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Musica e pertinenza: dibattito sul significato della musica (Parol 11, 1995)

di Fausto Garbin

Nel numero 7 (1991) di questa rivista si è pubblicato una "lettera sul significato nella musica" redatta dal Prof. Franco Ballardini. Alla fine di questo breve scritto si auspicava l'apertura di un dibattito sull'argomento proposto dal titolo. La proposta è stimolante perché Ballardini solleva nella sua lettera questioni che - mutatis mutandis - hanno percorso la riflessione estetico-filosofica sulla musica da Pitagora ai giorni nostri. La lettera mette innanzitutto in discussione la pretesa a-semanticità e a-concettualità della musica, sostenute in vario modo da semiologi contemporanei quali G. Stefani e J.J. Nattiez e altri ancora. Questa mia risposta, invece, vuol porre l'attenzione soprattutto sulla parte propositiva della lettera, senza perdere d'occhio che in essa obiezioni e proposte sono legate a filo doppio. Nella prima sezione si tenterà una breve sintesi delle proposte di Ballardini, mentre nella seconda si tenterà di fare qualche osservazione critica su queste proposte che diano un pur minimo contributo alla discussione.

I

Il tentativo di Ballardini è quello di riprendere alcune posizioni epistemologiche e semiologiche espresse da autori come Prieto e Nanni e usarle per proporre un approccio in qualche misura innovativo ad alcuni problemi di semantica musicale, storicamente ricorrenti. La questione del significato ha - qui - una sua pertinenza quando si arriva a pensarla come una delle questioni centrali ed ineludibili della semiologia musicale. E sembra essere questo il caso di Ballardini. Infatti egli avverte subito di essere d'accordo con chi (come Nanni) dà della musica una definizione semiotico-cognitiva, affermandone il carattere segnico, seppure sui generis. Però, va precisato che il problema posto da Ballardini, non è quello del senso (dei sensi) che la musica viene di volta in volta ad assumere metalinguisticamente (attraverso il linguaggio discorsivo che esplicita le poetiche, le posizioni della critica, ecc ... ); né quello della polisemia dell'opera d'arte musicale; bensí quello della "significazione originaria; di verificare insomma il suo [della musica] effettivo status di linguaggio in senso discorsivo" Su questo punto Ballardini si sofferma per dissentire da quegli studiosi che negano la semanticità e la concettualità del linguaggio musicale solo per il fatto che i suoi significati sono relativamente "astratti" e "non-referenziali", oppure perché vincolano "concetti immanenti", cioè del tutto interni alla musica stessa, o non ne vincolano affatto (per es., se sono intesi nel senso kantiano del termine "concetto"). Se si accettassero le posizioni or ora accennate lo stesso fatto di definire la musica pur sempre - un linguaggio, dovrebbe essere messo in discussione. Per formulare le obiezioni a queste posizioni, la riflessione di Ballardini si precisa ulteriormente. Infatti, riprendendo Prieto, egli arriva a dire che se "è un concetto anche l'identità sotto cui si riconosce un oggetto, ossia l'intensione (la comprensione) della classe di cui esso viene riconosciuto membro, allora sono concetti anche i significanti e i singoli fonemi della lingua. E sotto questo profilo non v'é dubbio che la musica sia piena di concetti; lo sono tanto il tema della Quinta di Beethoven quanto il timbro di un flauto e piú in generale tutti gli intervalli melodico-armonici e tutte le figure ritmico-metriche che il soggetto musicante/ascoltante riconosce ... [come anche] i tratti 'soprasegmentali' dovuti all'intensità e al tempo d'esecuzione, per non dire della struttura formale [di un'opera]. In tutti questi casi insomma si ha a che fare con identità pertinenziali attraverso cui viene conosciuta la realtà materiale dei suoni" Le domande che ne scaturiscono sono: la musica è concettuale già a livello di espressioni significanti? E soprattutto: quali sono i punti di vista da cui vengono costituite le identità pertinenziali che il soggetto musicante/ascoltante mette in gioco 'storicizzando' (come direbbe ancora Prieto) la "realtà materiale" suono?

