di Weir, Out of Sight di Soderbergh, Apt Pupil di Singer e Ronin di Frankenheimer i titoli più illustri ed attesi. Di rincalzo Larry Clark (Another day in paradise) Rafelson (buono Poodle Springs, tratto da Chandler), Davis (con l'inutile remake di A perfect murder), il franco-canadese Girard con Red Violin (brutto) e per la vecchia Europa un biopic su Lautrec (di Roger Planchon) e nientepopodimeno che un inedito Ligabue regista con Radiofreccia . Le cose migliori si vedono dalle parti di Lee (a suo agio quando si parla di basket) e Weir, di cui parleremo poi. Solidi Soderbergh e i vecchi volponi Frankenheimer e Rafelson, deludente e presuntuoso Singer, mentre Clark si salva a metà. Il resto è più notti che stelle: si poteva fare di più, sinceramente. Una ventatina di gioventù, per esempio, non faceva male.
Prospettive
Questo dovrebbe essere il palcoscenico della sperimentazione, dei ponti verso il futuro. Non proprio. La prospettiva in realtà si rivela spaziale più che temporale: una sorta di risarcimento di "quel Resto del mondo" praticamente escluso dal concorso ufficiale, più qualche italiano di rincalzo. Qualcosa di buono comunque si vede: alcune delle cose migliori del Festival. Del resto la sezione è corposa: una trentina di titoli, se si esclude la sottosezione delle "prospettive video". Su tutti Tsukamoto (Bullet ballet), Ruiz (Shattered image), Paskaljevic (La polveriera), Kahn (L'ennui), Gitai (Yom Yom), Chytilovà (Trappole, trappole, trappoline) e la sorpresa Train de vie del rumeno Mihaileanu. Insomma conferme più che novità. Ma il film sulla bocca di tutti era un altro: l'italianissimo Viol@, di Donatella Maiorca. In realtà si tratta di un pippone telematico insostenibile, ma questo non interessava a nessuno: tutta l'attenzione era concentrata su Stefania Rocca e le sue performance. Per il Lido correva voce di ditalini da venti minuti e passa; raffreddiamo i bollori: saranno un paio di minuti scarsi. Però bella è bella, niente da eccepire.
Settimana della critica
Ma che senso ha? Una sezione di sette titoli appena, senza nessun criterio di scelta individuabile come "a sé" rispetto a Prospettive o al concorso stesso. E' messa lì tanto per echeggiare la Quinzaine di Cannes? E poi: se questi li sceglie la critica, gli altri film chi li sceglie? Meglio non chiederselo.
Nello specifico, anche qui luci ed ombre. Alla finta spregiudicatezza di The opposite of sex (Don Roos, con la baby-diva Christina Ricci), alla noia mortale di La mère Chrstiane (Myriam Boyer) fanno da contraltare prove poco classificabili come Beat (Myamoto), magnifici deliri come Il tallone di ferro dell'oligarchia (del russo Bashirov, che fa tutto da solo) e già che ci siamo mettiamoci anche la serie B bborgatara di Caligari (ricordate Amore tossico?) con L'odore della notte. Orphans (dello scozzese Peter Mullan) non l'ho visto: pare che fosse il migliore del gruppo.
Fuori Concorso
Altro mistero. Qualcuno ci spieghi la differenza tra questa sezione e, per dire, Notti e stelle. Grossi nomi, di richiamo (Allen, Spielberg, Ivory, Lelouche) un paio di outsider (Shekhar Sakur con Elizabeth, di cui nessuno sentiva la mancanza, e Doris Dorrie con Bin ich schön?) e gli italiani sfigati che non sono stati presi al concorso: Placido, i Taviani bros., Peter Del Monte e (udite udite!) Albertone Sordi. Chissà perché, poi? Del perduto amore, ad esempio, ci poteva quasi anche stare. Al posto di Luchetti, magari. Ma Placido è troppo poco allineato: Ulivo rules...