Le menti vs
la Mente
Caro Luciano,
tantissime grazie per i tuoi numerosi messaggi estetici ed estetologici! Mi ha affascinato il tuo ardito pensiero!
Ma sarà ancora tuo, questo pensiero, quando lo avrò fatto mio?
E non ubbidisce piuttosto a principi estetici che estetologici?
Potrò dirlo soltanto quando lo avrò esaminato a fondo. Per il momento mi manca il tempo, giacché mi trovo in mezzo a un semestre molto faticoso, oltre che a un trasloco imminente. Comunque, dopo la lettura di un po' di pagine, già posso dirti che le tue riflessioni rispetto allo statuto dell'opera d'arte hanno scosso di nuovo le fondamenta della mia posizione teorica, che finora è stata più vicina a quella di U. Eco. Ho discusso il problema nel mio libro Invarianz und Vatiabilität Literatischer Textel,[K.A. Knauth, Invarianz und variabilität Literarischer Texte, Verlag B.R. Grüner, Amsterdam, 1981.] che fu pubblicato quasi contemporaneamente al tuo Per una nuova semiologia dell arte. Come avrai notato nel mio contributo al simposio di Yale c'erano accenni a una concezione piú dinamica, anzi "oceanica", dell'opera d'arte che si avvicina al tuo concetto "fluviale". Ma facciamo un esempio, di ispirazione bolognese:
Al movimento giovanile
giova d Nilo in movimento
[K.A. Knauth, Literaturlabor. La muse au point, CMZ-Verlag, Reinbach-Merzbach, 1986, p. 42.]
Mi domando fino a che punto un testo come questo, mentre fluisce nella mente, non sia una parola cristallizzata, cioè una forma testualmente ben determinata, emergente da un contesto abbastanza determinato, e dando luogo a nuove determinazioni ancora indeterminate insomma un messaggio destinato ad essere decodifìcato e a stimolare nuove codificazioni da parte del lettore. "Tudo riocorrente", letto alla maniera di un Multiple Joyce. [Poethik polyglott. Cfr. K.A. Knauth, Literaturlabor, cit., p. 44 e sgg.]
Come che sia, avremo senz'altro l'occasione di riparlarne. Forse l'anno prossimo, quando farò un seminario sulle avanguardie europee e latino-americane nel nostro Istituto. Ti interesserebbe fare una conferenza, ad esempio sui rapporti fra il discorso estetico ed estetologico della neo-avanguardia italiana?
[Il seminario è poi diventato un convegno intitolato Kulturelle Identität des modernen Italien, che si è tenuto all'università di Bochum in Germania nel giugno del 1996. Titolo della relazione di Luciano Nanni L'europeismo epistemologico della neo-avanguardia italiana degli anni '60.]
In cambio dei tuoi libri ti manderò un paio di pubblicazioni mie, fra le altre il libro menzionato su Invarianz und Vatiabilität e in oltre La muse au point, un libro sulla didattica della creazione para-letteraria in lingue straniere, come pure qualche articolo sul plurilinguismo letterario e roba del genere.
Del resto, la rivista "DICHTUNGSRING" che ho diretto per un anno - ne ho interrotto la cura per ragioni di famiglia - sarebbe interessata sicuramente a pubblicare delle poesie tue. Potresti offrirgliele via il mio indirizzo.
Mi auguro che possiamo continuare il nostro scambio estetico-logico e ti saluto cordialmente. Salutami pure il tuo collaboratore Antonio Bisaccia, di cui mi ricordo con simpatia.
Alfonso
[Alfonso Knauth, attualmente docente alla Ruhr-Universitát di Bochum (Germania).]
Bonn, 6 giugno 1995
[Risposta di Luciano Nanni]
Caro Alfonso,
non sono scomparso. Mi sono solo eclissato per un poco a causa di diversi impegni didattici, qualche problema di salute oltre che qualche impegno artistico. Ora ho un po' di libertà e ne approfitto per scriverti. Vediamo, con un po' di ordine.
1. Ho ricevuto i tuoi libri e ti ringrazio molto. Purtroppo sono super-lento nella lingua tedesca e non potrò trarne quei frutti che sinceramente essi, mi sembra, potrebbero offrirmi in grande quantità. Ad ogni modo grazie.
2. Poesie mie (poesie di Nanni Menetti) su "DICHTUNGSRING". Ne sarei onorato. In Settembre uscirà un mio libro, pubblicatomi in premio, da una rivista di Verona "ANTEREM"; te ne farò avere copia e se riterrai di trarne qualche poesia da tradurre e pubblicare sulla rivista che mi hai indicato ne sarò felice.