Per rispondere a queste domande, Ballardini ricorre abbondantemente ad esempi tratti dalla storia della filosofia e dell'estetica, musicale e non. Egli prova a mostrare - per esempio come alcune teorie musicali, basate su sistemi filosofico-metafisici, si rivelino essere legate fortemente (iconicamente) ad alcuni modelli culturali (cosmologici, fìlosofici, scientifici, o culturali tout court) dominanti all'epoca in cui compaiono, assumendo il ruolo - per cosí dire - di 'langues musicali' delimitate storicamente. Tutto questo, anche se solo implicitamente, in - piú o meno - stretta analogia con la langue (saussuriana) delle lingue naturali, che soggiace ad ogni sua parziale attuazione negli 'atti di parole'. Gli atti di parole - nel nostro caso - hanno i loro spazi di attuazione ed attualizzazione - per es. - nelle poetiche dei musicisti e nelle interpretazioni, attribuite da critici e fruitori coevi in genere, ai singoli testi musicali. Per Ballardini la teoria musicale diventa cosí uno dei topoi in cui la signifìcazione originaria, la langue musicale di un'epoca trova le sue coordinate.

Ballardini ha come obiettivo di mostrare l'esistenza "di una significazione musicale di base anteriore e piú generale rispetto ai singoli testi". Questa significazione musicale di base risiede proprio (anche se non esclusivamente) nella teoria musicale, cioè in quell'insieme di codici e grammatiche normative che larga parte della semiologia musicale (Stefani, Nattiez, Fubini, ecc ... ) considera solo come mera organizzazione di significanti (un s-codice: cioè un codice-struttura le cui unità sono defìnite per la loro mutua posizione e nessuna di esse vincola significati). Per esempio: "l'armonia tonale classifica gli accordi in consonanti e dissonanti; ma gli stessi accordi sono stati classificati in modo opposto dall'armonia modale pre-tonale o da quella pantonale post-tonale... E cosí [prietianamente come una 'consonante sonora' può essere o non essere riconosciuta come tale, ma non può certo essere riconosciuta come 'non sonora', alla stessa stregua le diverse 'caratteristiche materiali' di un accordo musicale potranno essere riconosciute come pertinenti oppure no, ma non potranno certo essere riconosciute contemporaneamente in maniera opposta [consonanti e dissonanti allo stesso tempo; ndr]. Se ciò avviene (come di fatto è avvenuto) vuole dire che i concetti di consonanza individuano non caratteristiche materiali del significante, ma piuttosto veri e propri significati cui corrisponde volta per volta, una diversa pertinentizzazione dell'universo sonoro" Stesse considerazioni valgono per le funzioni sintattiche e gerarchiche che le varie teorie musicali assegnano ai diversi intervalli melodici e ai diversi gradi della scala. Per Ballardini "si tratta di significati molto semplici, una sorta di 'topologia' elementare simile a quella che si può trovare (che so) nel gioco degli scacchi o della dama... o nella danza. Ma pur sempre di significati si tratta, e 'interni' alla teoria musicale e forse proprio ad essi allude tutta l'ampia letteratura musicale sul significato 'puramente musicale' della musica. Una significazione che forse la semiologia potrebbe (dovrebbe poter) mettere in chiaro oggi, senza piú incorrere nell'equivoco di una musica a-semantica o 'puramente sintattica' o nell'ambiguità di significati musicali a-concettuali o 'immanenti'"

Concludendo questo breve riassunto, giova ricordare che Ballardini tenta di portare alla luce - almeno in parte - delle vere e proprie langues musicali istitutrici di codici intersoggettivi, le quali precedono, guidano gli approcci e segnano i confìni agli interpreti delle epoche culturali in cui sono nate o che le hanno fatte proprie. Dal punto di vista della pertinenza prietiana, le teorie musicali datesi nelle diverse epoche, hanno avuto - al di là delle pretese ideologiche - un'importante portata semantica nel costituire il sostrato di punti di vista sulla base dei quali si pertinentizzava il 'suono', in un modo piuttosto che in un altro. Queste diverse proposte di pertinentizzare (spesso pretendendo, inconsapevolmente, solo di 'naturalizzare') il linguaggio musicale, sono contenute proprio - anche se non solo - nelle teorie musicali. I contenuti di tali punti di vista sono spesso mutuati dai modelli cosmologici, filosofici, scientifici (o culturali tout court), coevi alle teorie musicali di cui costituiscono il sostrato. Le pertinentizzazioni che le teorie propongono, di primo acchito, sembrano avere un carattere "immanente", "puramente musicale" o addirittura a-concettuale. Ma in una prospettiva prietiana, l'aconcettualità intrinseca della musica - si veda la definizione di "concetto" riportata poco sopra - è un non senso. Mentre i "Significati interni" sono categoria ambigua, perché induce a considerare la non-referenzialità e l'iconicità dei significati musicali come la causa della loro semanticità inesistente o - quantomeno - spuria, costringendoci a considerare 'immanenti', categoria che rende spuria anche la segnicità (mettendo in discussione l'esistenza dell'aliquo a cui l'aliquid dovrebbe rimandare). Infine, il diverso grado di aderenza alla 'realtà' delle pertinenze che scaturiscono da queste teorie spesso è 'spia' che indica - se non altro la presenza di "verità pertinenziali storicamente valide", in quanto insieme di codici e grammatiche normative che mantengono - nonostante tutto - un solo spessore semantico, pur pretendendo di trovare nel suono, tratti pertinenti che il suono non può avere. Si pensi - ad esempio - al caso di Rameau segnalato da Ballardini. D'altro canto, scrive Ballardini nell'ultima pagina della Lettera: "Non è forse piena di significato anche la sintassi?".

II

Senza tanti indugi è bene dire che chi scrive condivide le proposte - per certi versi innovative - del Prof. Ballardini, sia per quanto concerne l'allargamento del campo degli studi semiologici alle teorie musicali, sia in riferimento ad una loro innegabile portata semantica in riferimento all'epoca culturale in cui compaiono. E non potrebbe essere altrimenti per chi segue con un certo rigore la prospettiva prietiana.

Uno dei caposaldi di questa prospettiva epistemologica è quello di attribuire alla scienza, e alla semiologia in particolare, la possibilità di descrivere rigorosamente i cosiddetti 'oggetti alla seconda potenza' cioè i punti di vista a partire dai quali culture diverse conoscono (pertinentizzano) il mondo, che 'in sé' è "oggetto materiale" imprendibile e mai del tutto esauribile. Ciò non vuole certo dire - come già ho accennato - che il mondo (la "realtà materiale") si lasci conoscere indifferentemente da qualsiasi punto di vista. Tuttavia è innegabile che - cognitivamente parlando - i suoi 'assensi' e i suoi 'dinieghi' sono tali solo rispetto alle domande che gli poniamo, domande che pre-suppongono sempre qualche punto di vista piú o meno consapevole. Dunque - per quanto interlocutorio sia il lavoro di Ballardini - è comunque un lavoro interessante.

Neppure sull'impostazione epistemologica - a mio parere - ci sono da fare sostanziali obiezioni. Sulle proposte teoriche - invece - nascono alcune perplessità in merito ad alcuni, punti di una certa importanza. Ma prima viene da fare subito un appunto di carattere metodologico.

Si potrebbe sintetizzarne il contenuto - parafrasando lo stesso Ballardini - con una domanda retorica di questo genere: non è forse la semantica inscindibile dalla pragmatica? Lo è certamente in quelli che si sono chiamati (saussurianamente) gli atti di parole, ma non di meno lo è nella descrizione delle langues.

Quello che sembra essere un po' trascurato nello scritto di Ballardini è proprio l'aspetto pragmatico delle langues che egli vorrebbe descrivere. Questo non significa che tale aspetto sia da considerarsi separatamente da tutto il resto. E' insita nell'attività descrittivo-analitica la possibilità di fare un momentaneo zoom su ciò che si vuol guardare piú in dettaglio, lasciando, inevitabilmente, sullo sfondo il resto. Ciò non significa che il resto non esista o lo si debba perdere d'occhio defìnitivamente.

In termini piú tecnici bisognerà, quindi, porre l'attenzione sui cosiddetti 'scopi semiosici che ogni intentio culturae (per usare una nozione cosí prepotentemente portata alla ribalta da Nanni) di una data epoca ha affidato alla musica, (o all'arte in genere, se la musica è considerata in quell'epoca, parte non scindibile di un insieme piú vasto). Cosa che, per quanto concerne la contemporanea langue dell'arte è già stata tentata - e a mio parere con successo - appunto da Luciano Nanni.