3. Mio intervento sulla neo-avanguardia. E' possibile. Mi interesserebbe. Sappimi dire.
4. Mie posizioni vs quelle di Eco. E le tue, diciamo, da collocare. Riprendo il tuo esempio:
Al movimento giovanile
giova il Nilo in movimento
Il testo, mentre appunto, come tu bene dici, fluisce nella mente, è sí cristallizzato, ma solo relativamente e quindi pluralmente, non assolutamente. Perché qui è il punto: la mente non è la Mente, ma è subito le menti. Va bene ciò che tu dici, ma ciò che tu dici non mi pare dia ragione a Eco; mi pare dia ragione a me. E problema, ripeto, è innanzitutto nella nozione di "mente". La si può concepire in tanti modi, ma se la vediamo non metafisicamente, bensì fisicamente in atto (come anche tu la vedi, mi sembra) essa risulta inseparabile da una sua qualche coltivazione spazio-temporale, arrivando tout court a coincidere con una qualche parziale cultura o, per dirla giustamente con Foucault, sapere. La cultura - è sotto gli occhi di tutti - è pur essa un concetto puramente astratto, metafísico. Di fatto, fisicamente in atto, si danno le culture, i saperi, quindi non la mente, ma appunto le menti (al plurale). Le menti: menti-culture, insomma. Vogliamo dirla con Kuhn, menti-paradigmi. E questo è il primo punto.
Il secondo punto è invece questo. La materia grafica (la materia sonora) del tuo esempio (ma quanto dico varrebbe per qualsiasi altro esempio) è il tuo esempio (una frase linguistica da decodificare) solo se è doppia, se è concepita a due facce. S'è detto tanto del segno. S'è spostata la sua identità da entità ideale a pratica, da struttura a funzione e cosí via, ma ciò che non è mai venuto meno (ciò cui è stato impossibile rinunciare pena la scomparsa del segno stesso) è la sua segnicità, appunto la sua bifaccialità: il suo essere inscindibilmente costituito appunto, ripeto, di materia fisica e di pensiero, di concetti. E questo pensiero, questi concetti, da dove gli vengono? Chi gheh può associare? La mente, certo, ma ormai sappiamo da ripensarsi al plurale immediatamente, come menti, come menti-culture, come menti-paradigmi e nulla più.
E allora, certo, la cristallizzazione è inevitabile, ma anche inevitabilmente plurale (cristallizzazioni): diverse, tante quanti sono i saperi che la (quella materia) prendono in carico. Tra questi diversi paradigmi uno è quello della comunicazione (della lingua comunicativa): la sua lettura come decodifica è propria del paradigma comunicazione, non degli altri. Posso "leggere" il tuo esempio con un paradigma estetico (percettivo) in senso stretto e allora verranno a significato solo figure, sensemi diciamo (grafie e ritmi), non altro. Assolutamente non concetti o pensieri in senso proprio. L'illusione che la decodifica linguistico-referenziale-comunicativa sia prima (Eco) è, si potrebbe dire con Kant, allucinatoria. E' frutto dello scambio a-critico della quantità con la qualità.
Siccome il paradigma linguistico-comunicativo è il più esteso (tutti i parlanti di una stessa lingua se ne servono, colti o incolti che siano) ed è anche un paradigma (un sapere) di servizio per "dire" i saperi non linguistico-comunicativi (estetico appunto, psicanalitico, religioso ecc.) allora si è portati, allucinatoriamente dicevo, a pensare che debba essere logicamente pritnario, alla base insomma di ogni altra interpretazione (Eco, I limiti dell'interpretazione). Tutto qui.
In realtà proprio dell'arte, oggi, è l'annullamento (almeno cosí a me pare) di ogni rapporto gerarchico tra i paradigmi di lettura dell'opera: dica ognuno democraticamente la sua. Quel rapporto gerarchico che resta valido, invece, nell'uso puramente discorsivo-strumentale della lingua: prima, per questa, viene la significazione denotativa (comunicativa) poi tutte le altre possibili a partire secondariamente (connotazioni) da questa. Bene, questa legalità gerarchica nell'arte oggi non vale e se qualcuno ricorresse al tribunale per farla valere avrebbe torto. Famoso il caso da noi di una giovane scrittrice, che ha denunciato un critico che gli avrebbe fatto dire in via primaria (e quindi, da notare, denotativamente e non connotativamente) ciò che lei non avrebbe avuto intenzione di dire, ritornata pienamente sconfitta da questa avventura.
Certo che l'opera è quella che è e che, come tale, regola questa polisemia di cui qui si sta dicendo, ma in quanto matita, ripeto, non in quanto lingua (Eco). Decisamente mi pare che Eco abbia torto. Qui non si tratta di trasformare in oggettività desideri, ma piuttosto il contrario: di cogliere, malgrado i nostri desideri, ciò che di intersoggettivo vive al di là di essi e delle loro parzialità.
Caro amico, per ora stammi bene e a presto tuo
Bologna, 21 agosto 1995