Innanzitutto bisogna tener conto di questo quando si parla di musicisti e fruitori (critici, spettatori, ecc ... ) assimilabili alla nostra intentio culturae. A meno che non si consideri la contemporanea langue della musica come qualcosa di completamente avulso da quella dell'arte o meglio da quella della nostra cultura tout court.

In due parole, Nanni ha scoperto che lo scopo semiosico dell'arte, per la nostra contemporanea cultura, è diverso da quello del linguaggio díscorsivo (referenziale, direbbe Jakobson). Infatti quest'ultimo ha - in sintesi - come scopo semiosico principe, quello di arrivare a far capire al destinatario ciò che il parlante (l'emittente) vuole dirgli. Quello contemporaneo dell'arte è far funzionare l'opera, che è - prietianamente - un "oggetto storico", come se fosse - sempre prietianamente - "un oggetto materiale", esautorando in questo modo l'emittente, perché nella nostra langue dell'arte il destinatario non ha piú lo scopo semiosico di essere - per cosí dire - 'al servizio' appunto dell'emittente.

Questa scoperta (non l'ha inventata Nanni la contemporanea langue dell'arte, l'ha solo 's-velata') è stata possibile solo partendo dall'insieme degli atti di parole (dalle pertinentizzazioni, dalle interpretazioni delle opere che si sono date nel nostro secolo e si continuano a dare in campo artistico, oggi), i quali (le quali) fungono da orizzonte per ogni nostra ipotetica descrizione dell'arte stessa. Non diversamente dovrebbe essere per la semiologia della musica quando indaga - con questa prospettiva - epoche diverse dalla nostra. Con un esempio ci si può spiegare meglio.

Quando Ballardini fa indagini sulla teoria degli armonici di Rameau, scopre che questo musicista e teorico pretendeva di attribuire ai suoni armonici delle caratteristiche (gerarchie di rapporti e reciproca 'attrazione gravitazionale') che - dal punto di vista fisico - non gli si potevano e non gli si possono tutt'ora attribuire, naturalizzandoli impunemente.

Da ciò Ballardini conclude che, invece di trascurarla definitivamente perché ideologica, anzi proprio perché ideologica, la teoria può rivelarsi ancora utile. In particolare, possiamo vederla come "prodotto dell'ideazione primaria", cioè come istitutrice di un codice musicale i cui significanti "sono i rapporti musicali tra . i suoni (gli intervalli melodico-armonici) definiti (ecco i tratti pertinenti) da determinati rapporti numerici: [e] ii significato (ciò da cui deriva la pertinenza di quei tratti) è l'esistenza di quegli stessi rapporti... nel fenomeno fisico (nell'armonia naturale) dei suoni armonici".

Dove sta - qui - la "significazione originaria", quella che si potrebbe chiamare la langue musicale dell'epoca di Rameau? E quali 'scopi semiosici' arriva ad avere tale langue?

Ballardini - che su questo punto è un po' oscuro - si limita a dire che le caratteristiche attribuite da Rameau al fenomeno degli armonici "e che il fenomeno in sé non presenta... trovano riscontro nell'armonia musicale tonale... e assomigliano singolarmente all'universo newtoniano". Questo è già sufficiente per convincerci che egli non la considera un'ideazione primaria - per cosí dire - del tutto idiosincratica e personale del teorico in questione. Bensí sembra che per lui si tratti di un caso emblematico che ci fa capire quale sia la langue musicale intersoggettiva, propria dell'intera cultura di quell'epoca e non solo di qualche singolo.

Una ulteriore conferma ci viene data quando Ballardini definisce il meccanismo di signifìcazione or ora descritto come probabilmente inconscio e soprattutto come "un rapporto di omologia tra campi culturali diversi". Insomma, qui si sostiene che è proprio a causa delle influenze di altri ambiti culturali (in questo caso quello scientifico-cosmologico) sulla langue musicale sei-settecentesca che la teoria di Rameau ha potuto arrivare - ideologicamente - a naturalizzare il suono come abbiamo già visto. Ma tale teoria non fa altro che trascrivere i contenuti della langue della sua epoca e, se questa conclusione ha qualche fondamento, ciò è stato possibile solo perché soggiaceva nell'intentio culturae di quell'epoca un rapporto iconico (simbolico direbbe Nanni), probabilmente inconscio, tra i due ambiti culturali suddetti.

Per quanto riguarda gli aspetti pragmatici di questa presunta langue, sembra che essi non differiscano sostanzialmente da quelli del linguaggio referenziale (discorsivo), perché il destinatario qui riscontra i tratti pertinenti che si ritengono essere propri del suono (rapporti di attrazione ecc.), mettendo in discussione anche il punto di vista fisico.

In questo caso lo scopo semiosico della musica è di essere pertinentizzata in modo da riaffermare continuamente l'esistenza di questi tratti che la teoria attribuisce al suono tout court. La funzione dell'emittente, quale depositario della retta interpretazione e pertinentizzazione, è svolta direttamente dalla intentio culturae, che perimette di pertinentizzare il suono solo da un punto di vista: quello dei rapporti tra i suoni armonici, teoria che a sua volta è stata - probabilmente - ispirata dal modello cosmologico newtoniano.

Tuttavia questa ipotesi mantiene la sua validità solo se non trova - entro l'orizzonte di controllo che si è scelta - dei 'dati' che la sconfermano. Anche in questo caso si tratta di trovare degli atti di parole che non possano essere ricondotti alla langue musicale or ora descritta. Questa opportunità ce la offre lo stesso Ballardini quando parla defl'Affektenlehre sei-settecentesca..

Non è questo il luogo per dilungarsi sulla storia delle teorie musicali, basti dire che tale diversa teoria è coeva a quella di Rameau, e si rifà a quella greco-antica dell'ethos dei modi (dorico frigio, lidio, ecc ...). Inoltre si basa su una "significazione originaria" molto diversa da quella che sottende la teoria di Rameau e mette quindi in gioco diversi punti di vista e diverse pertinenze. Dunque nel migliore dei casi si potrà parlare di compresenza nella stessa epoca - di due modelli interpretativi radicali, diffusi e forti, ma non certo di langue musicali di un'epoca, né per l'una né per l'altra, probabilmente.

L'obiettivo di Ballardini era quello di individuare "una significazione di base anteriore e piú generale rispetto ai singoli testi". Sondando qua e là nella storia delle teorie egli arriva ad individuare uno spessore semantico anche dove altri studiosi sono inclini a non vederlo. Alla fine arriva a configurare questo spessore come "una sorta di topologia elementare simile a quella che si può trovare nel gioco degli scacchi o della dama". Topologia che - comunque - contiene "pur sempre dei significati... e interni alla teoria musicale ... Una significazione che la semiologia potrebbe (dovrebbe) mettere in chiaro".

Ora ci si domanda, cosa dovrebbe mettere in chiaro la semiologia, se non il ruolo che viene ad assumere questa significazione nell'ambito degli atti di parole e soprattutto nell'ambito della langue di una data epoca culturale. Questo Ballardini non lo dice esplicitamente. Sembra darlo ad intendere quando definisce questa signifìcazione come "originaria", "di base", "anteriore e piú generale rispetto ai singoli testi". Non è facile astenersi dall'accostare questi connotati con quelli che Nanni, ma - a ben vedere - già Saussure, diceva propri di ogni langue. D'altro canto non è lo stesso Ballardini che si propone di verificare (nella sua Lettera), l'effettivo status di linguaggio discorsivo del linguaggio musicale? E al linguaggio discorsivo non sottende - saussurianamente sempre una langue e un'intentio culturae (in cui sono inclusi anche i suddetti aspetti pragmatici) che le è propria?

Se Ballardini voleva ottenere questo risultato, il suo percorso non può dirsi certo concluso, anche se - a mio parere - è partito da premesse molto promettenti. Ciò che egli ha messo in risalto, per ora, non è la langue musicale di qualche epoca, bensí e non è poco - solo il fatto che tale langue si potrebbe nascondere anche nelle teorie musicali. Occorre un lavoro ben piú imponente, e allo stesso tempo piú particolareggiato, per arrivare ad individuarne - eventualmente - qualcuna. In alcuni momenti, probabilmente, per poter vedere meglio il terreno che si sta esplorando, bisogna rallentare un po' il passo. In altri, quando ci si accorge che quello che ci circonda non è tutto quello che si può esplorare, occorre saper volare.

Fausto Garbin
Giugno 1992

La risposta di Franco Ballardini

 

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